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Dopo la Biennale di Venezia, il Disobedience Archive di Scotini arriva a Buenos Aires
Arte contemporanea
di redazione
Dal 10 maggio 2025, PROA21, l’ala sperimentale della Fundación Proa a Buenos Aires, ospita Archivo de la Desobediencia (la calle), una nuova tappa dell’Archivio della Disobbedienza, progetto a lungo termine ideato dal curatore e teorico italiano Marco Scotini. Presentata per la prima volta nel 2005, questa piattaforma itinerante e multiforme si configura come un dispositivo espositivo che mette in discussione le convenzioni dei processi di archiviazione, a partire dal concetto di disobbedienza come atto di conoscenza e gesto estetico e politico.
Il suo scopo è duplice: da un lato, «Mostrare precisamente ciò che i media corporativi, in quanto agenti centrali dell’autoritarismo politico, tentano di occultare o rimuovere dalla vista», nelle parole dello stesso Scotini, dall’altro, «Riprendere il controllo sull’espropriazione violenta dell’esperienza, finendo così per produrre storia e renderla visibile».

L’intersezione fra arte e azione politica è da sempre al centro della ricerca curatoriale di Scotini. L’Archivio della Disobbedienza agisce come un campo di forze in cui le opere e i documenti si confrontano, si sovrappongono e si ridefiniscono in base al contesto in cui vengono attivate. Così è stato in 20 presentazioni internazionali, dalla Van Abbemuseum di Eindhoven al Kunstraum Kreuzberg di Berlino, fino alla recente inclusione nella 60ma Biennale d’arte di Venezia del 2024.

In quella occasione, Disobedience Archive presentò due nuove macrosezioni con 40 filmati: Diaspora Activism, che esplora le migrazioni transnazionali come forma di resistenza al neoliberismo globale e ridefinizione della cittadinanza, e Gender Disobedience, dedicata alle soggettività nomadi e queer come rottura del binarismo eterosessuale. La costante è il cambiamento: ogni volta, l’archivio si reinventa attraverso una struttura diversa, come parlamento, giardino comunitario, scuola o agorà, rifuggendo ogni visione statica o musealizzante.

La mostra argentina si articolerà in tre cicli temporali fino a luglio 2025, con una rotazione di 36 opere video realizzate tra il 1999 e il 2023 da artisti e collettivi internazionali. 12 opere per ciascun segmento, selezionate lungo quattro assi tematici — disobbedienza di genere, comunità insorgenti, ecologie radicali e attivismo della diaspora — tracciano una cartografia non lineare della resistenza attraverso i linguaggi dell’audiovisivo. Ma rimanendo fedele al suo spirito, l’Archivio rifiuta ogni tassonomia rigida: le categorie diventano spazi porosi, attraversati da tensioni e contagi reciproci.

A Buenos Aires, il progetto assume la forma della “calle”, la strada, luogo fisico dell’esposizione e simbolo del dissenso pubblico, del corpo collettivo in movimento, del pensiero che si esprime fuori dalle istituzioni. Le opere selezionate si radicano nella storia recente delle lotte sociali globali, aprendosi a un confronto vivo con le urgenze del presente argentino, attraverso un programma di incontri e azioni pubbliche che accompagnerà la mostra.

Questi gli artisti coinvolti: Navjot Altaf, Ravi Agarwal, Irwan Ahmett, Atelier Impopulaire, Atelier d’Architecture Autogérée (AAA), Ege Berensel, Ursula Biemann, Seba Calfuqueo, Simone Cangelosi, Libia Castro – Ólafur Ólafsson, Chto Delat, Critical Art Ensemble (CAE), Marcelo Expósito – Nuria Vila, Ali Essafi, Grupo Etcétera…, GAC / Grupo de Arte Callejero, María Galindo, Mujeres Creando, Khaled Jarrar, Sara Jordenö, Karrabing Film Collective, Sanjay Kak, Bani Khoshnoudi, Pedro Lemebel, LIMINAL – Border Forensics, Angela Melitopoulos, Mao Chenyu, Carlos Motta, Pınar Öğrenci, Daniela Ortiz, Paloma Polo, Oliver Ressler, Roy Samaha, Güliz Sağlam, Tita Salina, Sim Chi Yin, Urbonas Studio, Mohanad Yaqubi.