06 dicembre 2022

Il Minigolf violento di Niccolò Moronato nel Macellum di Pozzuoli

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Vincitore del bando promosso dagli Art Days Napoli Campania, Niccolò Moronato ci parla di Leisure, installazione tutta da “giocare”, tra le archeologie del Macellum - Tempio di Serapide a Pozzuoli

installazione di niccolò maronato a pozzuoli
Leisure, Niccolò Moronato, Macellum, Pozzuoli, 2022. Courtesy of the artist, Art Days napoli campania

Quante volte ci siamo trovati davanti a un’opera d’arte contemporanea senza saperlo? Del resto, i toni polemici che hanno accompagnato la storia dell’arte nel tempo, ne hanno spesso anche decretato la visibilità, discutibile ma pur sempre di confronto. Sebbene siano solo alla loro seconda edizione, gli Art Days Napoli Campania hanno già introdotto delle novità, tra queste l’open call “Flegreo per il Contemporaneo”, un premio con residenza andato all’artista padovano Niccolò Moronato con Leisure, un immaginifico minigolf.
L’installazione è stata realizzata in una location d’eccezione: il Macellum – Tempio di Serapide a Pozzuoli che, per l’occasione, si è visto decorato, al suo interno, da un intervento installativo consistente in delle simpatiche bandierine dal colore del pericolo ma anche della passione.

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Leisure, Niccolò Moronato, Macellum, Pozzuoli, 2022. Courtesy of the artist, Art Days napoli campania

È interessante come la notizia abbia attirato le perplessità, sotto forma di commenti polemici sui Social Network, di alcuni cittadini che erano stati invitati a prendere parte all’opera pensata in forma di workshop. Un progetto per il territorio, dove l’arte contemporanea supporta quella preesistente, in questo caso archeologica, per instaurare un dialogo e per promuove lo sviluppo di attività partecipative e condivise. L’intento? Sensibilizzare, tramite il coinvolgimento attivo, la popolazione residente e non, sulla consapevolezza e le potenzialità del proprio patrimonio culturale.

«“Il golf è uno sport violento”. È da quest’estate che è un pensiero fisso. Sto lavorando su questo – sul fatto che il golf stravolge un territorio e lo trasforma in un paesaggio simbolico da conquistare a colpi di mazza, una buca dopo l’altra, nel minor numero di tiri possibile», aveva dichiarato l’artista in una nostra intervista del 2020 per il format #ItsaMadMadMadMadWorld.

Moronato si era occupato di analizzare i meccanismi visivi e linguistici che sottendono alla cultura consumistica già nei due video presenti alla mostra “Rethinking Nature”, al Madre. Qui lo fa diversamente, liberandosi del mezzo multimediale e realizzando un’installazione site specific non invasiva, nel rispetto di un luogo sacro che è un bene patrimoniale. L’artista ha voluto mostrare come il divertimento dietro uno sport “signorile” possa essere controverso, se si va a scavare nei punti giusti.

Un mondo da cartolina, molto simile a quelle vintage del nostro bel paese con paesaggi e siti archeologici che sembrano immortali nel tempo. Non è un caso che l’opera abbia vinto l’Open Call Flegreo per il contemporaneo. I giudici degli Art Days hanno ritenuto il messaggio dietro l’installazione in linea con il difficile stato in cui “sopravvivono” beni che subisco violenze e ingiustizie burocratiche, sociali e fisiche. Per saperne di più, abbiamo rivolto qualche domanda all’artista.

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Leisure, Niccolò Moronato, Macellum, Pozzuoli, 2022. Courtesy of the artist, Art Days napoli campania

Niccolò come è nata l’idea dell’installazione? Perché hai scelto proprio il minigolf per comunicare il tuo messaggio?

«Il golf è uno sport violento. Me ne sono reso conto un paio di anni fa mentre passavo ogni giorno per Lincoln Park a Chicago, al cui interno c’è un campo di prova a due piani, da cui i giocatori scagliano palline ogni minuto, producendo un suono spietato, aggressivo, come una frustata che spara un proiettile. Se lo guardo dal punto di vista del campo, il golf mi appare come una dimensione che ingloba, mastica e trasforma in un paesaggio “da cartolina” il territorio su cui atterra. A volte compiendo veri sacrilegi, come i campi da golf caraibici che sorgono su piantagioni un tempo lavorate da schiavi, o un campo, nell’Ohio, che sorge sopra un cimitero nativo-americano.

Anche inserire un campo da golf in una rovina romana può essere un sacrilegio, che mi serve per poter riflettere su altri sacrilegi che spesso accadono nelle nostre città senza che ce ne rendiamo più conto».

Quando hai partecipato alla Call, conoscevi la location, hai fatto un lavoro di ricerca e di studio sulla storia e lo stato del sito o di siti simili?

