04 febbraio 2025

Basquiat, 1982: un’opera poco nota svela le inquietudini della sua arte

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Un autoritratto poco noto del 1982 riflette le inquietudini latenti nell’arte di Jean-Michel Basquiat, in un periodo sfavillante della sua breve e intensa vita

Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982
Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982, coll. privata

Un’opera ancora poco nota, firmata e datata 1982 dal grande writer e pittore americano, senza titolo (117 x 147 cm, acrilico e olio su tela, ora in collezione privata), permette grazie alla cronologia così precisa di formulare una serie di riflessioni utili per comprendere maggiormente l’opera stessa. Stiamo parlando del 1982, anno al centro del triennio ‘81-‘83 cruciale per la carriera del giovane Jean Michel Basquiat. Nel 1981, l’incontro con Sandro Chia, l’artista italiano che lo mise in contatto a New York con il mercante d’arte Emilio Mazzoli, gli permise, infatti, di essere conosciuto al di là dell’oceano grazie alla sua prima personale in Europa, a Modena. Soltanto pochi mesi dopo, Annina Nosei, altra gallerista italiana, decise di investire sull’artista offrendolo al mercato newyorchese e mettendogli a disposizione addirittura uno spazio studio/atelier a Soho.

Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982, coll. privata
Jean-Michel Basquiat, untitled, 1982, coll. privata

Nel marzo del 1982 Basquiat tenne la sua prima personale americana nella galleria della Nosei riscuotendo un certo successo al punto da essere notato da Bruno Bischofberger, gallerista svizzero grande sostenitore prima della Pop Art e del Neo Espressionismo, che riuscì a farlo scegliere da Rudi Fuchs nell’estate dello stesso anno per essere fra gli artisti di Documenta, la famosa mostra d’arte contemporanea che ogni cinque anni si tiene a Kassel sin dal 1955.

Il 4 ottobre del 1982 Basquiat, tramite Bischofberger, in occasione della sua personale nella galleria di Zurigo, conosce Andy Warhol, che aveva intravisto pochi mesi prima a Kassel, essendo uno degli artisti di Documenta. L’incontro è decisivo per la sua vita, sia personale, sia professionale e a testimoniarlo sono i molti eventi concentrati negli ultimi mesi di quell’anno: dopo la personale a novembre alla Fun Gallery dell’East Village, iniziò a dipingere all’inizio di dicembre a Los Angeles, presso lo studio di Larry Gagosian, per esporre, entro la fine dell’anno, nella Delta di Rotterdam. In questa occasione fu fotografato da James Van Der Zee per l’intervista con Henry Geldzahler, pubblicata nel numero di gennaio 1983 di Warhol’s Interview.

Dal 1984 inizieranno le collaborazioni con Warhol e con Clemente che produrranno dipinti a sei mani, tutto grazie a Bischofberger, collante tra i tre artisti. Grande eco avrà la mostra organizzata sempre dal gallerista svizzero dove verranno esposte le 100 opere, realizzate questa volta solamente assieme a Warhol, che vede nel manifesto i due artisti nelle vesti di due boxeur in un incontro.

Citare i molti eventi, tutti concentrati in pochi anni, è necessario per capire il periodo nel quale viene realizzata l’opera in questione che assume un certo valore scientifico per svariati motivi. È noto che uno dei punti di riferimento dell’artista fosse l’Art Brut di Jean Dubuffet al quale si ispira in maniera evidente aggiungendovi la novità di elementi grafici, vere e proprie parole per mandare messaggi dal significato immediato, talvolta cancellate per ottenere l’effetto contrario di essere più evidenti e incisive. Un altro evento non casuale è la mostra al Guggenheim Museum di New York nel 1981, per gli 80 anni di Dubuffet, occasione nella quale Basquiat entrò in contatto dal vivo con la pittura dell’ormai anziano maestro.

Dubuffet, Autoritratto, 1966, Collection Fondation Dubuffet, Parigi

Le rappresentazioni infantili e inconsapevoli di Dubuffet divengono tuttavia consapevoli in Basquiat che sembra utilizzare l’opera per trasmettere la sua forte inquietudine personale. Nel caso del dipinto di Basquiat la componente autobiografica spicca, portandoci a ipotizzare che si tratti di un suo autoritratto. Il protagonista della scena sembra una rappresentazione semplificata e blandamente astratta dell’artista stesso e a suggerircelo sono proprio i suoi capelli, come se fosse visto in un esame scintigrafico. In primo piano alla sua sinistra si ripetono due parole come in due cartelloni pubblicitari che trasmettono un certo malessere: morire e dolore; il simbolo della corona a tre punte, sua firma, spicca a destra.

La tecnologia e il progresso tecnologico sembrano essere elementi ossessivi e aberranti caratterizzando il viso, come si evince dalla bocca a forma di tastiera del computer; in basso, infine, il simbolo della pace, creato da Gerald Holtom nel 1958 e che proprio in quegli anni veniva usato nella campagna per il disarmo nucleare e dell’antimilitarismo.

Roy Lichtenstein, Whaam, 1963, Tate Modern

Nel quadro, l’artista aderisce pienamente a due grandi momenti della storia dell’arte contemporanea: da un lato il disegno naif di Dubbufet, dall’altro le tipiche e innovative scritte della Pop art, spesso presenti in molti capolavori di Roy Lichtenstein. L’inquietudine del pittore (che già in quegli anni combatteva con la dipendenza dall’eroina, che l’avrebbe condotto alla morte prematura) ostentata dalla sua rappresentazione aberrata e dalle parole e, al contempo, la denuncia sociale, si fondono in questo quadro, che spicca nella produzione di Basquiat, concepito in un momento topico della sua fulminante carriera.

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