05 novembre 2023

Quando il museo incontra il territorio. Il modello del MACTE di Termoli raccontato dalla sua direttrice

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Da Jacovitti al Premio Termoli, il MACTE si conferma come una realtà attenta all'arte e alla conservazione del patrimonio con uno sguardo premuroso verso la città che lo ospita. Ce ne parla la sua direttrice Caterina Riva

Caterina Riva. Photo credit: Gianluca Di Ioia
Caterina Riva. Photo credit: Gianluca Di Ioia

Sono diverse le istituzioni artistiche nate negli ultimi decenni all’interno di piccole realtà e il MACTE di Termoli è una di queste. Inaugurato nel 2019 con una mostra su Giuseppe Uncini, il museo d’arte contemporanea molisano è attualmente diretto da Caterina Riva che dal 2020 ha accettato la sfida contribuendo all’ampliamento della Collezione del Premio Termoli, il restauro del patrimonio e uno sguardo meticoloso verso la città che lo accoglie. Dal 7 ottobre, l’istituzione ospita Jacovittissimevolmente, la mostra dedicata al centenario del fumettista termolese Benito Franco Giuseppe Jacovitti, voluta dalla figlia Silvia Jacovitti e a cura di Luca Raffaelli. Accanto all’esposizione del MACTE di Termoli, anche una visione parallela al MAXXI di Roma, curata da Dino Aloi e Giulia Ferracci

Tutte le sfumature di Jacovitti al MACTE di Termoli

La panoramica molisana raggruppa i diversi momenti della pratica di Jacovitti scomponendoli in diverse sezioni. In questo modo, il pubblico si abitua pian piano ad una lettura completa delle tavole. Attraverso riproduzioni su carta, banner e display di diverso tipo, i visitatori possono entrare nel vivo delle illustrazioni. Il progetto è infatti studiato per permettere di interagire con i dispositivi di mostra che retroilluminano le stampe. Ed è proprio attraverso l’emersione del loro colore originale che i disegni del fumettista prendono vita.

Jacovitti, MACTE Termoli
Jacovittissimevolmente, 2023, installation views al MACTE Termoli. Photo credit: Gianluca Di Ioia

Le tematiche, ancora oggi fin troppo attuali, sono rese con l’ironia dolceamara tipica jacovittiana. Singolare il glossario Jacovittaggini, che elenca i numerosi riempitivi usati per eludere i vuoti all’interno delle vignette: oggetti umanizzati, individui deformi e animali ibridi. Ognuno di essi è accompagnato da una spiegazione che strappa diversi sorrisi. Nonostante questo, sono diversi i rimandi all’immaginario di guerra dato dai teschi, dai vermi e dalle mani che sbucano dal terreno.

In questa foresta di segni, fondamentale è la scelta del percorso di mostra. Esso, infatti, permette di acquisire l’esperienza per leggere le tavole, evidenziando gli aspetti peculiari della ricerca di Jac. Tra questi emergono: giochi di parole, onomatopee, corpi e composizioni minuziosamente studiate. Per approfondire il discorso abbiamo intervistato la direttrice Caterina Riva che ci ha permesso di entrare nel vivo della questione sulla ricezione della mostra e sul MACTE di Termoli. 

MACTE Termoli
Benito Jacovitti. Dettaglio di tavola. © Silvia Jacovitti

Hai avuto esperienze anche in altre istituzioni. Quali sono gli aspetti che cambiano maggiormente in un museo sorto in un contesto più piccolo rispetto ad uno situato in una grande realtà? Termoli è una meta turistica ma immagino sia una bella sfida.

«Hai assolutamente ragione, la parola “sfida” è fondamentale in quello che proviamo a fare col MACTE perché anche l’idea stessa di aprire un museo d’arte contemporanea in una cittadina come Termoli è già qualcosa di particolare. Ritengo ci siano punti di forza e punti di fragilità. Un punto di forza è che avere un museo in un centro più piccolo a mio parere permette di lavorare in maniera più “libera”. Intendo che quando si lavora a Roma o Milano lo si fa quasi più in competizione con quello che c’è già, piuttosto che pensare a cosa è possibile. Invece qui, paradossalmente, è divertente immaginare delle cose fuori dagli schemi. Ma significa anche costruire con un po’ più di fatica perché, a livello strutturale, se ti servono certi tipi di maestranze è più complesso trovarle in Molise.

Per quanto riguarda il pubblico sì, Termoli è un centro turistico, quindi d’estate c’è il picco dei nostri visitatori. Infatti la programmazione di solito è costruita per avere una mostra come il Premio Termoli nel periodo estivo. Il discorso è diverso rispetto al pubblico di vicinanza che è sempre quello più complicato da attrarre. È un progetto a lungo termine, non sono risultati che si ottengono nei primi mesi di vita, ma è una sorta di fiducia che bisogna conquistarsi passo passo. Oltre alla programmazione, quello che è molto importante in questo senso sono gli eventi e soprattutto i laboratori per le scuole. In questo modo riusciamo a farci conoscere e a normalizzare il concetto di museo, aprendo le porte ai bambini fin da quando sono molto piccoli in modo da non farglielo percepire come una “strana astronave” ma come qualcosa di molto semplice».

