25 febbraio 2024

Dubai in cerca della propria identità artistica: le origini del primo Light Art Festival nell’ex area Expo

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Dhai Dubai, il primo festival di Light Art della metropoli emiratina, ha coinvolto sette artisti locali di diverse generazioni: una scelta che coincide con la ricerca di un’identità artistica da collocare in un’area in forte fase di espansione

Reem Al Ghaith, Daraweezna, Dhai Dubai Light Art Festival

La luce sembra ormai essere diventata la cifra stilistica al centro delle nuove realtà artistiche che stanno esplodendo negli Emirati e in Arabia Saudita. Lo hanno dimostrato le ultime edizioni del festival Noor, nella capitale saudita Riad, dove installazioni ambientali e spesso interattive ridisegnano per settimane interi distretti della città, creando spazi di aggregazione nei luoghi pubblici e offrendo una nuova forma di intrattenimento culturale. Anche Dubai, nel mese di febbraio 2024, ha inaugurato un’iniziativa parallela, riaccendendo i riflettori sull’area che nel 2020 aveva ospitato la grande manifestazione dell’Expo, ora in procinto di assumere nuove destinazioni d’uso portando con sé l’eredità – architettonica e culturale- di quell’esperienza.

Khalid AlShafar, The Nomad 2.0, Dhai Dubai Light Art Festival

Dhai Dubai, organizzata da Expo City Dubai, in collaborazione strategica con l’agenzia AGB Creative, si è svolta attorno alla piazza di Al Wasl – termine che in arabo indica la connessione, l’incontro – chiamando sette artisti a interpretare il claim della prima edizione, Light Influences Life. «Penso sia molto importante andare avanti con i progetti della città, senza dimenticarsi però dell’eredità che abbiamo ricevuto dal passato. Questa parte della città si sta evolvendo e i suoi residenti stanno diventando uno spazio di comunità e famiglia, che sarà ancora più evidente entro il 2026», spiega a exibart Amna Abulhoul, direttrice creativa esecutiva del festival. «Vendendo gli immobili ai nuovi residenti, vogliamo offrire loro uno spazio sicuro, destinato all’incontro e alle arti. È un lungo processo di cura che inizia ora». Assieme a lei, il curatore Anthony Bastic, da oltre dieci anni curatore del Festival of Light di Sydney. «La luce è una parte così significativa della cultura araba e degli Emirati», ha aggiunto il curatore australiano. «Questo significato innato e l’influenza della luce danno una profonda risonanza a questo festival: un festival radicato nel suo luogo, Dubai, e nel lavoro di artisti locali che contribuiscono a plasmare l’identità culturale unica dell’Emirato».

Najat Makki, The Scent of Memories, Dhai Dubai Light Art Festival

Il radicamento al territorio si esprime quindi attraverso le opere dei sette artisti selezionati che intrecciano diverse generazioni: Mattar Bin Lahej, conosciuto per aver progettato la facciata calligrafica del Museo del Futuro; la pioniera Najat Makki, insignita del titolo di Cavaliere francese delle arti e delle lettere; Mohamed Yousef, cofondatore della Emirates Fine Arts Society; il designer Abdulla Almulla, che lo scorso anno ha partecipato alla London Design Biennale e alla Dubai Design Week; l’artista multidisciplinare Maitha Hamdan, il designer Khalid Al Shafar, noto per le sue collaborazioni con il Museo del Louvre Abu Dhabi e l’artista visiva Reem Al Ghaith.

Sisters of the Desert, Esther Mahlangu
Sisters of the Desert, Rene Kulitja

Sculture luminose, ambienti interattivi e installazioni attraversabili circondano la piazza centrale dell’area, già animata dal grande videomapping che investe l’intera cupola (opera del gruppo di artiste Sisters of the Desert, composto dall’australiana René Kulitja, dalla sudafricana Esther Mahlangu e dall’emiratina Dhabia Jumaa). I simboli che emergono nei singoli lavori sono ancestrali e ricorrenti, legati ai valori tradizionali di quest’area: la calligrafia araba è al centro della scultura luminosa di Mattar Bin Lahej, che attraverso un incrocio di linee forma la scritta “movimento nella staticità”; la famiglia e la comunità le metafore dell’installazione I am still a child di Mohamed Yousef, in cui tappeti di diverse dimensioni sono arrotolati attorno a legni di palma, ricordando sagome di una comunità in cammino. L’accoglienza e la soglia di casa sono interpretate nei tre portali luminosi e digitali realizzati da Reem Al Ghaith (dal titolo Daraweezna), che raccontano le storie della sua famiglia. The Scent of Memories, opera di Najat Makki, mette in mostra sette silhouette monumentali che simboleggiano i sette Emirati Arabi Uniti e ricorda il ruolo della donna come pilastro della cultura umana e della comunità: radicate al terreno, o meglio, allo strato di sabbia che le sorregge, queste figure mostrano la propria forza evolutiva stagliandosi imponenti verso il cielo. Le colonne sono gli elementi scelti da Abdalla Almulla in Minarets 2.0, che riprende lo stilema decorativo dell’architettura islamica per trattare della preghiera che attraversa ogni giornata nella religione musulmana, e in quella di Maitha Hamdan, con Afterlife, la quale digitalizza il lavoro tessile a cui assisteva durante l’infanzia all’interno della casa di sua nonna.

Mohamed Yousef, I’m still a child, Dhai Dubai Light Art Festival
Khalid Alshafar, The Nomad 2.0, Dubai Light Art Festival

La casa, la scrittura, la preghiera, l’accoglienza, la famiglia e la comunità diventano all’interno della prima edizione di Dhai Dubai il filo rosso che traghetta le tradizioni arabe a una nuova formalizzazione digitale e luminosa, una. Ciò che viene da chiedersi è, come mai si è scelto di selezionare solo artisti provenienti da Dubai per inserirli nel primo light art festival di una delle città più cosmopolite del mondo? A questa domanda risponde la curatrice emiratina Amna Abulhoul: «Tutti dicono che siamo uno Stato. Ma in realtà non è così. Dubai era un villaggio di pescatori fino al 1920 e attraverso il commercio ha avuto uno sviluppo vertiginoso. Lo scambio culturale con i vari Paesi l’ha resa una metropoli cosmopolita e l’incrocio di culture l’ha influenzata. Ma ciò che caratterizza questo posto è abbastanza interessante da dover essere conosciuto, è ciò che lega gli artisti qui presenti e che in ognuno di loro viene espresso attraverso un percorso personale. Sono cresciuta qui, conosco questi artisti e volevo che avessero un supporto adeguato per continuare a lavorare. È per questo che abbiamo selezionato artisti di diverse generazioni, dai pionieri agli emergenti. Qui il pensiero diffuso è sempre stato quello di non riuscire a sopravvivere con il solo lavoro di artisti: è una cultura molto timida, che li ha portati a rimanere nascosti anche entro gli stessi confini nazionali. Questo percorso di riscoperta e valorizzazione è solo agli inizi: lavorando con loro abbiamo scoperto la necessità di costruire nuove narrazioni e mettere insieme le loro storie che parlano del presente e del passato recente. Abbiamo scelto sette opere che fossero significative delle diverse generazioni, un numero ristretto ma sufficiente a dare la giusta attenzione a ogni singolo artista».

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