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Biennale Arte 2026: Chus Martínez e Maja Malou Lyse per il Padiglione Danimarca
Arte contemporanea
di redazione
La Danish Arts Foundation ha annunciato la nomina della curatrice Chus Martínez e dell’artista Maja Malou Lyse per il Padiglione Danimarca alla 61ma Biennale d’Arte di Venezia, in programma dal 9 maggio al 22 novembre 2026. Una scelta che mette in dialogo generazioni, prospettive e urgenze diverse ma accomunate da un’idea di arte come ecosistema: un luogo in cui i linguaggi si contaminano e in cui i corpi, intesi nell’accezione fisica, politica, simbolica, diventano strumenti di conoscenza.

Un Padiglione in trasformazione
La nomina arriva in un momento particolare per il Padiglione Danimarca ai Giardini di Castello, edificio che ha attraversato un secolo di evoluzioni architettoniche e concettuali. Dal tardo classicismo nordico dell’originale struttura progettata da Carl Brummer nel 1932 all’ampliamento razionalista firmato da Peter Koch negli anni Cinquanta – risultato della decisione danese di non confluire nel Padiglione dei Paesi Nordici progettato da Sverre Fehn nel 1958 – l’edificio è un piccolo archivio dell’identità visiva del Nord Europa. Attualmente in restauro, il cantiere è stato aperto e reso visitabile come una installazione durante la Biennale di Architettura da poco conclusa, trasformandosi già in questa occasione in un laboratorio di riflessioni sul rapporto tra spazi e istituzioni.

È in questo contesto che si inserirà anche il progetto di Martínez e Lyse, un padiglione che sta cambiando pelle e che accoglierà un progetto dedicato al modo in cui le immagini generano realtà.
Un progetto sulle immagini che ci trasformano
L’esposizione lavorerà su un triangolo concettuale sorprendente e attualissimo: scienza, finzione e pornografia. Come collaborano questi sistemi di immagini nel modellare pensieri e corpi? E cosa accade quando la fertilità, uno dei temi più delicati della contemporaneità, viene osservata attraverso l’ottica contraddittoria dell’immaginario erotico?
È in questo paradosso che l’artista Maja Malou Lyse innesta la propria ricerca su desiderio, rappresentazione e politica dell’immagine. E in cui il metodo curatoriale di Chus Martínez, basato sul dialogo e una radicale fiducia nella capacità epistemica dell’arte, trova un terreno perfetto.


Classe 1993, formata alla Royal Danish Academy e già attiva tra ARoS, Kunsthal Charlottenborg, Tate Modern e Moderna Museet, Lyse è la più giovane artista danese a rappresentare il Paese a Venezia. La sua pratica multidisciplinare usa piattaforme che appartengono alla vita quotidiana – magazine, televisione, social media – per indagare le dinamiche di potere racchiuse nel desiderio e nell’immagine. Il suo linguaggio mescola satira, ironia, estetiche pop e un’attitudine auto-riflessiva che la porta a essere, nei suoi lavori, contemporaneamente soggetto, oggetto e osservatrice.

Chus Martínez, una curatela che è un dispositivo di relazione
Tra le curatrici europee più influenti degli ultimi 20 anni, Chus Martínez porta nel progetto un pensiero che intreccia femminismo, ecologia, cura e nuove epistemologie. Direttrice dell’Institute Art Gender Nature alla FHNW di Basilea, associate curator di TBA21 a Madrid e Venezia, futura direttrice artistica della 36ma Biennale della Grafica di Lubiana, Martínez considera l’arte un campo di apprendimento e di relazione.
La sua regia curatoriale faciliterà le possibilità espressive del progetto di Lyse. In questo senso, risuona anche con il tema scelto dalla direttrice della Biennale 2026, la compianta Koyo Kouoh, dal titolo In Minor Key.
Martínez e Lyse hanno già costituito un gruppo di ricerca dedicato, che accompagnerà il progetto nella sua fase germinale. Il cuore dell’indagine resta un interrogativo radicale: che cosa fanno le immagini ai nostri corpi? E cosa fanno ai corpi della specie, se considerate nelle loro accumulazioni sistemiche?
In un panorama globale attraversato da conflitti, crisi ecologiche e tensioni tecnologiche, la proposta danese promette un padiglione capace di spostare il discorso dal piano moralistico a quello strutturale. Non pornografia, né provocazione. Ma un’indagine complessa su ciò che vediamo, su ciò che scegliamo di vedere e sulle conseguenze di questa scelta.












