24 gennaio 2024

Tunnel, bunker e passaggi segreti: tutte le volte che le città sono diventate spazi di crimini, lotte e resistenza

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Dal "monaciello" partenopeo alle reti sotterranee di Hamas: la città è molto più di quello che si vede alla luce del sole. Ecco gli studiosi che hanno condotto ricerche sui suoi luoghi più angusti e sulle modalità con cui si sono generati

Buco formato per furto idrico in Messico, 2022 (Credits Jose Castañares, AFP, Getty)

Nella storia l’idea di possesso del territorio si radicò gradualmente. Con la nascita delle prime città si presentò per l’uomo il problema di gestire la vita stanziale, e di conseguenza salvaguardare le cose in suo possesso. Per l’antropologo Jerry D. Moore è stato proprio l’accumulo di troppi oggetti a costringere gli umani a diventare sedentari. L’azione di privatizzazione graduale di spazi e risorse territoriali scatenò di conseguenza lotte e guerre di appropriazione. Sulle pratiche di sottrazione dei beni materiali sono state affrontate molte analisi negli studi di antropologia urbana.

Thomas More, Utopia

Tra le ricerche contemporanee più interessanti ricordiamo quella di Geoff Manough The Burglar’s Guide to the City (2016). Si tratta di una provocatoria guida destinata ai ladri delle città, un racconto lungo duemila anni di rapine e effrazioni. Il libro di Manough si basa sull’esperienza di ravveduti rapinatori di banche, agenti dell’FBI, consulenti privati di sicurezza, fino alla Divisione di supporto aereo del dipartimento di polizia di Los Angeles, oltre ad aver interpellato una serie di architetti. Nel raccontare la storia sulle pagine del New York Times, Manough ricorda come già Tommaso Moro in Utopia utilizzò tutta la sua esperienza professionale compiuta come vicesceriffo della città di Londra a partire dal 1510. Moro, tramite questo percorso, arrivò a una definizione di città ideale all’interno della sua teoria politica in cui la proprietà privata era perfino immaginata abolita.

L’insurrection qui vient, il misterioso libro del Comité Invisible pubblicato in Francia nel 2007

Manough già nel 2016 parlò nel suo libro di “polizia predittiva”, una tecnologia AI di controllo sociale diventata oramai già operativa in Italia tramite diversi progetti: KeyCrime, creato dalla questura di Milano; X Law; Gianos; il recente Giove, in dotazione della Polizia di Stato. Con tali software i quartieri più a rischio sono scientificamente monitorati prevedendo statisticamente recidive proprio in tali luoghi. Ma c’è un rischio insito in questa metodologia: la formulazione di pregiudizi dettati dagli algoritmi che anticiperebbero il giudizio umano. I crimini, nota Manough, aumentano specie in aree urbane “predisposte” ambientalmente a causa della loro conformazione stradale o per il loro particolare sottosuolo: è più facile scavare tunnel a Los Angeles dove esistono morbide rocce sedimentarie che non a New York dove sotto l’asfalto c’è il duro granito.

Un occupante della fabbrica Bonafont mostra un plastico del sistema idrico compromesso della regione (Credits Pedro Pardo, AFP, Getty)

In L’insurrection Qui Vient, edito nel 2007 dal misterioso gruppo politico francese Comité invisible, nel quarto capitolo viene trattato il tema della guerra urbana, osservando ad esempio quanto i soldati israeliani si fossero trasformati in una sorta di interior designer in grado di sorprendere i nemici palestinesi non più sulle pericolose strade ma procedendo a zig-zag orizzontalmente o verticalmente praticando buchi da un appartamento all’altro. Nei suoi diecimila anni la cultura urbanistica è stata segnata anche da incursioni consumate nell’intricato intestino delle città, aree caratterizzate da passaggi interni da un’abitazione all’altra che hanno garantito ad esempio la sopravvivenza degli ebrei già alla fine del Medioevo. A Venezia, dove fu creato il primo ghetto ebraico della storia, esistevano numerosi passaggi segreti che permettevano ai residenti di attraversare diverse abitazioni private per trovare sicure vie di fuga o raggiungere sinagoghe. Napoli, la città porosa per eccellenza, era piena di passaggi segreti che dalle case portavano a vaste cavità sotterranee per poi rientrare in altre abitazioni con lo scopo di operare assalti, furti, contrabbando e perfino stupri. Tuttora la figura del monaciello incarna a Napoli il simbolo dell’inafferrabile spiritello esperto delle vie sotterranee. A Torino come a Bucarest è molto diffusa l’abitudine delle baby gang di spacciatori di nascondersi e perfino vivere nelle fogne della città. Molte storie durante le persecuzioni naziste raccontano di casi simili o verosimili, come nel romanzo di Charles Belfoure Il nascondiglio segreto di Parigi. Nella recente guerra a Gaza la lotta si è spostata molto nel sottosuolo. Qui i militanti di Hamas hanno costruito una città sotterranea lunga decine di chilometri in cui possono circolare perfino le automobili in alcuni punti.

Charles Belfoure, Il nascondiglio segreto di Parigi, 2014

Sempre tramite l’apertura di varchi nelle pareti, ci sono stati alcuni casi di appartamenti o stanze rubate a proprietari di abitazioni anche in tempi di pace. Da un giorno all’altro c’è chi si è trovato con una stanza in meno aprendo la porta del proprio alloggio, come è accaduto recentemente a Olbia. Il caso ha fatto scalpore e a complicarlo c’è stata la notizia che i presunti ladri in realtà si erano riappropriati di una stanza che all’origine si trovava nella loro planimetria catastale. Esiste anche il fenomeno del “Land grabbing”, ossia l’accaparramento di terre fertili in paesi poveri da parte di multinazionali, un’attività che non si limita alla sola appropriazione della terra ma anche alla sottrazione di risorse locali: energia, acqua, sabbia, forza-lavoro. Un paio d’anni fa il magazine New Yorker ha reso pubblico un singolare furto in Messico, questa volta di acque minerali, che ha creato un’enorme buca in un terreno agricolo nei pressi della città di Santa Maria Zacatepec. Di conseguenza un comitato di cittadini ha occupato la fabbrica di imbottigliamento Bonafont accusata di aver compiuto il misfatto. In casi del genere i tempi della giustizia sono così lunghi da scatenare forme autonome di giustizia spaziale particolarmente difficili poi da risolvere giudizialmente.

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