05 agosto 2002

“I grattacieli rovineranno il panorama” (dicono gli inglesi)

 
La prevista torre di Renzo Piano a London Bridge, e l’inaugurazione della County Hall di Foster: note su dibattiti e sberleffi londinesi. Guardando alla stampa estera per riflettere sul panorama italiano…

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Sfogliando il londinese Evening Standard di giovedì 25 luglio scorso ci si imbatte in due notizie di architettura. La prima, nelle pagine culturali, è un commento all’inaugurazione della City Hall londinese di Norman Foster: l’autorevole firma di Simon Jenkins si interroga sul rapporto tra il pregevole edificio e la comunità. La seconda, tra le lettere, è una formale, ma esplicita comunicazione del Soprintendente Sir Neil Cosson, che spiega la sua posizione istituzionale di fronte ai dibattuti grattacieli previsti a Londra. Tema simile, punti di vista diversi.
Per la cronaca accenniamo ai contenuti: Jenkins si ravvede sulla qualità del progetto di Foster, ne loda il valore intrinseco e critica apertamente le forzature introdotte dagli urbanisti comunali che ne hanno modificato l’essenziale collocazione originale; si lancia infine nella solita immancabile renzo piano, london bridgedisquisizione sulla dubbia opportunità economica dell’intervento. Sir Cosson riassume un po’ la storia della perduta battaglia per bloccare la realizzazione di grattacieli nel centro di Londra, e ne valuta i benefici del recupero urbano a confronto con il dazio dell’alterazione del “nobile skyline londinese ”.
Ma non è tanto sul contesto di queste news che vorrei porre l’attenzione, quanto sul panorama culturale che rappresentano.
Aprire un giornale di media levatura culturale e trovarvi varie notizie di architettura non è certo una cosa comune in Italia. Tanto meno lo è potervi leggere una perorazione firmata da un Soprintendente, perdippiù in merito ad una campagna non riuscita.
In Inghilterra l’architettura, matrice di città e modificatrice dell’assetto del territorio, è argomento culturale di interesse pubblico. La televisione manda in prima serata interviste a maestri dell’architettura britannica, e riscuote ascolti particolarmente interessanti. Pubblici dibattiti e petizioni hanno spesso determinato scelte strategiche.
Questo da un lato significa accrescere la cultura generale, con indubbi benefici in termini di consapevolezza nell’abitare e gestire la città. Dall’altro significa anche rendere manifesto, e discutibile, il ruolo fondamentale dell’urbanistica nelle sfere della politica e dell’economia di una nazione.
Magari anche in Italia, tra gli “sgarbi”, qualche polemica potrebbe sconfinare verso tali retroazioni. L’importante è non trasformarle in freni inibitori.

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marco felici

[exibart]

1 commento

  1. Concordo sul punto che alcuni giornali di tiratura inglese parlano spesso di progetti
    urbanistici e di architettura. Soprattutto per il nuovo millennio che ha varato un progetto ambizioso e d’informazione capillare riguardo l’apertura del “Millenium Dome” a Londra come anche la “Ruota panoramica” sul Tamigi e il “Ponte pedestre mobile”.
    Ho seguito e vissuto molto da vicino tutto questo ma non mi sento di scrivere quello che si e’ detto e fatto a proposito,(non vorrei creare un articolo dentro un articolo ma solo fare un commento).
    L’informazione e promozione a Londra e’ di fatto capillare e il coinvolgimento del
    pubblico e’ a volte massivo. Per es. inviti, annunci sulla radio, TV, petizioni…ma il
    governo alla fine non tiene poi cosi’ tanto conto dell’ opinione e sicurezza pubblica.
    Come per il “Ponte pedestre mobile”un pezzo di ingegneria cosi’ incantevole e originale
    ma che si e’ dovuto chiudere perche’ troppo ~~~~~~mobile e il pubblico ha fatto da
    cavia barcollando un bel po’.
    Per la “Ruota panoramica” poi… la aprono e chiudono e non si sa bene cosa veramente
    accade. Inoltre Il “Millenium Dome” ha fatto bancarotta, ed e’ ora chiuso, dopo appena
    due anni di vita e non sanno ancora cosa metterci dentro, probabilmente diventera’ un
    centro di business.
    Il pubblico e’ stato sempre informato e anche consultato ma e’ il governo in fin dei conti
    quello che sempre decide.

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