03 novembre 2022

De Rerum Natura: tre grandi artiste in mostra allo Studio Casorati di Pavarolo

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Il curatore Daniele Fenaroli ci parla di “De Rerum Natura”, mostra nella casa studio di Felice Casorati a Pavarolo, con le opere di Kiki Smith, Cindy Sherman e Antonietta Raphaël

Antonietta Raphael, Autoritratto scrivendo una lettera a Mario, 1942

In occasione della mostra “De rerum natura”, attualmente in corso a Pavarolo e vistabile fino al 6 novembre nella casa e studio che fu del maestro Felice Casorati, abbiamo intervistato Daniele Fenaroli, curatore della mostra nonché della Collezione Iannaccone.

La mostra approfondisce il tema uomo/natura alla luce del lavoro di tre artiste internazionali molto famose, ognuna delle quali ricorre a un differente medium espressivo. Come è avvenuta la scelta delle artiste e dei loro lavori?

«Mi piace sempre ascoltare ciò che le opere hanno da dirci, concetti, pensieri e riflessioni, degli stessi artisti, capaci di scrivere interi libri nella nostra mente. Ci sono occasioni in cui è lo stesso spazio espositivo, il clima e l’atmosfera del luogo in cui ci si trova a scegliere le opere, ed è questo il caso dell’esposizione De rerum natura a Pavarolo.

Sarebbe bello parlare di come, le opere selezionate, abbiano scelto, loro stesse, di stare in questo luogo denso di storia e come lì si siano trasferite senza il nostro aiuto; la realtà è che questa selezione è arrivata un po’ dalla nostra sensibilità, un po’ dalle opere e altrettanto dalla famiglia Casorati.

Abbiamo conosciuto la famiglia Casorati in piena emergenza covid e ci siamo resi conto dell’affinità che ci legava; un allineamento raro che ci ha permesso di entrare subito in sintonia e di progettare una mostra che, dato lo spazio ridotto, fosse grande nel suo intento, nel suo messaggio.

Camminando per Pavarolo, scrutando quell’orizzonte che Felice Casorati scelse come luogo d’eccellenza per la produzione delle sue opere, ci è sembrato del tutto istintivo, oltre che attuale, realizzare un’esposizione che gravitasse intorno all’idea di natura. Non una ripresa oggettiva e paesaggistica di questo sconfinato bene di cui, purtroppo, spesso non abbiamo cura, ma l’evidenza, a volte sfuocata ma sempre basilare, della nostra esistenza; una natura che potesse trasparire attraverso i nostri moti più intimi, profondi ed esistenziali, attraverso la nostra stessa presenza di corpo, mente e spirito.

Nel saggio in catalogo ho scritto così: “De rerum natura è proprio questo, un richiamo a ciò che la natura svolge intorno, con e tramite noi, ci ricorda quell’impulso primordiale e connaturato nell’essere umano di ritorno ad essa, di riferirci a lei così come di ricercare la sua materna presenza, i suoi impulsi e le pulsioni che emergono dal nostro inconscio; di cercarla in ogni anfratto dell’esistenza per poi comprendere che è da sempre parte di noi stessi. Non natura e basta, ma de rerum, ovvero, intorno a, sulla natura, così da delineare una scelta delle opere che avesse al centro la donna e l’uomo ma, ancor di più, la natura come inesorabile e instancabile conduttore”.

Perché i protagonisti dell’esposizioni sono, come sono centrali nella Collezione Giuseppe Iannaccone, le donne e gli uomini, natura per eccellenza, custodi di un ecosistema non biologico, ma di sentimento, di pulsioni e di legami indissolubili con la terra. Nella scelta delle opere, alcune tra quelle presenti in Collezione di Kiki Smith, Cindy Sherman e Antonietta Raphaël ci sono sembrate perfette per descrivere questo sottile confine tra natura e intimità e, non da meno, rappresentano precisamente, nell’utilizzo dei diversi medium, la ricerca comune e dialogante che vi è tra la parte di Arte Contemporanea e quella relativa agli anni tra le due guerre della collezione milanese.

Le sculture di Kiki Smith sono una silenziosa esplosione di pulsioni e d’istinti che legano, come avviene nelle opere Tied to her nature o in Woman with wolf, la propria esistenza a quella della natura; non dipendenza ma unione, come quella che congiunge Antonietta Raphaël a Mario Mafai, che fa spalancare le finestre dipinte sulla grande tela verso un paesaggio naturale sconfinato e accennato di pensieri e parole. O ancora, l’evanescente donna che progredisce tra le asperità della vita, che la rallentano ma non la fermano, nel piccolo scatto di Cindy Sherman, autrice e protagonista di questo passaggio nella foresta che, in Kiki Smith, diviene la foresta interiore della grande carta nepalese che domina tutta l’esposizione.

Una scelta e una selezione, tra le opere della Collezione e quelle della Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, che evidenzi questo legame con la natura, dentro e intorno a noi, e trasporti il visitatore tra le molteplici sfaccettature delle opere e la vista che questo spazio riserva a tutti noi».

In che modo l’anima del luogo, lo studio che fu di Casorati, dialoga con la collezione di Giuseppe Iannaccone?

«Devo dirti, prima di scorgere i dialoghi più o meno evidenti tra lo Studio Museo e la Collezione Giuseppe Iannaccone, che ho ritrovato anche dei forti punti di contatto tra il maestro piemontese e il collezionista: oltre alla medesima laurea in giurisprudenza, Casorati ebbe la lungimiranza di radunare intorno a sé, nella Scuola di Felice Casorati degli anni ’20, una serie di giovani artisti pronti a innescare, nel suo studio, non il consueto rapporto maestro – discepoli da bottega rinascimentale, ma un luogo di incontro, di dialogo, di contaminazioni e di ricerca.

