27 agosto 2010

architettura_preview Il rasoio di Sejima

 
Si riparte. Eh già, perché in quel di Venezia han deciso di anticipare la rentrée, piazzando in agosto la vernice della 12. Biennale di Architettura. Mugugni a parte, l’appuntamento non può esser mancato. Non foss’altro perché - per la prima volta in laguna - è una donna l’architetto che dirige il tutto. A presentare la kermesse, una penna stilosa, quella di Luigi Prestinenza Puglisi...

di

Delle undici Biennali di Architettura sinora inaugurate a
Venezia ne ricordiamo due. Furono quella del 1980 diretta da Paolo
Portoghesi
e del
2000 diretta da Massimiliano Fuksas. La prima per l’allestimento della così detta Strada
Novissima, una quinta urbana che rivendicava, contro la libertà spaziale degli
edifici moderni, il rigore degli impianti viari delle storiche città europee.
La seconda per un grande schermo, alto 5 metri e lungo circa 280, realizzato
dallo stesso Fuksas con la collaborazione di Studio Azzurro il quale, attraverso immagini di
forte impatto emotivo, denunciava la complessità dei fenomeni urbani,
rivendicando un’estetica del caos sublime che giustificava le sperimentazioni
tentate in quegli anni dal decostruttivismo e dalla così detta architettura
digitale.

Due su undici non è una bella media, ma inventarsi una
biennale degna di nota è molto difficile. Perché, a meno di non voler creare
incidenti diplomatici, i progettisti da invitare sono più o meno tutti –
tradizionalisti e reazionari, sperimentalisti o avanguardisti che siano – e
dare un’indicazione culturale quando si presentano insieme Vittorio Gregotti e Zaha Hadid è arduo.

Toyo Ito and Associates - TOD'S Omotesando Building - Tokyo, 2004 - night view, rendering

Ma è proprio così? Ecco la domanda che si è posta Kazuyo
Sejima
quando è
stata invitata a preparare questa 12esima biennale. E alla quale ha risposto
con determinazione, decapitandola dei nomi più noti. Con la conseguenza che
quest’anno a Venezia non vedrete – solo per citarne una decina che ci saremmo
aspettati di incontrare – Nouvel, Hadid, Mayne, Libeskind, Coop Himmelb(l)au, Foster, Rogers, Eisenman, Fuksas, Moss.

L’obiettivo, come denuncia il titolo People meet in architecture, è infatti fare
pulizia, riportare l’architettura dalle derive formaliste ad ambizioni sociali
più autentiche, riproponendola non come semplice luogo di contemplazione
estetica ma come spazio di incontro e interscambio. Giocoforza quindi escludere
lo star system, anche a costo di qualche forzatura. Infatti, se vogliamo
pensare a recenti edifici fatti per far incontrare la gente, non possiamo fare
a meno di riferirci proprio alle opere delle star che invece Sejima ha escluso.

Una biennale quindi all’insegna della novità e dei
giovani? Sino a un certo punto. Tre star consolidate la curatrice ha voluto
comunque lasciarle: sono Toyo Ito, Rem Koolhaas e Renzo Piano.

Rem Koolhaas

Toyo Ito probabilmente perché è il suo maestro e comunque è un
artista dalla bravura indiscussa. Rem Koolhaas per la capacità che ha sempre
mostrato di combinare discorsi funzionali e ricerche estetiche. E poi perché è
una novità nelle ultime biennali di architettura (non di arte). Aveva infatti
rifiutato la sua partecipazione – dicono i maligni – per farsi notare
nell’assenza. A Sejima non ha potuto dire di no perché lei gli ha fatto
assegnare il Leone d’Oro. Renzo Piano perché è il maestro riconosciuto dell’High Touch e della
misura umana.

Pensare a un’architettura senza star, del resto, sarebbe
stato suicida. Intanto perché Sejima fa di diritto parte del circolo. E poi
perché una biennale di meno noti sarebbe potuto essere un colossale fiasco.
Molto più prudente giocare sul logo del no-logo come Koolhaas è riuscito a fare
benissimo con Prada: siamo una griffe ma nella misura in cui facciamo di tutto
per non apparire tali.

A tutti gli invitati, Sejima ha garantito la massima
libertà. Come ha messo ben in evidenza il comunicato stampa, “ciascun
partecipante gestisce in piena autonomia il proprio spazio espositivo
”. Quindi non avremo né strade
novissime né grandi schermi. Anche se poi pare che l’architetto giapponese
abbia voluto vedere tutti i progetti e su parecchi abbia espresso
puntualizzazioni e osservazioni. L’obiettivo, un po’ come in tutti i lavori di
Sejima, dovrebbe essere uno spazio libero da preconcetti linguistici. 

Renzo Piano - The New York Times Building - 2007 - photo Michel Denancé

Un
obiettivo apparente facile ma in realtà difficilissimo. Sul quale è bene
lavorare con perfetto understatement. Come suggerisce questa altra
dichiarazione apparentemente, ma solo apparentemente, di sconcertante banalità:
L’architettura può farsi portavoce di nuovi valori e moderni stili di vita?
Questa mostra è l’occasione per sperimentare le molteplici possibilità
dell’architettura e per dar conto della sua pluralità di approcci. Ogni suo
orientamento è in funzione di un modo di vivere diverso
”. Detto da una giapponese
d’acciaio, poetessa indiscussa di un’estetica dell’anoressia, sembra invece la
promessa di un nuovo orizzonte che potrebbe dischiudersi dopo il
decostruttivismo e dopo il digitale.

Aspettiamo, infine, di vedere con curiosità il Padiglione
Italiano, quest’anno curato da Luca Molinari, nel quale sembra invece prevalere
la scelta di un approccio per temi e una molteplicità di presenze espositive.

 

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a Kazuyo Sejima

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per il Serpentine Pavillion

luigi prestinenza puglisi


dal 26 agosto al 21 novembre 2010

12.
Mostra Internazionale di Architettura – People meet in architecture

a cura di Kazuyo Sejima

Giardini della Biennale, Arsenale e sedi
varie – 30100 Venezia

Info: www.labiennale.org

 

[exibart]

 

2 Commenti

  1. uuuuuh! kazuyo ha dimenticato di togliersi gli occhialini 3 D per guardare lo spottone di wenders su essa stessa medesima!

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