20 luglio 2011

SIZA. IL TRATTO DELLA FELICITA’ NELL’ESSENZIALITA’ DEL SEGNO

 
Dallo schizzo al progetto, una pratica dell'architettura come modello – etico e pedagogico, gentilmente rivoluzionario – di un modo diverso di “essere nel mondo” che alla violenza impositiva del protagonismo dell'io (archistar e progettisti griffati) preferisce la ricerca di un equilibrio tra gli uomini, la natura e le cose...

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Maurizio Oddo, promotore e curatore dell’evento, lo definisce “un miracolo”. E certo la presenza di Álvaro Siza (Motosinhos (Portogallo), 1933) in una piccola città come Enna, periferica per quanto umbilicus Siciliae, e non avvezza alle “alture” per quanto di montagna – invero lo è. Lectio Magistralis all’Università Kore, tavola rotonda sullo sfondo del lago mitico di Pergusa, mostra di opere e progetti nelle sale del nobiliare Palazzo Militello. Un’immersione nell’universo Siza, come una ventata di aria ricca in stanze troppo tempo chiuse. “Io sono io e le mie circostanze” – cita da Ortega y Gasset,  Francesco Dal Co introducendo il senso del lavoro di Siza come un aperto confrontarsi con le circostanze, sempre mutevoli. Il suo progetto come un interpretare, un mettere ordine aldilà delle apparenze e un tirare fuori il nascosto, ciò che non è immediatamente dato. Una capacità di disvelare e concretizzare ciò che l’evidenza, perfino il genius loci, nasconde e maschera.  Architettura come ermeneutica, viene da pensare. Interpretazione e rivelazione. Anche in rapporto alle persistenze del passato e alla storia. 

L’ultimo progetto per la nuova reception dell’Alhambra di Granada, che Siza sceglie per la sua Lectio Magistralis, illustra il procedimento. Dai primi schizzi ai tanti rilievi tecnici fino alla realizzazione, senza tacere i dubbi, le esitazioni, le ansie e le difficoltà. Ma anche l’emozione e l’incanto per quel delicato equilibrio tra natura e architettura che il tempo, pur trasformando, non ha annullato. 

Siza frequenta a lungo il luogo. La lentezza come valore intrinseco e irrinunciabile di un modus operandi, come nel Belice devastato degli anni ’80 – ricorda Roberto Collovà – dove rimase più di un mese tra la gente impressionando tutti. Alla ricerca di un punto d’appoggio cui ancorare la risposta giusta. Interrogando il paesaggio, la storia umana e il tempo che passa. Ed è proprio l’articolazione di continuità e discontinuità nel passaggio dall’architettura nasride a quella spagnola della Reconquista a suggerirgli per l’Alhambra il registro progettuale di una continuità non inibitoria col passato (il dialogo col passato, dice Gadamer, non è “né ritorno né saccheggio arbitrario” – è ricerca di origini che produce un presente del tutto nuovo). Capace di recuperare il senso profondo di quella architettura di giardini fatta di ombra e luce zenitale, acqua e alberi, in un linguaggio contemporaneo essenziale e sobrio, funzionale alla “cura” delle nuove esigenze di un volume crescente di visitatori. 

“L’architettura è servizio. Deve sempre rispondere a una funzione” – confermerà Siza dialogando il giorno dopo con Chiara Baglioni (responsabile di Casabella che, già con Gregotti, lo fece conoscere in Italia). “Spesso quello della funzione è sentito come un tema impuro che non ha a che vedere con la purezza della forma e degli spazi. Invece è la base di tutto. E la forma corretta non è che la risposta giusta alla richiesta di funzione”.  Economia, precisione del modo, appropriatezza. Evidente la linea del Movimento Moderno, da Le Corbusier a Loos e soprattutto ad Aalto, ma anche Oud – specie per i progetti di edilizia popolare nell’ambito del programma del Saal, alla caduta della dittatura in Portogallo nel ’74, da Bouça a Malagueira (presenti in mostra). Un’esperienza vissuta nel concreto dialogando con gli abitanti che gli fa dire: “L’architettura non è attività che permetta l’isolamento senza impoverirsi. Deve essere  partecipata. In un progressivo distanziamento dall’io, è rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente”. Altri tempi, lascia intendere poi con una punta forse di saudade – ricordando anche insieme a Collovà “l’esplosione anarchica, entusiasmo e scambi di pensiero politico” che lo accolse nelle facoltà occupate di una Palermo anni ’70. 

Entusiasmo. Quel “tratto della gioia”, che Siza avverte per esempio in Corea (dove ha diversi cantieri con Carlos Castanheira) e gli piace “nonostante il rispetto difettoso dei diritti umani /… / il sentore di un progetto di vita, anche se tortuoso”. Ottimismo che resiste (sarà il “pensiero utopico” di cui parla Rikwert?). Prensile come il suo continuo, agile disegnare (la presenza degli schizzi nella mostra scopre la dimensione più umana e dinamica del suo costruire). L’orizzonte della felicità, dove vita e architettura finiscono con l’essere una cosa sola: “L’architettura esige la perfezione del dettaglio fino alla dissoluzione del dettaglio. /…/ Un’addizione di cose perfette resta un’addizione e non è la perfezione. Non è la felicità. Occorre cercare la perfezione, ma poi liberarsi dalla dittatura della perfezione. Andare verso la felicità. Deve avvenire alla fine come un’esplosione … il sentirsi bene, la felicità di essere nello spazio”.

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16 luglio 2011 ore 17, Palazzo Militello, Enna, Inaugurazione della Mostra

Mostra a Palazzo Militello, Piazza S. Francesco, Enna 

visitabile dal 16 luglio al 16 settembre 2011

tutti i giorni, dalle 10,30 alle 13,00 e dalle 17,00 alle 20,00 – ingresso libero

info@sizaenna.it

+39.0935.500160

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