11 giugno 2022

“Dak’Art” 2022, focus totale sull’Africa e sulla diaspora

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Una biennale immensa in una città faticosa, diventata però il luogo nevralgico dove cercare – nella moltitudine di proposte – nuovi talenti africani e della diaspora, in un momento di particolare interesse di istituzioni e di mercato per la produzione artistica del continente nero

L'installazione di Caroline Gueye

La Biennale di Dakar 2022 presenta due parti: una IN che è costituita dalla selezione ufficiale di 59 artisti da parte del curatore artistico senegalese El Hadj Malick Ndiaye, che succede a Simon Njiami curatore dell’ultima Dak’Art del 2018. Le locations della IN sono l’antico Palazzo di Giustizia; il Musée des civilisations noires, nuovo museo costruito con fondi cinesi e inaugurato nel dicembre del 2018; il Musée Monod dove rientrano mostre anche di altri curatori. La parte OFF invece è sparsa per tutta la città di Dakar in gallerie, spazi associativi, hotel, fondazioni, ambasciate, nel nuovo Istituto di Cultura Italiano e nello spazio aperto della Corniche Ouest nel parco che fronteggia l’oceano…; rispetto all’ultima edizione del 2018 la Biennale è cresciuta a dismisura, contando fino a 380 mostre. La Biennale OFF fondata 20 anni fa, ad opera dell’italiano basato a Dakar Mauro Petroni, è fin troppo estesa e per il visitatore che viene da fuori è difficile orientarsi nella polverizzazione delle mostre presenti.

Biennale di Dakar, Visione generale del Palais de Justice, ph. Carmen Lorenzetti

Rimane che la brochure del Dakar OFF è un ottimo strumento, che manca nella IN, per orientarsi nella vasta metropoli di Dakar. Una città faticosa, piena di traffico, priva di una linea di autobus che possa definirsi tale, dispersiva e insieme affascinante nella ricchezza di iniziative che propone durante la Biennale, le feste, gli incontri, i concerti: un vero crogiolo internazionale di culture. La capitale è infatti ormai diventata il luogo nevralgico dove cercare – nella moltitudine di proposte – nuovi talenti africani e della diaspora, in un momento di particolare interesse di istituzioni e di mercato per la produzione artistica del continente nero.
Il tema della Biennale IN è Ĩ Ndaffa, che nella lingua Serere, una delle lingue africane parlate in Senegal, significa forgiare. Richiama l’antica operazione di forgiare il metallo incandescente, costruire degli oggetti con l’aiuto del fuoco, una tecnica antica in cui le civiltà africane si proclamano maestre. L’atto del forgiare si riferisce anche al modellare il pensiero, costruire autoctone narrative e nuovi significati a partire dalla tradizione e dalla cultura africane.

L’opera di Tegene Kunbi Senbeto

Sono stati distribuiti sette premi ai migliori artisti della IN. Il Gran premio Léopold Sédar Senghor del presidente della Repubblica è stato attribuito all’etiope Tegene Kunbi Senbeto (1980), gli altri sei premi sono andati alla franco-tunisina Férielle Dulain-Zouari (1992), alla senegalese Caroline Gueye, al senegalese Mbaye Diop (1981), ai senegalesi Babakar Diouf e Arébénor Bassène (1974), al senegalese Abdoulaye Ka (1977) e infine ad Achille Adonon (Benin, 1987), il Premio per il migliore scultore.
Tegene Kunbi vive a Berlino, dove si è fermato dopo avere fatto un master all’Accademia. Ha vinto varie residenze in Africa e in Olanda. Pratica la pittura, la ricerca sulla luce e sul colore con maniacale e poetica attenzione e costruisce quadri astratti dove campiture stratificate di colore squillante si alternano talvolta a stoffe ricercate e provenienti da contesti precisi: le decorazioni copte legate al cerimoniale religioso, le stoffe a strisce dell’Etiopia, le stoffe senegalesi. I suoi riquadri sono il risultato di un processo, quello della pittura che ricerca l’equilibrio e l’ordine delle forme e dei colori. Lavora su quattro o cinque quadri alla volta, ricavando da ciascun quadro un carattere ed una personalità diversa. I punti di partenza possono essere fotografie di città distrutte, che lui riveste attraverso la stratificata pelle della pittura, di cui lascia visibile la processualità nei bordi.