MACTE Termoli. Photo credit: Gianluca Di Ioia

Che ti accoglie, insomma…

«Esatto, l’accoglienza e l’accessibilità sono fattori molto importanti per noi. L’aver sospeso il biglietto d’ingresso è un altro incentivo per far accedere persone che potrebbero avere problematiche di tipo economico. Anche questa barriera è stata abbattuta, proprio per invogliarle a tornare più volte. La mostra di Jacovitti stessa è molto interessante perché capita che i visitatori vengano nelle ultime ore di apertura e si rendano conto di aver bisogno di più tempo e quindi dicono “torneremo, porteremo altre persone”. Questa sorta di fidelizzazione che si crea mi piace molto». 

E sono arrivate anche delle scuole dai paesi dell’entroterra molisano?

«Sì, sempre di più. Si crea un bellissimo passaparola tra i docenti che parlano tra loro e con i genitori dei bambini che sono venuti a trovarci. Infatti, la mostra di Jacovitti sarà aperta fino al 24 di febbraio e il calendario dei laboratori per le scuole è completo fino ad allora. Siamo molto felici di questo risultato». 

Jacovittissimevolmente, 2023, installation views al MACTE Termoli. Photo credit: Gianluca Di Ioia

A proposito di Jacovittissimevolmente, volevo domandarti la percezione del pubblico ma come mi hai anticipato è stata sentita come più cara.

«Sì, il fatto che Jacovitti sia originario di Termoli è un aspetto fondamentale, così come il suo essere stato un fumettista è qualcosa che può essere percepito in maniera più diretta dalle persone. È stata importante anche la collaborazione tra noi e il MAXXI di Roma, con l’inaugurazione delle mostre parallele. La stessa comunicazione viene fatta in tandem e permette alle persone che vedranno la mostra a Roma di venire a Termoli per scoprire il MACTE e viceversa, così da completare la panoramica su Jacovitti». 

Rispetto al museo, il MACTE di Termoli è nato come custode della Collezione del Premio, giusto?

«Il nucleo centrale, che ha permesso la nascita di un museo di arte contemporanea a Termoli, è l’esistenza del Premio, nato nel 1955, di cui quest’estate è stata inaugurata la 63° edizione. È una storia continua ed è già la seconda che ospitiamo qui al MACTE. Si è rinnovato perché tradizionalmente era su invito ed era dedicato solo alle arti ma da due anni a questa parte esiste anche una sezione di architettura e design con un’open call internazionale. Il tentativo è quello di immaginare un “museo espanso”: invitiamo a pensare a degli apparati legati all’istituzione. In questo caso si immaginava la progettazione di una biblioteca, che dovrebbe sorgere proprio qui, mentre la volta precedente la proposta consisteva nel pensare una pensilina degli autobus per Termoli». 

Sara&Sara, Parasol Library, Sezione Architettura e Design del Premio Termoli 2023.

Quali potrebbero essere gli sviluppi futuri in merito alla programmazione?

«Per quanto riguarda il futuro, l’idea è di continuare questa progettualità col Premio Termoli. La collezione, infatti, è in comodato al museo. Abbiamo circa cinquecento opere che sono custodite dal MACTE e continuano ad aumentare. Ogni nuova edizione del Premio ci consente di aggiungerne una, così come altri bandi ministeriali ci hanno permesso di far entrare nuova linfa. Quindi è una storia che continua ad essere scritta e credo sia molto bello perché è un modo per vedere come i linguaggi dell’arte si modificano. Tra gli sviluppi futuri anche portare avanti l’attuale programmazione di mostre temporanee che entrano spesso in dialogo con la collezione.

Essa è stata vista e studiata ma c’è moltissimo lavoro da fare. Parte del lavoro del museo è anche questo: dedicarsi alla conservazione e allo studio delle opere. Allo stesso tempo, quello che cerco di fare con le mostre temporanee è ragionare su ciò che è pressante rispetto alla realtà che ci circonda, alle visioni degli artisti ed è importante anche trovare un modo per dialogare con la collezione. Negli spazi di solito non è mai possibile esporla nella sua interezza. Quello che provo a fare durante le mostre temporanee è proporre in parallelo una selezione di opere della permanente che creino un dialogo, un contrasto». 

Così da metterle anche a disposizione del pubblico.

«Esatto, fare delle cose nuove fa bene a tutti, bisogna attirare l’attenzione. Ho provato a far vedere delle opere ritenute minori nella storia dell’arte perché mentre alcune di esse prendono lo status di capolavori, altre restano in disparte. E quindi è importante far vedere questi meccanismi come anche far capire alle persone che bisogna prendersi cura delle opere. Abbiamo fatto delle campagne di restauro, alcune di esse erano danneggiate perché non erano state conservate correttamente. Ci stiamo impegnando per far ritornare alla vita delle opere che non era quasi più possibile mostrare al pubblico».

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