26 febbraio 2024

A tu per tu con Stefano Maria Berardi

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Dagli esordi, «Ho disegnato fin da bambino», alla svolta artistica «Volevo fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non esistesse, che fosse solo mio» andiamo a conoscere Stefano Maria Berardi, scoprendo con lui l’originale tecnica del disegno, a colori, su carta carbone

Stefano Maria Berardi

«Se l’intelletto non avesse limiti, l’arte per me non esisterebbe, perché non potremmo stupirci»: sostiene Stefano Maria Berardi che vive e lavora a Urbino, ha 35 anni e fin da bambino ha trovato nell’arte l’espressione che risolveva la sua curiosità e le sue sofferenze. Dopo anni di ricerca, di studio, di approfondimento, votato sempre alla scoperta di qualcosa che fosse unicamente suo, non dunque mera riproduzione, è riuscito a fare sua la carta carbone, sulla quale disegna a colori – come se fosse un comune foglio bianco – un mondo immaginifico, fantasioso, ma sempre reale. 

Stefano, partiamo dagli esordi. Quando hai incontrato l’arte per la prima volta? 

«Fin da bambino avvertivo una certa sofferenza, avevo molta curiosità di conoscere ciò che mi stava intorno e faticavo ad accettare l’impossibilità di andare oltre alle spiegazioni più semplici. Queste sensazioni le rigettavo nell’arte, i miei sentimenti si risolvevano, come uno sfogo, nel disegno: avevo un costante bisogno di creare e di inventare, ma anche di elaborare la quotidianità, trasformandola per trovare benessere. Ho sempre disegnato, poi a scuola, nelle classi superiori, nonostante mi sia diplomato all’istituto alberghiero, ho frequentato la scuola d’arte di Urbino, dove ho potuto esprimere l’insoddisfazione che provavo dentro di me. Mi sono misurato con l’arte grafica, con quella plastica, con quella dal vero, trovando in ogni ambito espressione di una diversità che sento mia. Una diversità che mi piace definire istigante, sia per me e con me che con i miei professori, che hanno compreso e apprezzato questa mia particolarità a tratti ironica, folle e pungente». 

Stefano Maria Berardi, Perseverare è umano. Courtesy l’artista

Hai qualche ricordo di quegli anni?

«Si. Una volta lavorando, per esempio, con l’argilla ci era stato chiesto di creare qualcosa di nostro, lasciando correre libera l’immaginazione. Ricordo che la maggior parte dei miei compagni diede forma a soggetti e architetture, mentre io chiesi un tavolo molto grande per rotolare il blocco di argilla fino a ottenere una grossa sfera, che forai nel mezzo per collocarvi la forma di un verme, che si espandeva da ambo i lati. D’istinto lo intitolai É un mostro. Avevo preso un voto molto alto, ma soprattutto avevo dato essenza alla potenza che avevo dentro».

E poi? 

«Negli anni a seguire ho sempre coltivato l’interesse per l’arte, a tutto tondo. Poi nel 2015, a seguito di un lutto familiare che mi ha segnato molto, fino a portarmi alla conversione religiosa, ho ascoltato l’intimo desiderio che avevo di dare una svolta alla mia vita in ambito artistico. Volevo fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non esistesse. Non ho mai accettato di dover ripetere, ho sempre sentito il bisogno di essere originale: provo insofferenza al pensiero che qualcosa che non fosse unicamente mio potesse appartenermi. La svolta nell’ambito artistico è arrivata con queste disposizioni partendo da una riflessione sui supporti, non sui soggetti e sulla loro raffigurazione che è venuta in un secondo momento». 

Stefano Maria Berardi, Non orgasmo. Courtesy l’artista

Ricercando il tuo supporto, ti sei imbattuto nella carta carbone…

«Volevo e cercavo un supporto che fosse originale, che destasse curiosità. E ho pensato alla carta carbone, chiedendomi come avrei potuto disegnarci sopra. Conoscevo la carta carbone, è una carta che al tatto, anche sporcandoti, si percepisce viva. Documentandomi, nessuno aveva mai disegnato sulla carta carbone, e questa cosa mi ispirava e mi stimolava a trovare un modo per poterlo fare. I colori a spirito, i pennarelli a spirito, per esempio, non lasciavano alcuna traccia. Tanti sono i materiali che ho testato e sperimentato, per me era una  vera e propria sfida. Poi ho trovato un insieme di colori che usati con una miscela che io avevo creato, mi permettevano di disegnare sulla carta carbone come fosse un comune foglio di carta da disegno o su una tela. Trovato questo materiale mi sono dedicato al perfezionamento della tecnica, tanto che oggi riesco a creare effetti diversi, a cancellare o addirittura a rimuovere la carta carbone dallo stato plastico che le sottosta».

