20 agosto 2003

Da Praga con furore

 
La Biennale di Praga, organizzata dallo staff della rivista Flash Art, sta per chiudere i battenti. Seconda esperienza, dopo quella di Tirana del 2002, è stata pubblicizzata come alternativa alla Biennale veneziana. In una breve intervista uno dei curatori, Luca Beatrice, critico torinese e docente all’Accademia di Brera, spiega alcune idee legate all’evento…

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Secondo quali idee guida avete organizzato questa Biennale e perché avete scelto Praga?
Prague Biennale 1, organizzata e curata da Giancarlo Politi e Helena Kontova, ha come tema di fondo il rapporto tra centro e periferie, considerando la fatidica data dell’11 settembre come un drammatico punto di non ritorno della storia dell’umanità. Anche la cultura visiva ha dovuto ripensare i propri ambiti, temi e territori, tenendo conto che oggi New York non è più l’unico centro del mondo e che le realtà metropolitane sono assai più complesse e mutevoli. Su questo fil rouge si è inserita l’esperienza di oltre venti curatori da tutto il mondo, non solo critici ma anche artisti, architetti e galleristi. Praga è una città nuova, meta del turismo mondiale, ma ancora, e certamente per poco, estranea al teatro delle grandi mostre internazionali. Queste sono le sedi più interessanti per cominciare un nuovo discorso, è uno stimolo molto forte.

Quale deve essere oggi, secondo te, il senso di una Biennale?
Biennale è un termine di comodo, un modo per indicare che questo appuntamento potrebbe avere un seguito. Non è una categoria del pensiero.

Qual è allora la categoria compiuta che può definire il nostro tempo?
Non credo che si possa parlare di categorie ma di aria che si respira.

Voi siete indipendenti. Cosa significa oltre al fatto di disporre di pochissimo denaro?
La cultura è un mercato e come tale deve essere in grado di autoalimentarsi, sennò meglio lasciar perdere. Personalmente non credo giusta l’applicazione dello stato assistenziale al nostro lavoro, infatti chi può permettersi di disporre dei soldi altrui non sente più di tanto la responsabilità di rivolgersi a un pubblico. Secondo me la fiera di Basilea è il reale indicatore del sistema dell’arte, non certo la Biennale di Venezia. Ma questa è un’opinione totalmente personale.

Gli artisti della Biennale di Praga sono tutti molto giovani e Flash Art promuove l’arte giovane. La dimensione anagrafica significa molto oggi e perché?
Giovane significa innanzitutto l’investimento di uno spirito innovativo, talora antagonista, dentro il processo creativo. Per questo ci interessa. D’altra parte, ritieni più stimolante per capire il tuo tempo, ascoltare i White Stripes o i Rolling Stones?

Passiamo alla tua mostra, che mi sembra faccia il punto sulle differenti vie di evoluzione della pittura contemporanea. Giusto?
Ho curato insieme a Kontowa e Lauri Firstenberg, una giovane curatrice americana, la sezione Lazarus Effect che vuole fare il punto sulle ultimissime linee guida della pittura e quindi sulle presenze più innovative, quelli che stanno spiccando il volo per il grande successo, come Dana Schutz o Julie Merethu, e quelli che lo avranno domani. Per noi la pittura è lingua viva, in costante evoluzione, niente a che vedere con il processo di glorificazione – mummificazione visto di recente al Museo Correr.

Nel tuo lavoro metti spesso in relazione arte e musica. Sono davvero due dimensioni che si rispecchiano l’una nell’altra?
Roberto Longhi diceva che la cultura è un rapporto. A me piace molto attraversare l’arte pensando a ciò che ascolto, ma Prague Biennale è piena di contaminazioni e attraversamenti con l’architettura, la politica, il cinema. Per ciò che concerne la musica ti segnalo i tre video dei Sigur Ros invitati da Vezzoli e i disegni dell’islandese Gabriela Fridriksdottir che ha disegnato il sito di Björk e il booklet dell’ultimo album.

Mi sembra che la tua mostra sia la più ampia, ma molti altri progetti contano pochi artisti. E’ stata una scelta voluta e quale giustificazione può avere trattandosi di una Biennale?
Lazarus effetc è la mostra più ampia perché ci interessava dedicare più attenzione alla pittura, che di solito è assurdamente trascurata, vista l’assuefazione al trend generale che crede la pittura cosa sorpassata.

Come ti definiresti professionalmente?
Sono un critico di mezza età. Però conosco capillarmente l’arte italiana da almeno dieci anni. Forse per questo Giancarlo mi ha sollecitato a selezionare insieme a lui una panoramica di artisti italiani, giovani e meno giovani. Mescolando un po’ le carte, come faccio di solito nel mio lavoro, che contempla artisti di diverse generazioni e stili rinunciando al giovanilismo.

Come consideri il fattore globalizzazione nell’arte contemporanea?
Global – no global è un brand, una parola d’ordine utilizzata come è giusto che sia in molte espressioni delle arti e della cultura, ma di per sé non ha un significato esaustivo.

Questa Biennale ha trovato un riferimento critico nella Biennale di Venezia. E’ il sintomo di un disagio o normale dialettica?
Mi pare più una tua impressione, sono due realtà imparagonabili, almeno dal punto di vista economico.

Insegni all’Accademia di Brera. Che idea hai della didattica artistica?
Sento questo compito con grande responsabilità. Offrire la propria esperienza ai giovani (forse futuri artisti) è cosa che mi riempie di soddisfazione.

Come affrontano i giovani artisti che incontri in Accademia il sistema dell’arte di oggi?
Spero che non frequentino l’accademia pensando al sistema.

Che idea hai della critica e dei critici italiani?
Nessuna idea particolare.

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link correlati
Il sito della Biennale di Praga
Il sito di Flash Art

nicola angerame

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