19 novembre 2021

Gli artisti in “Vaccanza” sulle Dolomiti Contemporanee

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Un gruppo di artisti sulle Dolomiti. E un titolo, "Vaccanza", che mette in rilievo le criticità di chi vive l’ambiente montano come se si trattasse di un’isola tropicale qualunque

Giulia Maria Belli, Il serpente (part), 2021, ph. Giacomo De Donà

Salire. Tenere le curve. Aspettare. Rosso. Verde. Galleria. La tragedia del Vajont. Il furgone dei panini.
Parcheggiare. Cercare Delfino. Lui è un abitante di Casso. La sua casa guarda il K2. Il K2 dà ristoro ai passanti.
Inizia così, in pieno stile Dolomiti Contemporanee, la nostra visione in solitaria della mostra VACCANZA. Siamo un po’ dei loro, quindi ci è concesso di farci dare le chiavi dell’ex scuola del paese riqualificata ormai 9 anni fa all’interno dell’ambizioso e significativo progetto guidato da Gianluca D’Incà Levis. La serietà del lavoro svolto ha valso a Dolomiti di essere selezionati dalla Biennale Architettura di Venezia 2021 con Comunità resilienti, per contribuire a quella riflessione sulla vita comune futura che la kermesse veneziana si è proposta di indagare quest’anno.
Una mostra di sostanza perché nata da una residenza durata un anno, concepita e realizzata da Fondazione Malutta e Dolomiti Contemporanee per aggredire un tema che attanaglia tanto la realtà veneziana, di cui la Fondazione è espressione, tanto quella montana: un turismo inconsapevole e inconsistente, che si priva degli strumenti adatti ad entrare in contatto con realtà fragili, esondanti peculiarità irripetibili che hanno la necessità di essere preservate più che sfruttate.

Francesco Zanatta, La sesta ora, 2021 ph. Giacomo de Donà

Per conoscere la montagna bisogna viverla, per questo la proposta fatta al gruppo di artisti è quella di concepire e realizzare la mostra direttamente a Borca, nell’headquarter di DC che è l’ex villaggio Eni concepito dall’architetto Edoardo Gellner per volere di Enrico Mattei.
Un gruppo di artisti veneziani non può che raggiungere la montagna con i mezzi pubblici, accettando la lentezza e la fatica come grimaldello primario che ne dischiuda l’identità. Si segna già una distanza da chi frequenta la montagna per calcare uno stereotipo di vacanza all’aria aperta, senza concepirne difficoltà e criticità. Lo sguardo di Giulia Maria Belli, Thomas Braida, Luisa Badino, Chiara Campanile, Nina Ceranić, Enej Gala, Riccardo Giacomini, Manuela Kokanović, Anna Marzuttini, Carolina Pozzi, Danilo Stojanović, Nežka Zamar, Francesco Zanatta si è formato vivendo il territorio con l’ironia e la visione dissacratore che caratterizza il gruppo, portandolo a concepire un titolo che metta in rilievo proprio le criticità di chi vive l’ambiente montano come se si trattasse di un’isola tropicale qualunque. Le opere nascono così, nel pendolarismo e nella permanenza, nell’ attitudine a scalare che da metaforica diventa pratica reale, nell’indagine di storie tradizionali che si mescolano al susseguirsi delle quotidianità di chi deve davvero fare i conti con il territorio, come nel libro Storie Pallide con testi di Riccardo Giacomini e le illustrazioni di Giulia Maria Belli, commissionato dal direttore dell’Hotel Boite che decide di investire in un prodotto culturale e non in una brochure patinata per dare rilievo al suo territorio. “Undici storie di rivelazioni inquietanti, corpi consunti, ironici contrappassi ed effimere conquiste”, come recita il foglio di sala.

Thomas Braida, Testa di noce e piedi di ciliegio, 2021, ph. Giacomo De Donà

Poi c’è Thomas Braida, che inonda lo spazio con una tela realizzata in nove ore, Cocktail Cows, un’opera che si contrappone alla meticolosità con cui realizza normalmente i suoi lavori e che diventa uno spontaneo e ironico elogio della noncuranza di chi fatica ad accettare le regole del gioco, quando non collimano con le proprie. Guardare il precipizio con sguardo scevro da imbellettamenti allora significa anche dar corpo a una scultura come Testa di noce e piedi di ciliegio, un essere che con la sua deformità e gambe malcerte abita lo spazio ricordando la sua presenza sempiterna ma al contempo zoppicante e imperfetta.
La giungla di Zanatta è poi un richiamo a quei cambiamenti climatici che stanno facendo impazzire i ritmi naturali, focalizza l’attenzione sulla mancanza di manutenzione che porta alla perdita di controllo, ad un naturale che sfugge al bisogno di essere compreso e accompagnato, lì dove l’uomo si insedia.

Enej Gala, Acquaintance, 2021, ph. Giacomo De Donà

L’enorme pupazzo di Enej Gala è, infine, uno sproporzionato e spropositato tributo all’identità di Dolomiti Contemporanea sia per Progetto Borca, che fornisce i materiali per la produzione con gli scarti di tessuti rinvenuti nella Colonia, sia per quest’idea di connessione, di lunga coda che serpeggia attraverso spazi un po’ civilizzati un po’ selvaggi, in grado di dare senso a ciò che permane tra mollezza e necessità.
L’attitudine spontanea dei Malutta è quella di riprocessare continuamente temi che apprendono e di cui fanno esperienza vivendo. Con la stessa azione di resistenza culturale messa in atto a Venezia, la città che abitano e in cui agiscono perché qualcosa di vero resti a prescindere dalla speculazione del mordi e fuggi, così hanno deciso di trattare la montagna. Hanno ripercorso l’identità di Dolomiti, ne hanno cercato l’essenza e l’hanno resa opera attraverso quella che appare proprio per ciò che è, una mostra ricca di vita, di rimandi iconici e relazionali, di riflessione e irriverenza.
L’esposizione resterà aperta su prenotazione fino a fine dicembre, oltre ad essere visitabile in concomitanza di eventi e iniziative pensate appositamente per lo spazio montano.

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