Allo stesso modo anche in Collezione, attraverso gli eventi di In Pratica, si promuove la crescita dei giovani artisti che, messi in relazione con i grandi nomi del passato o del presente, possano ampliare e sviluppare la propria poetica.

O ancora, numerosi sono gli artisti passati dalla Scuola di Felice Casorati e ora ben rappresentati in Collezione, come Gigi Chessa, Francesco Menzio, Jessie Boswell e Carlo Levi; ad indicare come la Collezione e la ricerca di Felice Casorati pongano le proprie radici in un terreno comune.

Tutti gli artisti degli anni Trenta custoditi nella Collezione Giuseppe Iannaccone sono, come ama definirli il collezionista, gli outsider di quegli anni; neoromantici pronti a narrare una realtà più autentica del periodo tra le due guerre, di regime e costruzioni stilistiche artificiose che guardavano più alla forma che al contenuto.

Parallelamente, con modalità espressive diverse rispetto a Birolli, Badodi, Migneco o Scipione, per dire solo alcuni dei protagonisti della Collezione, anche Felice Casorati, dopo la parentesi più legata ad un classicismo rinascimentale e allo stile del realismo magico, porta in evidenza una lettura più intima dell’uomo e della donna, una lettura che scavi nei loro corpi e che porti in evidenza la loro umanità.

Mi piace definire lo Studio Museo di Felice Casorati come un piccolo e prezioso scrigno, custodito tra le taciturne colline torinesi; è uno spazio, ora white cube, di una manciata di metri quadrati con una grande vetrata e la famosa porta finestra da cui si scorge una vista d’altri tempi.

Lo spazio ridotto dello Studio Museo è di per sé il suo segreto, uno spazio che sembra non avere confini e capace di creare un dialogo immediato con l’ambiente circostante; un luogo di sperimentazione e di ricerca come lo è la Collezione, in grado di racchiudere le proprie opere in un contenitore invisibile che non può fare a meno dell’ambiente che lo circonda, del continuo e mutevole presente.

La Collezione Giuseppe Iannaccone ha saputo e sa, ancora oggi, recepire i moti e i sentimenti degli uomini e delle donne contemporanee, perché Collezionare senza raccontare la propria contemporaneità, significherebbe semplicemente accumulare oggetti d’arte».

La scelta del tema del rapporto uomo natura è attualissima. Che cosa resta, a tuo parere, come riflessione al visitatore? Quale rapporto con il sentire comune dei temi ecologici?

«Ciò che spero è che questa esposizione non lasci i visitatori indifferenti. Abbiamo deciso di inserire nel piccolo studio solo otto opere, non per innescare nel visitatore un effetto di horror vacui e nemmeno per esigenze spaziali; queste poche opere hanno, singolarmente e nel loro accostamento, la forza disarmante della natura che è intorno e dentro di noi e che, come ogni forza, esige di vivere e prendere il proprio spazio. Spero che possa lasciare ad ognuno di noi una riflessione sul proprio rapporto con se stessi, con le proprie radici umane di moti profondi e primordiali mediati dal dono dell’intelletto.

E infine, che rimanga solo ed unicamente il senso di appartenenza, ad una natura che, trascrivendo una parte del Frammento sulla natura di Goethe “…non conosce passato né avvenire; la sua eternità è il presente”.

E poi, per chiudere, permettimi una piccola riflessione sugli ultimi avvenimenti legati alle proteste dei gruppi di attivisti, Letzte generation e Just stop oil, che intenderebbero cambiare il mondo sfruttando un palcoscenico mediatico che abbia come quinte le opere d’arte.

Le patate sono tuberi mirabili, dalle mille proprietà, basti pensare alla loro fondamentale e salvifica presenza, nei periodi di carestia, sulle tavole di tutto il mondo; riprese anche da Van Gogh nel celebre dipinto Mangiatori di patate del 1885 e alimento base in tutte le cucine contemporanee date le loro innumerevoli modalità di cottura. Certo, tra queste modalità, non trovo alcun beneficio immediato nello spremerle e scagliarne il composto ottenuto proprio su di un Monet o, nel caso della salsa di pomodoro, su un Van Gogh che, proprio di natura, parlano. Non solo perché trovo l’azione in sé un prodotto perfetto per produrre solo giudizi e poca, se non nessuna, attenzione sul contenuto dell’azione di protesta, o ancora, per aiutare alcuni giornali a ricordarci solo il valore economico di questi testamenti spirituali il cui valore intrinseco è ben più notevole, ma anche, e soprattutto, perché mi aspetto da questa generazione, a cui appartengo, molto di più.

Non mi aspetto, e a buona ragione, un intervento che alzi l’asticella dello sfortunato bersaglio (come appena accaduto alla sfortunata Ragazza con l’orecchino di perla), ma che, l’ignoranza e l’ingordigia dell’uomo, i cui esiti ora sono sotto gli occhi di (quasi) tutti, venga combattuta con le armi della conoscenza, dello studio e di quelle virtù e ideali che, tra le varie azioni possibili, una buona visita ad un Museo, sperando di non trovare salsa e purè sulle opere, trasmetterebbero ad ognuno di noi».

Venerdì, 4 novembre, il Comune di Pavarolo, l’Archivio Casorati e la Collezione Giuseppe Iannaccone hanno organizzato il talk “Memorie”. L’evento sarà un’occasione per approfondire il concetto di memoria con l’avvocato e collezionista Giuseppe Iannaccone, il direttore della GAM – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino Riccardo Passoni, la storica dell’arte e curatrice Elena Pontiggia e la critica e curatrice, co-fondatrice di a.titolo, Francesca Comisso.

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