11 settembre 2021

11 settembre 2021: Odissea Maurizio Cattelan

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“Breath Ghosts Blind” di Maurizio Cattelan sembra un evento sincronico rispetto a quello che stiamo vedendo accadere proprio in questi giorni in Afghanistan e impone una riflessione politica e psicologica sulla nostra contemporaneità e su quanto l’evento dell’11 settembre 2001 la abbia segnata

Maurizio Cattelan, Blind, 2021, Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021 Resina, legno, acciaio, alluminio, polistirene, pittura 1695 x 1300 x 1195 cm. Prodotta da Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto: Agostino Osio

Tutto è già trascorso, tutto sta accadendo, tutto sarà destinato a ripetersi, in una spirale ascendente dove ogni ritorno contiene la paura e la speranza di un mondo nuovo. La mostra “Breath Ghosts Blind” di Maurizio Cattelan sembra un evento sincronico rispetto a quello che stiamo vedendo accadere proprio in questi giorni in Afghanistan e impone una riflessione politica e psicologica sulla nostra contemporaneità e su quanto l’evento dell’11 settembre 2001 la abbia segnata.
Interpretando gli spazi industriali del Pirelli HangarBicocca come una grande cattedrale, il percorso espositivo inizia nella Piazza con un rimando al tema della natività: Breath, respiro, prima funzione vitale, è una scultura raffigurante un uomo, probabilmente un barbone, che dorme per terra in posizione fetale, insieme ad un cane. E’ piccolo rispetto al vuoto che lo circonda, ma un fascio di luce lo illumina dall’alto e risplende grazie al marmo di Carrara bianco con il quale è stato realizzato. Il capannello di persone intorno che lo fotografa infastidisce.

Maurizio Cattelan, Breath, 2021, Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021, Marmo di Carrara, Figura umana: 40 x 78 x 131 cm, Cane: 30 x 65 x 40 cm, Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto: Agostino Osio

Le Navate dell’hangar accolgono invece Ghosts, nuova versione di Tourists e Others, esposte alla Biennale di Venezia rispettivamente nel 1997 e nel 2011. Si tratta di migliaia di piccioni in tassidermia che qui appaiono, uno dopo l’altro, in ogni angolo, sulle travi e negli anfratti, dell’edificio. Come risaputo, i piccioni sono viaggiatori, hanno storie da narrare, ma sanno sempre tornare a casa e, infatti, questo luogo sembra appartenere loro. Siamo evidentemente noi gli intrusi, i performer di una grande messa in scena che li intrattiene. Drammaticamente esaltati dall’illuminazione curata da Pasquale Mari, il perturbante che producono, tra realtà e finzione, è una delle tecniche più usate dall’artista. Percorrendo nella penombra le lunghe Navate, ampie come le avenue newyorkesi, la loro presenza ha il sapore di un incubo annunciato.
Arrivati al Cubo l’artista presenta infine Blind, terza e ultima opera in mostra: un memoriale dell’11 settembre che occupa l’abside di questa ipotetica chiesa. La prima impressione è quella di trovarmi davanti a una crocifissione.
L’opera è composta da un parallelepipedo nero intersecato da un aereo. Alta quasi 17 metri, risulta sproporzionata rispetto all’ambiente circostante: non si riesce a fare abbastanza passi indietro per vederla da una certa distanza, ci sovrasta e contrasta le pareti chiare. Cattelan ci costringe a stare lì sotto, a guardare impotenti dal basso quello che abbiamo già visto e rivisto tante volte su uno schermo piatto.

Maurizio Cattelan, Ghosts, 2021, Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021, Piccioni in tassidermia, Dimensioni ambientali
Courtesy l’artista e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto: Agostino Osio

