29 marzo 2022

L’arte italiana contemporanea all’estero? Bisogna imparare a fare sistema

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Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana? Dichiarazioni, numeri e progettualità dalla conferenza a Palazzo Bonaparte, ipotizzando un futuro in costruzione tra pubblico e privato

Patrick Tuttofuoco, The Path, 2020, Neon Steel, 60 x 45 cm, ph. Andrea Rossetti

Sul fastoso fondo dell’Altare della Patria, a Palazzo Bonaparte, il 24 marzo 2022 si è tenuta la conferenza “Quanto è (ri)conosciuta all’estero l’arte contemporanea italiana?”.  Il report, alla presenza del Ministro della Cultura Dario Franceschini, è il frutto di un lavoro di ricerca condotto da BSS Lombard Art + Culture, rappresentata da Franco Broccardi con il supporto di Italo Carli di Arte Generali e Marilena Pirrelli, esperta di mercato dell’arte. Con gli interventi di Onofrio Cutaia, Direttore Generale Creatività Contemporanea Mic, Sarah Cosulich, Direttrice della Pinacoteca Agnelli, Marco Sesena, Country Menager & CEO di Generali Italia e Global Business Lines, e Patrick Tuttofuoco, artista italiano contemporaneo.

«L’articolo nove della Costituzione dice che La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura, tutela il paesaggio e il patrimonio storico della Nazione, non dello Stato. Privato e pubblico devono collaborare. La ricchezza del paese è fatta di bellezza pubblica e di bellezza privata», ha sottolineato il Ministro Franceschini. «Abbiamo immaginato che il patrimonio storico-artistico che ci hanno lasciato i predecessori fosse tanto vasto da rendere quasi impossibile occuparsi del presente. Dimentichiamo che anche Michelangelo è stato contemporaneo». Franceschini, salutando Vittorio Sgarbi nel pubblico, racconta di aver creato la Direzione per la Creatività Contemporanea, la quale, per bocca di Onofrio Cutaia, assicura su riforme strutturali in corso: «Nel 2023 i nostri interventi saranno ancora più evidenti. L’obiettivo è quello di costruire una rete di rappresentanza per il nostro Paese».

All’estero gli artisti italiani necessitano di un sostegno istituzionale: «Se un curatore italiano sceglie di fare una mostra su un’artista francese o olandese può rivolgersi alle organizzazioni che rappresentano gli artisti di quei Paesi. Ma se un curatore a Bruxelles o a Città del Messico vuole portare un’artista italiano non sa da chi andare. Spesso bastano piccole cifre: un biglietto aereo, la produzione del catalogo, le traduzioni dei testi nei video», ha spiegato Sarah Cosulich, ex direttrice della Quadriennale d’arte, presentando il suo progetto Q-International, programma di sostegno dell’arte italiana all’estero: «Abbiamo mandato una comunicazione a tutte le istituzioni straniere, partendo dai musei. C’è stato subito un segno d’interesse».

Sui numeri, l’intervento di Marilena Pirrelli. L’arte italiana contemporanea all’estero ha uno spazio dell’1%. Alle Biennali gli italiani rappresentano il 5%. Quest’anno la percentuale sale al 12%, perché il curatore è italiano. Nei suoi rilievi, Italo Carli nota che le gallerie sono più disposte a rischiare, musei e fondazioni meno. «Vogliamo creare una dorsale di arte contemporanea con una linea di curatori di altissimo livello. L’assunzione dei rischi dev’essere pubblica, non può ricadere sui singoli», ha affermato Pirrelli.

La testimonianza di Patrick Tuttofuoco è eloquente: «Non basta avere talento: le gallerie estere preferiscono artisti sostenuti da rappresentanze che non abbiamo. L’unico nome noto è Maurizio Cattelan, grandissimo artista, che non a caso ha iniziato a lavorare sulla propria identità già da tempo. Ma gli altri? Tutto è lasciato ai solisti, un classico italiano». Parole seguite da commenti sull’esterofilia da parte del critico Ludovico Pratesi. Urge un cambiamento, perché, nelle parole di Franceschini, «Quando verrà il tempo della ricostruzione dopo la pandemia, la ricostruzione dopo la guerra, ci sarà davvero bisogno di persone che facciano della cultura un grande terreno di dialogo».

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