16 aprile 2004

architettura_progetti Sejima’s nLDK. Una casa unifamiliare a Tokyo

 
In pratica è una questione di spazio. Quello domestico, da gestire con cautela. Guardando alla funzionalità e garantendo la privacy di ciascun abitante. Una formula riassume la distribuzione delle stanze. Ed un architetto propone un’insolita soluzione…

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L’ultimo esperimento progettuale di Sejima Kazuyo, applicato alla residenza unifamiliare e realizzato recentemente a Tokyo, attira la nostra attenzione per due motivi. Il primo motivo risiede nel fatto che questo edificio rompe radicalmente con gli schemi tipologici più convenzionalmente adottati in Giappone; il secondo nel fatto che in questo caso l’approccio concettuale pone in risalto alcune caratteristiche del metodo progettuale di Sejima.
Il modello abitativo giapponese è sintetizzato con la formula nLDK,n sta per un numero variabile di vani/stanze, LDK sta per living-dining-kitchen, in pratica lo spazio che all’interno della casa è destinato alle attività comuni. Le recenti sperimentazioni sulle tipologie abitative si sono spesso sviluppate a partire da questa struttura “guida”. Sejima
In questo senso è impossibile non fare riferimento agli studi sul modello nLDK condotti da Yamamoto Riken (prima foto) che sono stati alla base dei suoi progetti di case collettive (Hotakubo Housing a Kumamoto, Ryokuentoshi a Yokohama). Il lavoro di Yamamoto si concentra sulla relazione tra gli spazi collettivi e quelli privati e in  particolare su come l’aggregazione dei vani all’interno dell’alloggio possa garantire un rapporto armonico tra la privacy dell’individuo e la comunità familiare. L’esigenza reale di tali approfondimenti non è solo legata alla scarsa disponibilità di superficie abitativa, ma anche alla necessità di fornire adeguate soluzioni alla tendenza di più generazioni a vivere in una stessa casa, generalmente riscontrata in Giappone. Un progetto di Yamamoto esemplare a questo proposito è quello dell’edificio Hamlet costruito a Tokyo nel 1989. In questo edificio ai componenti della famiglia viene assicurata la possibilità di uscire ed entrare dalla casa Sejima senza dovere necessariamente attraversare lo spazio collettivo della family-room; la privacy è cioè garantita collegando le “cellule” individuali (le stanze) all’esterno in maniera autonoma.
Sejima affronta problemi di natura analoga arrivando ad una soluzione progettuale insolita. L’architetto interviene infatti sul modello nLDK operando una frammentazione radicale nell’organizzazione funzionale o come lei stessa dice […]una frammentazione ancora più radicale di quella proposta dal modello LDK […]. La casa, progettata per cinque utenti -genitori, figli e nonna- ha una pianta a forma di trapezio irregolare e si articola su tre piani collegati da una scala contenuta in un volume posto quasi nel mezzo della costruzione.
Al piano terra trovano posto un soggiorno, uno spazio per il tavolo, la cucina, la stanza del figlio, la stanza della nonna e un bagno; al secondo piano la stanza della figlia, quella dei genitori, uno spazio per i libri, uno studio (seconda foto); al terzo un bagno uno spazio per un tavolo, un giardino, un piccolo vano per sedersi e guardare l’esterno.
Le dimensioni assai ridotte dei singoli “vani” (la stanza del figlio è poco più grande di un letto singolo, lo studio non può contenere altro che una piccola scrivania e una sedia) e la continuità tra essi sono tra le peculiarità di questo spazio abitativo (terza foto). Quasi Sejima tutti gli ambienti sono tra loro comunicanti attraverso aperture praticate sulle partizioni. Le aperture possono essere simili a finestre, o isolare piccoli spazi formando alcove, o possono collegarsi a doppie altezze; solo i bagni sono dotati di chiusure, di porte vere e proprie.
I principi di base applicati da Sejima a questo piccolo edificio sono: l’esplorazione delle potenzialità organizzative dell’abitazione tenendo fermo il punto che i membri della famiglia possano essere […] riuniti in un unico spazio ma nello stesso tempo mantengano una distanza adeguata tra loro… e fare in modo che la parcellizzazione minuta degli spazi e delle attività possa garantire comunque un’esperienza spaziale nuova. Sejima crea così uno spazio domestico totale dal punto di vista visivo e frammentario dal punto di vista funzionale, afferma l’architetto: […] attraverso le aperture si può vedere nella stanza vicina, questo rende la stanza stessa piatta, come una fotografia […] (quarta foto).
Affermazione che rimanda al metodo progettuale diagrammatici dell’architetto giapponese. Questa piccola architettura sembra essere infatti una coerente traduzione del disegno piatto, come un diagramma, tipico di Sejima, che in foto vediamo applicata alla sua Y-House del 1994 (quinta foto). Lo spazio interno di questa casa è organizzatoSejima secondo divisioni teoriche, le partizioni interne sono confini assolutamente ambigui che separano ma nello stesso tempo consentono il collegamento. Lo spazio interno è diafano e luminoso, la sua leggerezza sembra essere amplificata dai materiali impiegati. La struttura perimetrale è sottile e è formata dall’assemblaggio di pannelli sandwich di acciaio di uno spessore di 10 cm ca. finiti con vernice antiriflesso all’esterno e contenente uno strato isolante di 3 cm; ad essa sono saldate le lastre di partizione interna, dello stesso materiale ma ancora più esili. Tutte le superfici sono bianche.

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2 Commenti

  1. Grandissima Kazujo Sejima!! (Perché è un’architetto, e non un architetto). Tra i pochissimi in grado di conciliare la ricerca concettuale con esiti formali e strutturali del tutto apprezzabili e piacevoli.

  2. Io adoro Sejima, mi dispiace solo che in Italia non viene, per seguire le sue conferenze. Riuscii a seguirla solo una volta nel 2000 allo IUAV di Venezia, partii da Roma per poterla ascoltare e seguire nella manifestazione della sua filosofia formale dell’architettura.
    Eterea e concreta allo stesso tempo.
    Senza dubbio.

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