L’installazione di Férielle Doulain-Zouari

Férielle Doulain-Zouari è un’artista che possiede una grande manualità e gusto per i materiali: intreccia, ritaglia, ricompone oggetti tratti dalla vita di tutti i giorni fondando nuove, inedite narrative con essenzialità e abilità compositiva. Il titolo dell’opera Current water ha un significato ecologico, espresso con tubi di plastica disposti in modo da formare una grande cortina blu.
Caroline Gueye è una figura eclettica: figlia d’arte, ha una formazione da astrofisica e ha studiato il cinese e scultura in Cina. I suoi lavori si riferiscono alla scienza, che viene tradotta in arte visiva: contenuti, leggi e regole dell’astrofisica diventano installazioni, sculture e fotografie. Il titolo dell’opera della Biennale Quantum Tunnelling (2021) indaga quanto accade nella scala infinitesimale dei quanti, laddove si confondono lo statuto di corpo e quello di onda dei quanti stessi. L’effetto tunnel è un fenomeno bizzarro che viene espresso attraverso la plastica, la stagnola e gli specchi in un’installazione immersiva di grande effetto per lo spettatore. Le riflessioni di Caroline toccano le realtà degli universi paralleli, i diversi tipi di fisica, i buchi neri e il concetto relativo di tempo.

Installazione di Abdoulaye Ka, ph. Carmen Lorenzetti

Mbaye Diop, vive in Svizzera, ha costruito una suggestiva video-installazione e pittura murale intitolata De l’arbre à palabre à l’arbre numérique. Il lavoro riguarda la progressiva sparizione degli alberi presso il suo villaggio natale a nord del Senegal a causa della speculazione edilizia. L’albero era al centro del sapere del villaggio, perché dalle foglie dei vari alberi si ricavavano delle pozioni curative, che sono state sostituite dalle medicine sintetiche. La cultura ancestrale si fondava sull’esistenza degli alberi, attorno ai quali avvenivano i discorsi della comunità. Oggi invece le relazioni si fondano sulle tecnologie, sui social, i cellulari e le reti e l’artista ne ha ricavato una performance: nascosto dagli arbusti mentre usa un cellulare. La performance è avvenuta su una piattaforma in tempo reale per cui il pubblico ha potuto commentare ciò che vedeva. L’installazione a Dakar prevede il video della performance, l’intreccio di rami della pittura murale, i rami veri e vari cellulari sui quali scorrono i commenti.
Abdoulaye Ka ha iniziato come pittore figurativo, adesso alterna l’astrazione e la figurazione. Ha trovato qualche anno fa un tema centrale nei codici a barre, che ritaglia e con cui compone i suoi quadri-collage. Il codice a barre ha una strana somiglianza con l’abbigliamento femminile dei Wolof, composto di linee. Per lui il codice a barre e la sua identità numerica è un modo di parlare dell’unicità dell’identità, attraverso un elemento caratterizzante che definisce in modo inequivocabile una singolarità. Il riferimento da individuale si fa plurale nel recupero culturale e senghoriano del radicamento dell’albero che poi con i rami si apre al mondo.

Installazione di Achille Adonon, ph. Carmen Lorenzetti

Achille Adonon è un artista autodidatta, che applica la sua vorace curiosità nei confronti del mondo in un’arte che dalla quotidianità trae una fantastica ispirazione. Infatti ha cominciato a fare pittura con i lacci delle scarpe, poi, dal 2017, ha cominciato ad utilizzare le scarpe per fare delle sculture estremamente moderne. Ha al suo attivo diverse residenze in diversi paesi africani: Camerun, Burkina Faso, Togo. Le sue sculture si chiamano Enfants Soldats e rappresentano i bambini che hanno bisogno di cure ed attenzione per recuperare una vita armonica. Con le scarpe compone anche delle maschere che rappresentano i bambini innocenti in guerra, la familiarità con la paura, l’angoscia che l’artista – attraverso l’arte – vuole fare scomparire con un atto d’amore.
Tutti questi artisti vincitori dei premi si trovano (ad eccezione della coppia sopracitata) all’antico Palazzo di Giustizia e compongono una geografia in prevalenza senegalese, probabilmente la cifra dominante di quest’anno. Meritano qui una menzione almeno altre tre opere che toccano temi legati alla memoria, la storia e l’ecologia: l’intensa video-installazione del cubano Javier Castro intitolata The dance of anger (2022), la scenografica e postapocalittica installazione di Fally Sene Sow, Rusty World (2022), basato a Dakar, che mostra il suo quartiere Colobane distrutto dall’inquinamento e dal riscaldamento globale, e infine la complessa installazione di Yrneh Gabon Brown, giamaicano che vive a Los Angeles, A Salted Intermission, che studia la storia e le problematiche socio-politiche ed economiche legate allo sfruttamento del sale negli Stati Uniti e in Africa.

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