28 febbraio 2022

Giorgio Griffa – Galleria Lorcan O’Neill

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Sempre sfuggito all’etichetta di una corrente, anche la pittura di Giorgio Griffa predilige la costante del non finito, in linea con le pieghe dei suoi supporti

Giorgio Griffa, Dall’Alto, 1968, Acrylic on canvas, 100 x 140 cm

“Non penso che la pittura e l’arte in genere, siano una fuga dalla realtà, una zona franca. Credo al contrario che esse continuino ad essere uno strumento di conoscenza e quindi di immersione nella realtà”. Questo il pensiero di Giorgio Griffa, artista tra i più radicali dell’avanguardia italiana, di cui il 22 febbraio è stata inaugurata una nuova personale alla Galleria Lorcan O’Neill, nel centro di Roma, in scena fino ad aprile 2022.
Artista nato negli anni ’30, con un’esperienza di avvocatura alle spalle, ha esposto in più di 150 personali, prendendo parte a numerose collettive sia in Italia che all’estero.

Giorgio Griffa da Lorcan O’Neill

La prima sala di Lorcan O’Neill, ampia ed ariosa, ospita le opere di grande formato, che spaziano dagli anni ’60 agli anni ’80. La disposizione delle vaste tele grezze, non preparate, né montate su telaio, suggerisce l’idea di un linguaggio minimalista che va complicandosi, ricamando progressivamente un canone sempre più segnico. I colori acrilici a base acquosa si depositano sul supporto leggero del tessuto, mescolando forme e colori accesi e fluenti.
La scelta di utilizzare la iuta, come base per il proprio gesto, è l’indizio di uno sguardo dell’artista nella direzione dell’arte povera, benché Griffa sia sempre sfuggito all’etichetta di una corrente pittorica definita. Così come sfugge la sua pittura alla finitezza, nella predilezione di un costante non finito, in linea con le pieghe del tessuto: c’è una griglia che soggiace alle forme dipinte, che segue l’increspatura del supporto, volutamente non stirato.
Non esiste per Griffa un’intenzione, né un messaggio: è la tela a comunicare qualcosa, la tela a farsi carico dell’azione dell’artista e a diventare portatrice di un’intima memoria gestuale. Al gioco dei colori e degli intrichi di forme si aggiunge quello delle trasparenze della iuta leggera, nella ricerca di un ordine mutevole e dinamico dei segni.
La presa dell’arte di Griffa sulla realtà intesa come azione, impatto e cadenza, scansa l’idea che la sua pittura sia il risultato di un elegante estetismo decorativo. Le campiture di colore contano pause e variazioni, le linee multidirezionali e gli arabeschi si fanno specchio di un pensiero fermato “a metà della frase”.

Giorgio Griffa, Tre linee con arabesco n.866, 1993, Acrylic on canvas, 98 x 120 cm

Nella seconda sala della galleria sono esposti i lavori più recenti (2019-2021), nei quali si può riconoscere l’influsso della poesia modernista e della musica d’avanguardia. Poesia e musica sono espressioni artistiche che condividono una radice comune nel ritmo, cosicché le tele, di più piccolo formato s’infoltiscono non più e non solo di macchie e di striature cromatiche, ma di misteriosi sistemi alfanumerici e combinazioni di simboli grafici, inducendo ad una riflessione sulle cifre e sul linguaggio.

Giorgio Griffa, Canone Aureo 683, 2012, Acrylic on linen, 162,5 x 208,5 cm

Anche in questo caso non si tratta di riferimenti ornamentali: ora i numeri indicano la posizione di un’opera all’interno di un ciclo di lavori, ora l’ordine secondo cui segni e colori vengono depositati sulla tela. Ma c’è una ricerca che scava ancora più a fondo e che si palesa nella fascinazione di Giorgio Griffa per il linguaggio segnico nelle culture antiche e nello sciamanesimo, sfiorando i quadrati magici e i rebus di boettiana memoria.
Nei primi anni duemila l’attenzione dell’artista era già intorno all’aspetto matematico della sezione aurea, l’antica proporzione divina. Il rapporto aureo produce un numero che non finisce, le cui prime cifre sono riconoscibili in alcune opere esposte. La meditazione sulla spazialità e sul ritmo ha preso sempre più piede nel pensiero dell’artista, che ha partecipato attivamente al dibattito delle arti con numerose pubblicazioni e che in Post scriptum afferma: “c’è il tempo unito allo spazio perché ogni segno viene prima o dopo un altro, prima o dopo sia come luogo sia come tempo”.

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