06 agosto 2021

Le fortezze weiwu, della cultura Hakka alla Biennale di Architettura di Venezia

di

Abitazioni collettive di memoria famigliare e solidarietà con la natura, le case weiwu della cultura nomade Hakka reinterpretate da 12 artisti alla Biennale d’Architettura di Venezia

He Duoling, Shi Jindian, Enclosure

La mostra, ospitata al Padiglione 30 di Forte Marghera, a Mestre, indaga, attraverso il linguaggio dell’arte, le architetture tradizionali delle case tradizionali weiwu. Si tratta di case fortificate all’interno delle quali vivevano, e vivono ancora oggi, intere famiglie allargate, in un rapporto di cooperazione e di armonia con l’ambiente circostante. Sono vere e proprie fortezze, tra le strutture originali più antiche ancora utilizzate, simboli di una cultura migrante, quella degli Hakka, in continua mutazione.

Wang Lin, docente di Belle Arti a Chongqing, già conosciuto a Venezia per avere portato numerosi artisti cinesi in laguna, ha curato questo padiglione insieme ad Angelo Maggi, docente di Storia dell’Architettura dello IUAV di Venezia; Ying Tianqi, artista noto in Cina e in Italia per la sua ricerca sulla memoria collettiva racchiusa nei muri delle abitazioni e dei villaggi, è qui coordinatore delle opere attraverso cui gli artisti hanno interpretato lo spirito dei weiwu. 12 artisti hanno sintetizzato l’essenza del “vivere insieme”, in linea con il tema generale della Biennale (“How will we live together?”), estrapolando degli elementi che diventano simbolo del legame con la terra, il suolo, e la migrazione intesa come esplorazione, crescita, oltre che ricerca di una vita migliore.

Dodici: un numero di buon auspicio nel fengshui che regola la vita quotidiana degli Hakka. Un numero ricco di significati: i 12 rami stellari della geomanzia, i 12 animali dello zodiaco, le 12 ore della divisione del giorno nel calendario tradizionale, i 12 organi della medicina tradizionale, le 12 insegne imperiali, i 12 bambini, 12 pesche e 12 melograne che sono raffigurati nella rappresentazione della prosperità sui muri delle case dei contadini, i 12 soli abbattutti dal mitico Houyi, per citarne alcuni. Perché nella cultura Hakka, tutto ha un significato simbolico, ogni elemento è connessione di una stratificazione di significati che lega la comunità allargata in un solido rapporto di continuità, anche nella discontinuità della migrazione.

In tempo di isolamento da COVID-19, la mostra indaga con nostalgia un passato idealizzato di corpi solidali e convivenze indiscusse, e il vero protagonista sotto il riflettore è lo scontro contemporaneo tra la fragilità dell’equilibrio uomo-natura, la solidarietà tra le persone con una modernità digitale, tecnologica e divisiva.

La casa degli antenati e del clan incorpora i simboli del grande gruppo Hakka, una popolazione rurale della Cina meridionale presente oggi in tutti i Paesi del mondo. Le mura della fortezza hanno la funzione di difesa contro minacce esterne, ma tracciano anche il confine identitario all’interno del quale si plasma l’unione dell’individuo con le proprie radici.

Questa unione, al contempo virtuale e reale, viene rappresentata da He Duoling e Shi Jindian (Enclosure 500x500x10) con delle gabbie in filo galvanizzato, installate nel perimetro di un grande weiwu, mentre Ying Tianqi (Fish and fishing 150x116x50) appronta una installazione che riproduce un weiwu in scala nel quale convivono 18 pesci rossi. L’acqua e i pesci rappresentano il legame simbiotico tra la fortezza, i suoi abitanti e la natura. I pesci, come gli individui che in queste abitazioni vivono, sono sorvegliati costantemente da telecamere che ne monitorano i movimenti. Una sorveglianza digitale sulle comunità, che in tempo di pandemia è diventata ormai la norma quotidiana.

La storia delle famiglie Hakka è scritta su questi muri. Nell’interpretazione di Gu Xiong (Longnan Echoes 150x150x60 cm), le storie sono inscritte sul fondo di un pozzo, affidate alle canzoni tradizionali, i “canti di montagna” (shan ge), che vengono regalate al vento attraverso i varchi che mettono in comunicazione il dentro con il fuori: finestre, bocche di avvistamento, pozzi. Li Qiang (Isolation), invece, riflette sulla relazione tra “isolamento” e “difesa”, dai tempi della nascita di questi insediamenti, ai nostri tempi del COVID-19.

Questi sono solo alcuni spunti che questa interessante mostra offre, intorno a un discorso ampio sulla convivenza in contesti tradizionali, sul contrasto tra i vecchi e nuovi valori, con uno sguardo attento su un presente pandemico che ci porta un sempre maggiore separazione tra le persone e controllo dall’esterno.

L’apertura è stata celebrata il 16 luglio, dopo molte difficoltà dovute al COVID-19, che hanno causato il ritardo delle opere e hanno impedito ai curatori, agli artisti e alle altre personalità di raggiungere l’Italia.

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