-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
Gli acquedotti di Roma diventano spazi d’arte contemporanea e partecipazione
Arte contemporanea
di redazione
Si concluderà domani a Roma Il racconto dell’acqua, il progetto ideato e curato da Adriana Polveroni con l’Associazione Culturale Ciel’in città che, negli ultimi mesi, a partire dall’8 settembre, ha trasformato parchi, acquedotti e spazi pubblici in luoghi di riflessione collettiva sull’acqua come simbolo, bene comune e risorsa vitale. Vincitrice dell’Avviso Pubblico Artes et Iubilaeum – 2025, la rassegna ha costruito un itinerario diffuso tra pratiche artistiche, partecipazione e memoria urbana, culminando con gli interventi di Irma Alonzo, Giulia Apice, Paolo Assenza, Matteo Basilé, Iginio de Luca, Luca Grechi, Mercedes Klausner, Laurent Le Deunff, Cristiana Pacchiarotti, Pamela Pintus, Alfredo Pirri, Maddalena Scuderoni.
Abbiamo incontrato Adriana Polveroni e Alfredo Pirri per ripercorrere il senso e la genesi del progetto.

Il progetto attraversa quartieri, parchi e acquedotti. Qual è la chiave che tiene insieme un racconto così diffuso dell’acqua?
Adriana Polveroni «Sono due le chiavi: la realtà e la storia di Roma, città che ha sempre avuto un rapporto privilegiato con l’acqua, penso alla tradizione di ingegneria idraulica che fin dai tempi antichi ha permesso a questa città di realizzare impianti idrici di alta tecnologia e di impareggiabile qualità estetica. Ma l’acqua possiede anche un fortissimo valore simbolico che ha ispirato, e continua ad ispirare, artisti. Coniugare questi due aspetti, come è accaduto con “Liquefazioni”, la rassegna di videoarte comprendente opere di artisti italiani e stranieri che hanno per tema l’acqua, proiettata direttamente sulle pareti dell’Acquedotto Marcio Felice è stata una sorta di quadratura del cerchio».
Che cosa ha restituito finora il coinvolgimento diretto delle comunità nei laboratori e nelle opere? Come cambia lo sguardo sull’arte quando entra nei territori?
Polveroni «Da questo punto di vista penso ci sia da fare una seria riflessione. Noi abbiamo operato in luoghi molto periferici, molto belli e con un tasso di frequentazione variabile. Ma la mia impressione è che sia molto difficile attivare consapevolmente le periferie, i loro abitanti, attraverso progetti che non hanno una continuità, che arrivano ad un certo punto dell’anno, si concludono e non ritornano. Diverso è, per esempio, il lavoro nelle scuole, dove abbiamo realizzato dei laboratori. Lì, entrando in un tessuto sociale vivo e definito, la risposta è stata diversa».

Cosa l’ha colpita della figura di Don Roberto Sardelli al punto da voler trasformare un traliccio elettrico in un monumento dedicato alla sua memoria?
Alfredo Pirri «Roberto Sardelli è stato un uomo e un sacerdote che ha vissuto in maniera esemplare la sua esistenza. Quando dico esemplare, mi riferisco alla sua dimensione tanto monolitica quanto frammentaria, cioè tutto di un pezzo la sua forma esteriore e mutevole al suo interno. La sua vita è stata caratterizzata dal desiderio di dare forma tangibile al messaggio evangelico, ma senza retorica e moralismo. Semmai attraverso l’esempio, offerto in prima persona, di un’esistenza coerente e diretta in cui spirito e corpo si fondevano. L’ho incontrato solo un paio di volte e stargli di fronte era un’esperienza molto forte perché emanava grazia spirituale e fisicità allo stesso momento.
Il titolo del mio lavoro, della notte, del pianto, dell’aurora, è una citazione del nome che aveva dato lui stesso ad una scuola di flamenco creata verso fine della sua vita a testimoniare della sua passione per questa danza gitana, momento di massima unitarietà fra corpo e anima, sia di un popolo che come esperienza individuale. Il traliccio abbandonato, innestato sugli archi dell’acquedotto Felice, ha sempre rappresentato per me (che vi abito di fronte) un mistero …. sia un mistero che riguarda le regole di conservazione dei siti archeologici: come mai la soprintendenza restaurando gli archi non lo ha rimosso? Sia un mistero formale, l’immagine della croce che vi si annida dentro è inequivocabile e la sua posizione così solitaria e frontale rispetto alla strada ne fa una specie di messaggio tanto esplicito quanto nascosto. Questa stratificazione di segni e significati ha provocato in me il senso di un legame profondo fra questo traliccio e don Roberto Sardelli».
Il suo intervento usa luce e doratura per segnare un luogo periferico. Cosa spera che il pubblico colga da questo gesto così essenziale ma simbolicamente forte?
Pirri «Quest’opera, che ho chiamato monumento, agisce, sulle persone che transitano per strada in maniera tutt’altro che palese. E’ quasi invisibile di giorno e brilla al buio grazie ad un faro collocato (per ora, in attesa che se ne faccia carico l’ente pubblico …) sul tetto di casa mia. In questo senso è un monumento non monumentale, che penetra nelle coscienze e negli occhi con delicatezza, però destinato a crescere potentemente dentro chi vi si trova a contatto. La cosa che mi piace di più è che, di notte, quando la strada è semibuia e vuota, viaggiando a piedi contromano (o anche in auto, non dimentichiamo che siamo ancora in un’area semi selvaggia della città) la “croce” dorata è ben visibile da lontano in linea rettilinea e frontale. Questo segno luminoso si ingrandisce avvicinandoci e solo alla fine si scopre trattarsi di un traliccio per l’elettricità in disuso. Quindi si assiste ad una trasformazione da un simbolo religioso a un elemento urbano che richiama la realtà. La mia vera unica speranza è che questa fusione sarebbe piaciuta a don Roberto Sardelli».












