10 febbraio 2006

architettura Superfici graficamente violate

 
Subculture dell’illustrazione aggrediscono la modalità patinata della corrente rappresentazione architettonica. La cultura del tratto, semi-abbandonata dalle generazioni digitali, graffia le superfici immacolate del lessico architettonico totalitario...

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Eccola l’avanguardia dell’illustrazione europea: realmente collegata con una cultura visiva contemporanea non dissociabile dai format di Mtv, dal packaging del cibo spazzatura, dai baffi delle sneaker, dalle conseguenze vettoriali indotte dai software. L’approccio grafico riesce meglio nell’identificare esigenze di spazi ed edifici di una complessità lontana anni luce da quella minima offerta dall’architettura. Il rapporto tra intimo e pubblico, la cui indagine riesce incredibilmente bene all’arte contemporanea di questi anni, costituisce invece un ambito che l’architettura stenta a riconoscere come esigenza reale. Un buon numero di contenitori online consentono di scorrere progetti e rappresentazioni proprie della corrente pratica concorsistica e di navigare tra schiere di edifici autoreferenziali, inadatti a sondare esigenze personali innovative. Chi di noi vorrebbe poi essere scontornato? Eppure è questo che la consolidata rappresentazione architettonica riserva ai suoi futuri utenti. Spesso resi anche vagamente trasparenti. E senza proporre nuovi contorni.
Guardiamo gli edifici e gli spazi che la grafica invece propone con forza: complessi, ricostituiti in termini di frammenti sia formali che personali. NEASDEN CONTROL CENTRE, Die Gestalten Verlag, Berlino, 2003 Con aperture inedite agli spazi pubblici. Incredibilmente abitati e modificati dalla presenza di persone vere. Neasden Control Centre è la formidabile piattaforma di produzione visiva basata a Londra e fondata da Stephen Smith e Marcus Diamond. In modalità reality, NDC disseziona interni, esterni, forniture, gamme cromatiche. Lo strumento di una successiva composizione e integrazione è necessariamente quello del collage, della stratificazione ereditata dalla classica struttura a layer propria dei flussi di lavoro digitali. NDC inventa o documenta luoghi in cui può succedere qualcosa in seguito ad un’ispirazione generata dalla complessità e non solo in reazione all’asetticità.

Interno. Dell’hotel e terminal per aeroporto costruito da Arne Jacobsen nel 1960 a Copenhagen per la Scandinavian Airlines System resta intatto l’involucro, solo una stanza non è stata modificata. La room 606 ci propone ancora l’accesso ad un mondo perduto di forme e sensazioni. E forse anche il punto di partenza di un’impossibile linea che, transitando più vicino a noi attraverso la contemporanea attenzione nord europea per l’intimo ed il quotidiano, arriva anche a Smithfield Building, il nuovo libro di Neasden Control Centre. Decine di pagine di inedita attenzione agli interni e agli arredamenti.
Il Royal Hotel Restaurant della SAS House. Arne Jacobsen, 1960
Esterni. La nostra abitudine alla rappresentazione patinata di falsi edifici viene corrotta dalla ritrovata violenza del disegno e del tratto. Gli edifici si corrompono. Il primo sintomo di questa corruzione è dato ovviamente dalla presenza di vita all’interno di hall, corridoi, stanze. Un punto di arrivo temporaneo ce lo offre in queste settimane Warp records, l’icona della produzione di musica elettronica basata a Sheffield. Warp accetta il rock tra le sue fila e permette ai Gravenhurst di regalarci il miglior video “sostanzialmente” di architettura dell’anno realizzato -almeno questo- da un architetto di cui però nemmeno Google non sa dirci nulla. (Velvet Cell, Fires in Distant Building , di Thomas Hick).
still dal video Velvet cell di Thomas Hick
Forniture. Fantastica l’aggressività di questa grafica che cerca architetture cui aderire e non trovandole se le inventa o inventa operazioni in cui convivere. E’ piuttosto facile per chiunque del resto riproporre lo stanco clichè di pseudo-sofisticata eleganza che gli architetti (a schiere) propongono per gli interni: resina per i pavimenti, pareti intonacate smaglianti, un minimo di chiaroscuro affidato ad una bella mensola in cartongesso. Fatto ciò si può passare alle superfici. Come accade nelle stanze dell’Hotel Fox di Copenhagen, contaminate, anche se solo superficialmente, da una violenza espressiva di cui l’architettura non è più capace.
Hotel Fox Copenhagen, Room 206, WK interact

link correlati
www.neasdencontrolcentre.com
www.silentagerecords.co.uk/gravenhurst 
www.wkinteract.com 

luca ruali
Also Available Architecture
www.alsoavailable.net 

[exibart]

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