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Vanvitelli 250: vita e opere dell’architetto della Reggia di Caserta
Architettura
Luigi Vanvitelli in origine era un van Wittel. Andò così.
Suo padre, Caspar van Wittel (1653-1736), nato a Amersfoort, nella provincia di Utrecht, diciottenne era venuto a Roma, dove aveva fatto parte dei tanti nordici che si davano a dipingere vedute di città o scene colte per strada. Dipingeva vedute e abitava a via Margutta che, in origine, era stato un posto per stallieri, addetti a ferrare cavalli e a far lavori in ferro e ringhiere, e poi era diventato un luogo abitato da artisti, specialmente stranieri, soprattutto da quando il Papa Paolo III Farnese (1468-1549) – proprio lui, quello dei ritratti di Tiziano al Museo di Capodimonte – aveva prescritto l’esenzione dalle tasse sulle loro abitazioni e negozi. Cosicché, nei secoli, a via Margutta, ora luogo di gallerie d’arte e ristoranti alla moda, ebbero bottega tantissimi artisti: da Peter Paul Rubens (1577-1640) a Federico Fellini (1920-1993).
Era il 1699 quando Caspar lasciò Roma e venne a Napoli che, dopo essere stata autonoma capitale del Regno d’Aragona, era diventata, dal 1503, una delle capitali del Regno di Spagna e, come tale, sede di un viceré. Per il quale Gaspar dipingeva vedute di Napoli, quando conobbe la napoletana Anna Lorenzani, la sposò e ne ebbe un figlio. Il viceré, Luis de la Cerda duca di Medinaceli y Aragon (1660-1711), fece da compare di battesimo e diede il proprio nome al bambino, che così divenne Luigi Vanvitelli (1700-1773).
Quindi all’inizio del Settecento i van Wittel si trovavano a Napoli. Ma il soggiorno non fu tranquillo. Nel 1701, infatti, scoppiò una congiura che prese il nome dal principe di Macchia. Molti nobili napoletani tentarono di rovesciare il governo spagnolo. Fallirono. Chi fu condannato a morte, chi alla prigione. Molti si rifugiarono presso gli Asburgo d’Austria, a cui, nel 1707, fu affidato il “vicereame napolitano”. Fino al 1734, quando entrò a Napoli, quale re di un regno autonomo, Carlo di Borbone.
Sulla strada dell’architettura
Luigi aveva seguito la famiglia a Roma. Disegnava e dipingeva insieme al padre e con la sua guida, testimoniando il forte legame affettivo, spirituale e artistico tra i due. Le sue vedute erano chiare, luminose, serene, come quelle di Caspar e come saranno le sue architetture. A 15 anni Luigi incontrò il messinese Filippo Juvarra, grande architetto e teorico dell’architettura, che «L’esortò a perseverare nei cominciati studi, dicendogli che miglior fortuna fatta avrebbe in questi perché molti erano i pittori…ma pochi gli architetti». Luigi gli dette ascolto e ben presto ebbe successo come architetto, tanto che poi divenne accademico (1733) della rinomata Accademia di San Luca.
Insieme all’amico Nicola Salvi (1697-1751), l’architetto romano autore della famosa Fontana di Trevi, Luigi realizzò l’acquedotto del Vermicino. Poi ingrandì il porto di Ancona, all’epoca scalo verso l’Oriente, aggiungendovi un isolotto pentagonale che fungeva da lazzaretto. Più tardi fu incaricato del consolidamento della cupola di San Pietro, opera di Michelangelo Buonarroti, resosi necessario perché pericolante. Vi intervenne con la sua profonda capacità ingegneristica, confidando al fratello Urbano (con cui intercorse un ricco epistolario) il suo borbottare contro «Quei fiorentini buffoni che credono di sapere tutto e gli fan plaudire qualsiasi cacata di Michelangiolo». Fu una querelle lunga e stressante per lui, che veniva attaccato dal partito dei fiorentini capeggiato dall’architetto Ferdinando Fuga (1699-1782), ma che si concluse con la sua vittoria.
La Reggia di Caserta, un sogno di opulenza
Era il 1752, quando il re Carlo di Borbone (1716-1788), che aveva in animo di costruire un edificio che emulasse lo splendore di Versailles, gli propose di costruire una Reggia in un luogo vicino Caserta, che da allora si chiamò Caserta Vecchia. Era questo un antico borgo che, con il governo dei Normanni, aveva avuto un periodo di grande splendore, ancora visibile oggi, quando è stato inserito tra i monumenti di interesse nazionale e sta acquistando sempre più un appeal turistico.
La costruzione della reggia comportò un enorme impegno, iniziando dalla sistemazione dei giardini e delle magnifiche fontane, per le quali bisognò costruire un acquedotto, che fu l’Acquedotto Carolino, che portò l’acqua dai monti Tifatini alla pianura casertana. La straordinaria mole di lavoro occupò migliaia di operai, tutti regolarizzati, e miliardi di spese, tutte contabilizzate. Ne abbiamo notizia dai libri contabili precisi e documentati, che riportano, per esempio, che i lavori più pesanti erano affidati agli uomini, che li trasportavano con la carriola, mentre le donne portavano quelli meno pesanti con dei cercini sulla testa.
Eppure Luigi veniva continuamente angustiato dal ministro dell’economia Bernardo Tanucci, toscano come Ferdinando Fuga, l’architetto neoclassico suo rivale, che non capiva la grandezza dell’ingegno, della sensibilità e della fantasia di Luigi. In effetti, simili contrasti aveva subito, il secolo precedente, l’immaginifico e dispendioso napoletano Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) che, chiamato in Francia per costruire il Palazzo del Re, fu rimandato, senza troppi complimenti, in Italia da Jean Baptiste Colbert (1619-1663), Controllore Generale delle finanze statali. Luigi Vanvitelli avrebbe voluto vedere completata la sua opera. Ma non ci riuscì. Fu completata da suo figlio Carlo, valente architetto, dopo la sua morte.
Luigi Vanvitelli, architetto dell’anima
Gli studiosi a volte si attardano nell’oziosa disputa se Vanvitelli sia neoclassico o rococò. Ma le sue opere superano queste definizioni: sono architetture che hanno un’anima. Sono costruzioni di uno spazio vivente. Intrigante è il discorso sulle scale, particolarmente su quelle a chiocciola, che fanno intuire uno spazio in movimento. Amate dal napoletanizzato Vanvitelli, sono state amate anche dal napoletanissimo suo contemporaneo Ferdinando Sanfelice (1675-1748).
Nel Palazzo Reale di Caserta c’è un luogo «Dove campisce la montata regia», che è il vasto pianerottolo, descritto da Vanvitelli, che ne fu il creatore, da cui si accede agli appartamenti reali. Qui, sul pavimento, grande, complicata e bellissima c’è una stella. Ma si può notare qualcosa di ancora più bello, in alto, sotto la cupola che copre e definisce questo spazio: è un’immagine particolare. I lacunari, cioè i riquadri della concava copertura, si ingrandiscono via via verso la curva di base della cupola e, nel far questo, si dispongono girando a elica. Sono l’espressione chiara di uno spazio curvo che gira.
Nell’articolo su Vanvitelli uno sproloquio di date! Gaspar van Wittel muore nel 1636 ma nel 1700 ha un figlio e nel 1796 va a Napoli!!! ma rileggete quello che scrivete please!