21 giugno 2022

Guendalina Salini, Pachamama Concrete – AlbumArte

di

"Pachamama Concrete" pone un parallelo tra la divinità Inca e la realtà cementizia del Corviale, in un rimando linguistico duale riaffermato e delineato nelle opere in mostra

Guendalina Salini, Pachamama Concrete, AlbumArte, 2022, photo by Alessandra Trucillo, courtesy AlbumArte

Tra corridoi continui e una natura tenace, tra narrazioni e miti ritrovati, la mostra “Pachamama Concrete” di Guendalina Salini presso AlbumArte, a cura di Benedetta Carpi De Resmini e realizzata con Latitudo Art Projects, esplora e si pone in ascolto del complesso architettonico di Corviale, degli abitanti e del territorio circostante, ricondotti all’interno del simbolo, della ciclicità di natura, di un’unione spaziotemporale che si insinua come ramificazione sotterranea, radicale e radicante come la r-esistenza e le storie che la abitano: in un’apparente impenetrabile dimora lungamente distesa e grigia, l’artista evoca una origine ancestrale e primigenia che riemerge da un mondo arcaico quale fondamento ed essenza sottesa al tempo odierno, alle sue incomprese complessità e varietà di vita, di ricordi, di percorsi.
Il titolo dell’esposizione pone un parallelo tra la divinità Inca e la realtà cementizia del “serpentone” in un rimando linguistico duale riaffermato e delineato all’interno della mostra, ulteriormente allusiva della radice fondativa del territorio, legato alla Terra madre – Pachamama per gli andini, Cerere per i latini – e al contempo, come scrive la curatrice, «alla concretezza e alla resilienza delle persone che lo abitano»: poco lontano dall’imponente edificio sorgeva, infatti, in epoca romana, l’antico collegio dei Fratres Arvales (dal latino arvum: campo coltivato) dediti al culto della dea Cerere, iconograficamente rappresentata con spighe di grano e serpi tra le mani.

Guendalina Salini, Pachamama Concrete, AlbumArte, 2022, photo by Alessandra Trucillo, courtesy AlbumArte

Il serpente, identificativo o compagno di divinità femminili sotterranee legate alla rinascita e alla purificazione, nella progettualità di “Pachamama Concrete” si trasforma in cerchio cingente e protettivo, in segno culturale forgiativo nella ritualità del racconto, in labirintico intreccio di narrazioni continue ancorate all’oralità, in nume tutelare di un cammino sonoro dispiegato tra la mole architettonica e i campi liberi circostanti.
Dalle voci prende corpo un fluire di vissuti che trasportano in una peregrinazione corale e musicale nell’opera sonora Corale Corviale. Passeggiata sonora al Corviale composta e orchestrata nell’area e all’interno del complesso residenziale, in collaborazione con Marco Stefanelli.
Nella serie di 12 disegni Corale Corviale e in Storia quasi completa del mondo presentato in spirale concentrica, Guendalina Salini traccia la memoria presente come viaggio comune e collettivo, scoperta e ritrovamento dei territori del simbolico e dell’atavico attraverso la storia, di una naturalità intrinseca palesata emblematicamente in idoli della Dea madre, in figure faunistiche e floristiche che definiscono una semiotica culturale e un radicamento paesistico codificanti connotazioni e limiti di un’esperienza identitaria tra singolo e comunità.

Guendalina Salini, Pachamama Concrete, AlbumArte, 2022, photo by Alessandra Trucillo, courtesy AlbumArte

Nell’opera Il progresso fa acqua da tutte le parti la realtà dinamica e mutativa di Corviale si evidenzia anche nei segni di una cura disattesa che ne aggredisce nel tempo l’anima strutturale, andando a formare, attraverso i continui e innumerabili perforamenti, residuati e sgretolamenti costituenti l’enunciato del fallimento di un progressismo lineare e verticale.
In ideale parallelo, nell’installazione luminosa La leggenda del secchio fesso le cavità mancanti che privano di funzionalità secchi e bacinelle dai colori vividi si tramutano in mandala meditativi luminescenti, richiamanti filosofie Sufite tra resistenza e fragilità.
Nell’opera video Corviale: assurdità e contrasti in 5 blocchi l’artista introduce l’osservatore all’interno delle mura dell’edificio, incastonato in una distesa edenica pastorale, addentrandosi in salti ritmici, in scorci e linee geometrizzanti che cadenzano il luogo e lo sguardo in una disputa tra cemento e cielo, tra proscenio arcadico e schematicità modulari.
La progettualità frutto della residenza dell’artista nell’ambito della piattaforma europea Magic Carpets, analizza e porta in luce una realtà sfaccettata e molteplice, una spazialità e una temporalità vissuta, fatte di forze complementari e contrastanti.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui