02 settembre 2010

fino al 30.IX.2010 Damien Hirst Montecarlo, Musée Océanographique

 
Dove mettere uno squalo sotto formalina? Ma è chiaro, in un museo oceanografico. E così l’opera più nota dell’ex YBA finisce in Costa Azzurra. Nella sua parte più danarosa, ovviamente...

di

Il Museo Oceanografico del Principato di Monaco festeggia
i suoi cent’anni con una personale di Damien Hirst (Bristol, 1965; vive a Devon e
Londra). Il palazzo principesco, costruito su una rocca a strapiombo sul mare,
conserva le testimonianze della passione per i mari nutrita da Alberto I. I
reperti sono di quelli che farebbero ricche decine di wunderkammer: dai resti
fossili di pesci primitivi agli scheletri di megattere, dai molluschi in
formaldeide alle foto in tre dimensioni riprese sulla nave studi del Principe,
e per finire conchiglie lavorate con ogni tecnica e stile.

In questa dimora della morte, del reperto e, a suo modo,
del mostruoso, s’inserisce e s’insinua la personale di Hirst. Annunciata dalle
due statue all’ingresso, il modello anatomico monumentalizzato (già collezione
Saatchi) e un unicorno con muscoli a vista, la mostra si apre nella storica
hall con una colomba ad ali spiegate e un ramo d’ulivo nel becco: bianca come
la purezza ma decisamente morta dentro un bagno di formaldeide. Dietro di lei,
uno dei capolavori del Novecento, l’opera che ha fatto e fa discutere, un documento
del cinismo d’artista d’inizio millennio, usuale riflessione sulla morte ma
anche specchio di una intera civiltà, ultracapitalistica culla di una nuova
specie di essere umano, la cui ingordigia trova una perfetta allegoria nello
squalo bianco, ma in realtà ben pericoloso del re degli abissi.

Per questa mostra Hirst ha creato una nuova installazione
con una femmina pescata anni fa e messa dentro una vasca di formaldeide pesante
30 tonnellate. Per l’occasione il pavimento della sala è stato rinforzato. The
Immortal
è il
titolo di un’opera che tenta disperatamente di bloccare il processo
disgregativo del corpo glorioso dell’animale. La bocca spalancata in un gesto d’attacco,
le pinne ritte come quelle di una macchina “vorticista”. Non è paura quella che
serpeggia nello stomaco, ma un istinto atavico, qualcosa che dorme da milioni
di anni nei recessi del cervello e qui, nell’ambiente superprotetto di un
museo, per un momento si fa sentire.

Incontrare questa creatura-opera è un’esperienza che
occorre fare in modo diretto, la fotografia l’appiattisce drasticamente fino a
sfinirne il vero senso in un concetto. Ma in quest’opera, solo apparentemente
concettuale e duchampiana, il concetto viene sopraffatto dal corpo. Non è il
museo che lo rende un’opera ma è la sua presenza che potrebbe,
parossisticamente, trasformare in museo qualsiasi luogo le si metta attorno. È
l’opera più riuscita di Hirst.

La mostra prosegue con altre sessanta opere, il meglio del
repertorio hirstiano, ma il sapore è insipido. Farfalle gigantesche costruite
con ali di farfalle colorate, bacheche immense colme di insetti e aracnidi,
teche con strumenti chirurgici, dorate mensole con pietre preziose (finte o no,
poco importa, il valore dell’intera mostra si avvicini ai 130 milioni di euro
stimati).

Altri capolavori si trovano sotto un calamaro gigante del
museo, come la statua dorata di un san Raffaele scorticato e il teschio fuori scala
e multicolore che esplode in una risata cosmica. È il ghigno di Hirst, che
risponde in silenzio a fan e detrattori, lui sì probabilmente, un giorno,
immortale.

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dal 2 aprile al 30 settembre 2010

Damien Hirst – Cornucopia

Musée Océanographique

Avenue Saint-martin – 98000 Monaco

Catalogo disponible, € 90

Info: tel. +377 93153600; fax +377 93505297; musee@oceano.mc; www.oceano.org

[exibart]

2 Commenti

  1. Dai tempi dell’invenzione del ready-made dovrebbe, ormai, essere chiaro che, se di ogni cosa possiamo fruire artisticamente (in linea di principio), la modalità di fruizione artistica ha la sua specificità, e tale specifica modalità di fruizione la suggeriscono i CONTESTI.
    Per citare Duchamp, il modo in cui ci rapportiamo allo scolabottiglie quando si trova dal cantiniere (=contesto) è chiaramente diverso dal modo in cui ci rapportiamo al medesimo scolabottiglie allorché viene collocato in un museo d’arte (=contesto) e riceve così statuto di artisticità; ciò lo si comprende bene se pensiamo ai parametri che impieghiamo per valutare la qualità dell’oggetto: essi differiscono sostanzialmente a seconda che lo si consideri arte oppure mero scolabottiglie. Allo stesso modo, molte delle opere di Leonardo da Vinci possiamo fruirle secondo modalità artistica, tecnico-scientifica, antropologica ecc.; è il contesto in cui le opere vengono collocate a legittimare un’uso piuttosto che un altro – museo d’arte, museo della scienza e della tecnica ecc. (del resto, se esistono diverse tipologie di museo un motivo ci sarà!).
    Ora, il punto è: se lo squalo di Hirst viene posto in un museo oceanografico il rapporto che ha senso intessere con esso non è più di tipo artistico (e se qualcuno intesse con esso un rapporto di tipo artistico è solo perché, per una sorta di riflesso condizionato dovuto all’abitudine raggiunta dall’aver ripetutamente visto lo squalo in contesti artistici, egli tende a fruirne costantemente secondo modalità artistiche). Pertanto, se gli intenti di chi ha argonizzato l’esposizione erano di tipo artistico, costui dimostra di non avere minimamente compreso il ruolo e l’importanza del concetto di CONTESTO, fondamentale per comprendere lo stesso concetto di ARTE; e dunque sarebbe il caso (forse) che riflettesse sull’opportunità di cambiare mestiere.

  2. a svelarte, chiunque sia, i miei complimenti: un ottimo commento, molto lucido e puntuale.
    e bello anche quel neologismo, “argonizzato”, che per un attimo mi ha provocato un lieve giramento di testa.. 🙂

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