Lineare e stilizzata come un logo, la forza di Blind sta proprio nella sua didascalica semplicità. È un memoriale, sì, ma non genera empatia, non ha il sapore di un muro del pianto perché mette in scena senza alcuna mediazione l’apice dell’atto criminale. Così, mentre nel memoriale di Ground Zero a New York le fondamenta delle Twin Towers sono state trasformate in due vasche nere con i bordi intarsiati dei nomi delle vittime e dalle quali scorre l’acqua, che cade giù, nell’oblio delle viscere della terra, insieme alle nostre lacrime e al ricordo delle torri che si sgretolarono in pochi secondi, nel Cubo dell’HangarBicocca di Milano è imprigionato un grande tabù che arriva come un cazzotto nello stomaco. Che cosa è successo in questi vent’anni? Quando è iniziata la traiettoria di quegli aerei e dove è diretta oggi? Le tragiche immagini di questi giorni, del ritorno dei Talebani e dei corpi che cadono nel vuoto dei fuggitivi afghani appesi agli aerei in partenza da Kabul ci riportano in un attimo a quel giorno, agli altri corpi, sempre di civili ma stavolta americani, che scelsero di lanciarsi dalle torri piuttosto che incontrare le fiamme.
Mi risuonano nella testa le parole rilasciate in una recente intervista alla “Lettura” del Corriere della Sera di Ayad Akhtar, premio Pulitzer nel 2013 con un testo teatrale sul rapporto tra Occidente e Oriente: “Negli Stati Uniti l’11 settembre viene trattato alla stregua di un evento sacro mentre gli americani sono le vittime di un male oscuro, di una tempesta satanica emersa dalle profondità dell’universo. Come se noi non avessimo a che fare con tutto ciò. Due decenni dopo non siamo ancora in grado di parlarne”. Frasi che sono lame, pronunciate da un americano figlio di immigrati Pakistani. Come se i fantasmi dell’11 settembre fossero ancora lì a disturbare l’inconscio collettivo e a non dar pace a chi è sopravvissuto.

Maurizio Cattelan, Blind, 2021, Veduta dell’installazione, Pirelli HangarBicocca, Milano, 2021
Resina, legno, acciaio, alluminio, polistirene, pittura 1695 x 1300 x 1195 cm. Prodotta da Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Courtesy l’artista, Marian Goodman Gallery e Pirelli HangarBicocca, Milano. Foto: Agostino Osio

Blind, totem nero e fallico, non fa altro che sbatterci in faccia la violenza della nostra contemporaneità. Ciechi davanti all’evidenza di una storia che si ripete, fantasmi del nostro passato, continuiamo a essere gli artefici di uno sviluppo patriarcale condito di sopraffazione, narcisismo, terrore e ipocrisia. Complici di una società divenuta schizzofrenicamente prima tecnofila, poi complottista, e poi ancora tecnofobica, alla ricerca costante di una storia a cui credere. Sotto questo aspetto la mostra mi ricorda, non a caso, diverse scene del film 2001. Odissea Nello Spazio, quando per esempio le scimmie di Stanley Kubrick incontrano il monolite nero, che tanto rimanda all’opera Blind: i pianeti si allineano, gli animali cambiano la loro visione e prendono un osso, il primo “utensile”, per generare violenza e nutrirsi a discapito dei propri simili. E poi ancora ritrovo in Hal, l’intelligenza artificiale che tutto vede e tutto sa, quegli occhi rossi dei piccioni di Cattelan che ci scrutano, come simbolo della stagione del controllo sulle masse inaugurata l’11 settembre, ma anche del voyerismo della nostra quotidianità vissuta tramite i social media.
C’è infine un ultimo dettaglio che vale la pena di ricordare e che fa quasi da boomerang finale all’andamento iperbolico della mostra. Si tratta di 13 piccioni che siedono isolati dietro al grande memoriale. Uno, quello al centro, è bianco. Sembrano un’allegoria dell’Ultima Cena…oppure una setta oscura che guarda l’evento da una posizione privilegiata. Ripenso al candore di Breath e subito mi risuonano in testa i respiri del comandante David Bowman di 2001. Odissea nello spazio. Il silenzio e la solitudine accomunano i due protagonisti. Da una parte un barbone con un cane, il suo miglior amico, ci riporta a un concetto originario e sacro tra uomo e natura, non mediato dalla tecnologia. Dall’altra un astronauta addestrato che lotta nel buio dello spazio contro Hal, la più intelligente delle macchine divenuta il nemico da abbattere.
Percorrendo a ritroso la mostra le opere germogliano nella mente grazie al meccanismo psicologico della proiezione. Scissi tra un “noi” e un “loro”, camminiamo gomito a gomito con tutto ciò che non vogliamo confrontare (la povertà, la natura ostile, la morte). Con i suoi pieni e vuoti, luci e ombre, il ritmo e la drammaturgia della mostra sono sapientemente calibrati, tanto da far pensare come e se le opere inedite possano vivere in un altro contesto, magari pubblico. Nel frattempo, qui, manca l’irriverenza, il sorriso e la provocazione. Il personaggio Maurizio Cattelan ha fatto un passo indietro, al suo posto risplende un’umanità inginocchiata al cospetto della Storia con le S maiuscola.

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