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Biennale di Venezia: quattro padiglioni che stanno ripensando se stessi attraverso l’architettura
Architettura
Padiglioni nazionali chiusi per restauro, padiglioni restaurati, padiglioni trasformati o in via di trasformazione. Nella cornice della 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, sembra essersi creata ai Giardini una sorta di mostra nella mostra, dove, oltre al tema Intelligens. Natural. Artificial. Collective, a svilupparsi è un fisiologico moto di ripensamento delle strutture che ospitano le partecipazioni nazionali, a partire dalla propria conformazione architettonica. Sono tante le maniere in cui questo “tema involontario” si è rivelato, aprendo la mente a nuovi immaginari e ristabilendone di altri. Ecco alcuni esempi.
Padiglione Brasile

La mostra (RE)INVENTION, curata da Luciana Saboia, Eder Alencar e Matheus Seco, si svolge nell’appena restaurato padiglione del Brasile, dove il progetto originale di Oscar Niemeyer viene recuperato: dopo anni, è di nuovo possibile fare esperienza autentica dello spazio com’era stato concepito. Le due finestre laterali della prima sala generano nuovamente il secondo asse visivo e luminoso del progetto. La mostra è uno splendido viaggio nelle pratiche architettoniche, su come operare nella città contemporanea comprendendo prima le dinamiche insediative delle comunità indigene. La mostra, soprattutto nella prima parte, riesce a spiegare e raccontare quanto i villaggi nomadi fossero delle città a tutti gli effetti, dove il concetto di “modularità e smontabilità” sono solo due caratteristiche di un disegno più ampio e complesso, dove natura, popolazione e urbanistica sono in sinergia tra loro. Imparare dal passato e riadattare le dinamiche arcaiche al contesto della città contemporanea e alle pratiche attuali del costruire è forse la chiave della progettazione sostenibile.
Padiglione Francia

L’esposizione VIVRE AVEC/ LIVING WITH, curata da Dominique Jakob e Brendan MacFarlane, Éric Daniel-Lacombe, Martin Duplantier, invade il cantiere del restauro del padiglione francese, le cui porte sono serrate per lavori in corso. In questo caso, la struttura a tubi innocenti non viene utilizzata per inseguire un’estetica, ma si trasforma essa stessa nel padiglione (operazione simile compiuta da Carlo Ratti al Padiglione Centrale attualmente chiuso, trasformando le impalcature del cantiere in display che raccontano l’evoluzione della mostra e della biennale da lui curata). Da questa circostanza progettuale si può dire che l’allestimento si fa esso stesso portavoce del tema dell’esposizione. La mostra riesce a spiegarci quanto l’architettura possa giocare un ruolo importante nell’adattamento dell’umanità rispetto ai frequenti cambiamenti e alle numerose crisi in atto. Imparare a convivere e non a sopravvivere è il filo che lega i 50 progetti esposti nella mostra.
Padiglione Danimarca

Il padiglione danese si presenta al pubblico sotto forma di cantiere congelato, in cui tutti i materiali prelevati dallo smontaggio vengono catalogati ed ordinati in attesa di essere riutilizzati. I lavori di restauro per risolvere i problemi di allagamento diventano, sotto la curatela di Søren Pihlmann, la mostra stessa. BUILD OF SITE è una mostra che vuole lasciare un miglioramento permanente nel padiglione in cui si svolge, andando oltre al concetto di mostra effimera in cui si sprecano risorse e materiale.
Padiglione Svizzera

Un’istallazione che altera i connotati del padiglione, disegnato da Bruno Giacometti, e lo trasforma nel cantiere immaginario di un progetto di Lisbeth Sachs. Endgültige Form wird von der Architektin am Baubetimmt (La forma finale è determinata dall’Architetta in cantiere) è una mostra provocatoria, dove si cerca di ridare visibilità e forma tangibile al progetto distrutto della Kunsthalle alla Saffa di Zurigo, 1958. Il lavoro di Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins, Axelle Stiefel e Myriam Uzor, partendo da questa provocazione, consente di leggere il progetto di Giacometti in una maniera inedita e di mostrarne un altro che rischiava di essere dimenticato, facendoli convivere e generando un’esperienza spaziale unica in cui i lavori di due autori, invece di collidere, si intrecciano. La potenza di un messaggio sociale importante si associa alla provocazione come tema progettuale.
I padiglioni che non vedremo in questa Biennale

Altri invece sono i padiglioni chiusi per motivi politici, tra cui quello della Russia e di Israele. Seppur non visitabile all’interno, il padiglione del Venezuela, realizzato da Carlo Scarpa, da chiuso si racconta come non mai. La struttura esterna svela infatti in questa circostanza dettagli nascosti.
In conclusione, un aspetto che rende particolarmente interessante questa Biennale ai Giardini è quello di osservare con attenzione la trasformazione che la manifestazione sta vivendo a partire dalle sedi delle Partecipazioni Nazionali. Interrogandoci sul nuovo volto di questo luogo, sulla forma che assumerà a partire dalle prossime edizioni, aspettando il realizzarsi dei nuovi progetti.