23 novembre 2020

Crepuscolo – Bastione Sangallo

di

Una collettiva che prende spunto dalla ciclicità quotidiana scandita dall’alternanza di luce e buio, e dall’intermezzo del crepuscolo, momento di transizione e congiunzione di diversità e contrari

Enrico Boccioletti, Autoritratto Lauretano (Ricordati che devi morire), performance e installaz ione ambientale, 2020. Courtesy dell’artista. Foto Melissa-Jane Palmer

La mostra collettiva Crepuscolo – a cura di Matteo Binci e Giacomo Pigliapoco realizzata nei locali del cinquecentesco Bastione Sangallo di Loreto – raduna antiche narrazioni e pratiche artistiche contemporanee. Il titolo prende spunto dalla ciclicità quotidiana scandita da un’alternanza di luce e buio, giorno e notte e dall’intermezzo del crepuscolo, momento di transizione e congiunzione in cui vengono a contatto diversità e contrari. Il giorno diviene tempo simbolo della scienza, dell’età dei lumi e della fiducia nella tecnologia, mentre la notte è l’alchimia, il misticismo di un mondo antico e sotterraneo che riprende forza e vigore.

Veduta della mostra, Crepuscolo, Foto Michele Alberto Sereni

Nel display – realizzato da (ab)Normal – è esposta l’indagine effettuata sulla storia del culto lauretano con i materiali d’archivio selezionati che si alternano alle fotografie di Mario Giacomelli, Gianni Berengo Gardin, Olivo Barbieri, Antonio Biasiucci e Angelo Mezzanotte incentrati sulle tradizioni locali. Immagini e testi mariani svelano il principio su cui si basa la mostra “Crepuscolo” e descrivono la nascita di uno dei più importanti luoghi di pellegrinaggio cattolico. La ricerca dei curatori si è concentrata sulla leggenda dell’arrivo in volo della Santa Casa di Nazareth a Loreto nel 1294, sulla conseguente proclamazione da parte di Benedetto XV della Madonna di Loreto quale patrona dell’aeronautica militare nel 1920 e sul rimando visivo a ritualità pagane, come la tradizione cittadina dei fogarò che si svolge tra il 9 e 10 dicembre.
Le opere degli artisti in mostra occupano singolarmente ognuna delle cannoniere del Bastione. Come riassume Giulia Crispiani – nel testo performato all’apertura della mostra – si parla di miracoli, guarigioni e magie, di scienza, religione e superstizione. Sono esplicitati anche due legami: quello della sapienza ancestrale con il genere femminile e quello della conoscenza tecnologica con il genere maschile. Raphaela Vogel – nella video installazione Prokon (2014) – attua una continua lotta tra il suo corpo femminile e lo sguardo penetrante di un drone.
Enrico Boccioletti attinge da storie e tradizioni lauretane con Autoritratto Lauretano. Ricordati che devi morire (2020), opera che sviluppa un processo partendo da 120 ore di digiuno e purificazione alchemica, passando poi per quattro tatuaggi lauretani e arrivando alla creazione di un ambiente performativo nel quale sono posizionati un amplificatore di onde elettromagnetiche che riporta in luce la pervasività della tecnologia sul corpo umano. Anche Raffaela Naldi Rossano riprende una tradizione locale, celebrando nella suo rosario in ceramica la figura femminile della coronara – lavoratrice a cottimo che incatenava i rosari. All’interno della sua riflessione sui miti fondativi, il video From History to Us (2020) celebra la figura di Partenope – sirena che ha dato i natali alla città di Napoli – la cui raffigurazione si scioglie nelle acque del mare Egeo.

Athena Papadopoulos, Gangrene Blues (The Shitmymyseemymy Song) III, 2015, Courtesy Collezione Valentini; Gurney I, 2017, Courtesy Collezione Tisot Art Collection. Foto Michele Alberto Sereni

Oltre al testo già citato in apertura, Crispiani riporta – nella sua opera Guaritrici (2020) – la registrazione di una conversazione con alcuni parenti sulle sfascia fatture, le stroliche ricordando credenze, magie e sapienze che facevano parte fino a poco fa della vita di ogni famiglia e alle quali ci si affidava per fini di cura e guarigione. All’ambito familiare e curativo rimandano anche le opere di Athena Papadopoulos con il loro aspetto materico che oscilla tra seduzione e ribrezzo. Con la video installazione W.I.T.C.H (2016), Anna Bunting-Branch ricorda invece l’acronimo usato nella lotta femminista alla fine degli anni ’60 negli USA e fonde l’estetica dei poster della “seconda ondata” con quella speculativa di mondi femminili post-rivoluzionari.
Chiudono la mostra i video Eye/Machine I (2000) e Eye/Machine III (2003) di Harun Farocki, unico artista storicizzato, che criticano il mondo tecnologico violento, operativo e di sorveglianza. Simbolicamente i due video sono esposti nelle nicchie centrali del Bastione, evidenziando il crepuscolare magico e femminile che accerchia la tecnologia e il silicio delle società capitalistiche contemporanee.

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