Che rapporto c’è tra idea e creazione dell’opera? 

«C’è sempre un progetto. Dedico molto tempo alla progettazione quello che andrò a realizzare. C’è sempre un concetto dietro, che elaboro con tanto impegno, spendendomi tanto nella ricerca». 

Stefano Maria Berardi, INFIRMO. Courtesy l’artista

Chi sono i soggetti a cui dai figurazione nelle tue opere? 

«I soggetti delle mie opere esistono ma non sono visibili. Mi spiego con degli esempi. Se guardi una coccinella al microscopio e ti focalizzi sulla sua testa ti imbatti nella figurazione del caviale, se guardi la raffigurazione scientifica di un timpano scorgi il viso di un pesce, se guardi l’illustrazione della struttura neuroendocrina di un insetto vedi già a occhio nudo un’opera d’arte. Ho molti libri, illustrati, antichi, anche ottocenteschi, che mi permettono ogni giorno di scoprire visivamente forme che pur esistenti ignoriamo. In nessun caso mi limito a constatare l’artisticità al mero scopo riproduttivo, ma mi approprio di quel non visto inserirlo nell’assemblaggio dell’opera. Vivo di questa ricerca, costantemente, continuamente, imbattendomi in un mondo sorprendente, stupefacente, di cui molti ignorano l’esistenza e a cui io tolgo il velo, per portarlo a galla». 

Essendo padrone della tecnica, dalle prime sperimentazioni a oggi stai, come è evoluto il tuo lavoro?

«Lavoro molto con la fantasia, una fantasia che, però, si fonda sulla dimensione reale e che continuo a esplorare, perché non ha limiti. Più la esploro, più la pratico, con sempre maggiore passione, più le figure e le immagini si fanno numerose e gli assemblaggi possibili. Fedele a questa dimensione si, nel corso del tempo qualche evoluzione c’è stata. Lavoro con formati sempre diversi, dai più tradizionali – A5, A4, A3 – a quelli più obsoleti, in formato gigante, che erano soliti usare tipografi e geometri tra gli anni ’50 e gli anni ’60. A volte, pur senza bucare il foglio, arrivo a rimuovere gli olii e le cere della carta, altre, non sempre ma sicuramente spesse – inserisco nell’opera materiale specchiante». 

Stefano Maria Berardi, L’attimo per cogliere l’attimo

Che uso fai dello specchio? 

«Quando ho realizzato le prime opere, come L’attimo per cogliere l’attimo, che è un assemblaggio di un apparato genitale femminile e una testa di cervo, mi sono preso del tempo per guardarle, per fissarle, e mi è accaduto di vedermi al loro interno. Non c’ero fisicamente, c’era la mia mente, tutto il mio essere. Ho tenuto con me a lungo questa sensazione, questa possibilità che io avvertivo, di potermi specchiare – e come me, chiunque altro – fino a quando, al momento di incorniciarle, ho deciso di inserire lo specchio al posto del comune passepartout. Nel tempo oltre che come margine, ho usato lo specchio anche dentro all’opera, in prossimità di certi tagli, o ritagli, che realizzo non casualmente ma con un significato ben preciso sul foglio. Così facendo chi guarda può, oltre che specchiarsi, intravedere il proprio riflesso, ombroso, nella carta carbone: è come un viaggio». 

Che valore ha il linguaggio nel complesso della tua opera?

«Sicuramente importante, in molte opere inserisco infatti un pezzo di nastro di scotch con una parola scritta sopra, che spesso derivo dalla lingua latina. Sicuramente e con grande rispetto per la mia fede, che per me rappresenta un nucleo essenziale ed esistenziale, ma anche per una questione di eredità storica, molti dei libri su cui ho fatto e faccio ricerca, sono testi antichi , molto antichi, pregni di latino». 

Ogni lavoro esiste a sé, ma tutti insieme, hai mai pensato, che siano parte di un progetto più ampio? 

«C’è un collegamento finale, nonostante ogni lavoro sia diverso dall’altro, e ognuno abbia la sua storia, tutti insieme sono parte di un nucleo che custodisco dentro di me, nel mio cuore». 

Stefano Maria Berardi, REX AFRICAE. Courtesy l’artista

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