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Alla Fondazione Sant’Elia di Palermo il Novecento viene raccontato attraverso l’amore per il collezionismo
Arte contemporanea
È il racconto dell’arte del Novecento il focus di Pinakothek’a, la grande mostra in corso alla Fondazione Sant’Elia di Palermo. Un racconto che nasce dalla passione del conoscere, che si riconnette a grandi collezioni palermitane di pittura del XIX secolo e dei primi del XX, e a quella del collezionare che, grazie al progetto di Francesco Galvagno, si muove verso il XXI secolo per arrivare fino alla “cronaca” del presente con opere di artisti affermati o esordienti, tutti in qualche modo legati al mecenatismo e alla promozione culturale di Elenk’art.

La Fondazione, nata nel 2010 dalla volontà del consiglio provinciale pro tempore, oltre alla sede del settecentesco Palazzo Santa Croce e Trigona di Sant’Elia, che si affaccia su via Maqueda, gestisce anche il Loggiato di San Bartolomeo, sul mare, all’altezza di Porta Felice, anch’essa sede espositiva. Pinakothek’a, prorogata fino al 20 luglio 2025, attraversa, da Cagnaccio a Guttuso, da Christo e Jeanne-Claude ad Arienti, come recita il sottotitolo, «un secolo di culture figurative che si rivelano per addensamenti e diradazioni», con grandi testi figurativi che si accostano a lavori apparentemente minori, grandi autori ad autori solitamente meno celebrati, in una fitta rete di rimandi formali, storici, tematici.

Il percorso ha inizio negli spazi della Cavallerizza, dove il cuore primo novecentesco della collezione si rivela, fra Avanguardie e Modernismo, in un nucleo di opere da museo: un piccolo Braque del ’21 è accostato a un nudo di Casorati del 1940, una marina di Carrà del ’27 accanto De Pisis e a Donghi. Il fuoco prospettico della sala, occupato da un enigmatico ritratto familiare di Cagnaccio, è messo in enfasi ulteriore da un bronzo del 1934 di Francesco Messina dalla portentosa resa anatomica. Unica altra scultura in questo spazio un Marino Marini che si riverbera nelle figure di un Campigli e di un Sironi. E poi Mafai, Pirandello, Savinio, Casorati, De Chirico, quasi in un crescendo che culmina in un’iconica Piazza d’Italia.
Al piano nobile il percorso della mostra procede con una grande sala interamente dedicata a Guttuso, con una selezione di opere che mette bene in evidenza gli echi storici e culturali che dagli Quaranta agli anni Settanta ne hanno interessato l’arco creativo. Nella sala dedicata a Forma 1 e dintorni ha il posto d’onore una parete in cui sono raggruppate opere di confine fra linguaggi, tutte della seconda metà degli anni Quaranta, di Turcato, Accardi, Perilli, Guerrini, Dorazio, Sanfilippo. Ritroviamo, poi, Dorazio, Perilli e Turcato nella sala successiva, con alcune grandi opere che intercettano e mettono a fuoco i grandi temi di ricerca scaturiti fra anni Cinquanta e Sessanta. Nella sala dedicata al Gruppo degli otto e all’Informale, insieme ad Hartung e ad Afro Basaldella, si impone all’attenzione una scelta di opere di Corpora, di Cassinari e di Birolli, mentre lo spazio successivo è dedicato alla pittura analitica e agli ulteriori sviluppi dell’astrazione.

Dominata da un Vasarely, la sala dedicata l’optical art e all’arte cinetica precede un’ampia selezione di opere degli anni Sessanta e Settanta che ne raccontano le contraddizioni. Protagonisti Giosetta Fioroni, Mario Schifano, Alighiero Boetti, Enrico Baj, Pino Pascali, Salvo.
La sala maggiore del piano nobile, a partire dal Nouveau Réalisme, raccoglie opere caratterizzate da assemblaggi, compressioni, tagli, azioni performative, a mettere insieme gli esiti delle sperimentazioni degli anni Settanta e oltre. Il piano nobile, infine, si chiude con tre sale che raccontano il ritorno alla pittura con i pittori della realtà (tra i quali Gregorio Sciltian e i fratelli Bueno), con un ampio spazio dedicato a Bruno Caruso, quasi a ripercorrerne tutti i passaggi, e un ultimo più intimo allestimento di opere di Franco Sarnari e Piero Guccione.

Il piano delle capriate si propone come una sorta di grande quadreria complessiva, una specie di meta-discorso sull’esporre e sul collezionare con incipit Audience 9, Florence di Thomas Struth di fianco a due Bertozzi & Casoni e a un Per Barclay che ha dentro, come quadro nel quadro, un Arienti che gli sta a fianco. I legami che Elenk’art intrattiene con la cosiddetta Scuola di Palermo si esprimono al meglio nella sala dedicata ad Andrea Di Marco, Alessandro Bazan, Francesco De Grandi e Fulvio Di Piazza. L’elemento, tuttavia, che caratterizza l’allestimento del piano delle capriate è l’ibridazione fra linguaggi, con opere che vanno da Mimmo Germanà a Peter Halley, da Francesco Lauretta a Enzo Cucchi. Questo complesso resistere e cedere alla tentazione classificatoria cede infine il passo all’ultima sala dove una vivace quadreria è quasi una caccia al tesoro in cui ritrovare, insieme a Saro Mirabella, a Braque, a Marchegiani, a De Chirico, e ancora a Guttuso e a Pirandello ed altri, i presupposti primo novecenteschi del lavoro di tanti artisti presenti in collezione: William Marc Zanghi, Marco Bettio, Mario Consiglio, Daniele Franzella, Giovanni La Cognata, Andrea Cusumano, Giuseppe Agnello, Roberto Orlando, Giuseppe Borgia, Manfredi Beninati, Andrea Buglisi, Vito Stassi, Luigi Presicce, Giovanni Blanco, Rossana Taormina, Giuseppe Colombo e, come si dice in questi casi, tanti altri.