«No, non la conoscevo, ma mi ha parlato subito. Sia per il “terzo paesaggio” spontaneo che si forma a ogni marea, con alghe, erba, conchiglie, sia per la sua collocazione storica molto particolare: a lungo creduto un tempio, si è scoperto che era in realtà un enorme mercato. Nel quotidiano viene ancora chiamato Tempio di Serapide e mi colpisce molto questa strana commistione di sacro e profano, religiosità ed economia. In un certo senso mi parla anche di come viviamo in questi tempi le vestigia del passato – con deferenza, senza poterle toccare o reinserire nella nostra vita, solo guardandole immobili. Molte persone si sono abituate a questo rapporto “serioso” e anche un po’ pigro con il passato, altre invece non hanno perso la confidenza e la vicinanza quotidiana con le rovine, vivendole come elementi sì antichi ma ancora vivi, per cui contemporanei in un qualche modo.

Nel passato, poi, il Macellum ha cambiato aspetto e ruolo nella vita delle persone: fino alla metà del Novecento gli abitanti andavano tranquillamente in mezzo alle sue rovine per respirare i vapori termali, poi negli anni Settanta fu addirittura creato uno stabilimento termale al suo interno (a pagamento), nella zona in cui si trova il “green” attuale – un terrapieno di risulta, senza connotati storici particolari, pensato per poter ospitare i visitatori senza farli entrare mai a contatto con il sito archeologico tout-court: una sorta di belvedere».

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Leisure, Niccolò Moronato, Macellum, Pozzuoli, 2022. Courtesy of the artist, Art Days napoli campania

Si tratta di un’attività partecipativa, che ha in sé una natura esplicitamente critica. Come pensi sia stata recepita dalle persone del posto e da chi non è riuscito a vederla ma gli è bastato vederla in foto per commentarla?

«Faccio quello che faccio per avere dialoghi con le persone e con i luoghi. In generale, cerco di tenermi più lontano possibile dall’aspettativa di una risposta unica o corale a un lavoro, un “wow” effect molto pubblicitario utile per le foto e per la propaganda istituzionale, ma poverissimo da un punto di vista cultural-nutrizionale. Mi concentro su chi c’è qui e ora, sui curiosi, ad ogni livello: c’è chi a un’opera dedica 30 secondi e chi mezz’ora, ma per ciascuna di quelle persone ci tengo che ci sia un qualcosa che possano portarsi via dall’esperienza e che magari riaffiori nei loro pensieri anche a distanza di mesi.

L’installazione della parte più “scultorea” dell’intervento (le bandiere rosse che punteggiano il paesaggio del sito archeologico) è durata una settimana: le tante persone che passavano di là mi hanno visto, mi hanno fatto domande, a volte con curiosità altre con aggressività. È peculiare vedere come delle semplici bandiere da golf possano immediatamente suggerire una trasformazione di un luogo, quasi a segnare un passaggio tra uno stato “naturale” del sito ad uno stato di “paesaggio” creato dall’uomo – questo ha generato molta elettricità, sia benevola che critica. E va benissimo così.

Durante tutta la settimana di residenza ho anche incontrato casualmente molte persone – il caffè è una pratica relazionale a tutti gli effetti, specialmente a Pozzuoli – con le quali abbiamo avuto modo di parlare dei motivi della mia presenza e dell’opera. Quelle chiacchiere, specialmente quella con il signor Espedito che lavora al passaggio ferroviario della Ferrovia Cumana, mi resteranno a lungo nel cuore.

Infine, tra le critiche di chi non è né passato durante la settimana né ha fatto domande perché si era già risposto da solo, ho notato solo l’obiezione che un approccio “ludico” sia offensivo per avvicinarsi a un luogo. Beh, svariate persone che sono venute a “giocare” mi hanno detto che non tornavano al Macellum da 20 o 30 anni.

E soprattutto, il gioco è il modo migliore per scoprire ed imparare: mi dispiace che sempre meno persone giochino, specialmente in Italia dove tutto è subito demonizzato o esaltato, mai semplicemente sperimentato. Dopo più di cent’anni non abbiamo ancora compreso la lezione di Maria Montessori».

Il tema della violenza insita nella “normalità” e della sua comunicabilità, troppe volte mascherata, fa parte, come quella connessa al divertimento, della tua ricerca artistica, ma anche della tua formazione/esperienza nel campo della pubblicità. Cosa è cambiato e cosa sta cambiando secondo te rispetto al passato?
«Vedo sempre più entrare le logiche tossiche dell’event marketing all’interno dell’arte. Fino ad arrivare all’art-washing tout-court, specialmente da parte di aziende e di progetti immobiliari faraonici sia nei centri che nelle periferie.

Penso sia molto urgente che l3 artist3 si dotino di conoscenze specifiche (sto pensando a degli workshop in questo senso) che permettano loro di capire molto bene come verranno sfruttati i loro sforzi e che sistemi vanno ad alimentare due o tre step più in là. Soprattutto riguardo l’aspettativa che un lavoro susciti la stessa reazione positiva (il “wow effect”) in tante persone diverse e che questo sia la metrica del successo, reale o rappresentato in foto.

Quello che chiamiamo normalità è, il più delle volte, frutto di violenza comunicativa, forzature concettuali che rendono accettabile l’inaccettabile. In questo, l’industria del divertimento e quella della pubblicità giocano un ruolo sociale enorme perché a tutti gli effetti alimentano forzosamente i pensieri ed il linguaggio delle persone, talvolta distraendole con qualcosa di godibile, altre volte inculcando modi di pensare in maniera surrettizia, normalizzando ciò che dovrebbe restare profondamente personale.
L’estremizzazione di mettere un campo da golf (gratuito!) dentro una rovina romana serve proprio a questo, a iperbolizzare la tendenza a “riavvicinare” le persone ai luoghi etichettati come “trascurati” trasformando quei luoghi in “altro”, in oggetti di turismo o di divertimento, spesso e volentieri orientati a generare transazioni commerciali, senza più cercare di rendere davvero un servizio pubblico e soprattutto restringendo a poche azioni prevedibili le modalità in cui le persone potrebbero vivere tali spazi.

Durante il gioco, con le persone, abbiamo parlato proprio di questo, e di come vorrebbero che fosse il Macellum. Usando un approccio “pubblicitario”, in cui vieni attratto da una cosa genericamente “bella” e “inusuale”, ho potuto invitare le persone più svariate ad avere una conversazione che invece mostrasse loro l’esatto contrario di quel che sembra e le mettesse in guardia dalle iniziative spettacolarizzanti di sfruttamento e distorsione del senso originario dei luoghi di cui molte città italiane e straniere sono già piene. Fare questi discorsi “economici” in un antico mercato, in maniera totalmente naturale, è stata un’occasione unica».

Come è stata realizzata Leisure? Come mai questo titolo, che leggiamo sul cappellino tuo e dei volontari?

«Leisure viene dal latino licet, ciò che è permesso, che è un po’ il contrario del mio concetto di divertimento, che è appunto un de-vertere dalla direzione che sarebbe indicata. Mi fa pensare però proprio a queste costrizioni che ci diamo anche nel divertirsi, e soprattutto al fatto che ciò che è permesso a te per divertirti magari non è permesso a me, una dimensione di privilegio che spesso si associa anche al mondo del golf, ma che in questo caso era aperto a tutt3 gratuitamente. Il cappellino serviva a identificare l3 mediatric3, grazie a cui si è davvero espresso il senso del lavoro durante il gioco.

Ci tengo moltissimo a dire che, insieme a loro, Leisure è stata possibile grazie al Signor Ferro dell’azienda Ferrododici che ha prestato gratuitamente tutti i materiali installativi, a Giacomo Fabris e Michele Gentili, amici golfisti di Move Golf Forward prodighi di consigli tecnici preziosissimi, Sara Cattaneo, producer, Meletios Meletou, Stella Laurenzi, ArtDays, Luigi Rossi, il direttore del Parco Archeologico Fabio Pagano, Marco Ardito e soprattutto le Associazioni Aporema (con il vulcanico prof. Antonio Manzoni) e Terra dei Miti, il cui lavoro organizzativo e diplomatico mi ha permesso di realizzare l’opera e, ancor meglio, di poter accedere al Macellum liberamente per tutta una settimana, sviluppando un intenso rapporto personale con il luogo, potendolo toccare e attraversare sia con l’acqua alta che senza. Un’esperienza che tutti dovrebbero poter avere in qualche misura».

Hai dei riferimenti o delle ispirazioni per la tua ricerca artistica? Se sì, quali?

«Tra gli artisti che mi guidano a livello ideale ci sono Chris Burden, Liz Magic Laser, Trevor Paglen, Adrienne Piper, i dadaisti, Kahil Joseph, Laszlo Moholy Nagy, ma anche scrittori come Philip K. Dick, e molti altri la cui vita è stata (o è) già da sola una cartina tornasole della rigidità e dell’assurdità di tanti limiti istituzionali, che si tratti di limiti imposti dall’alto o di limiti che ci auto-imponiamo come società.

Non ho seguito un percorso artistico istituzionale – sono arrivato alla pratica artistica “evadendo” da un sistema dopo l’altro, partendo da vite e lavori all’apparenza lontani che però mi hanno dato una chiave di lettura del mondo molto personale che credo possa tornare utile sia al mondo artistico che alle persone in generale. Per cui tutto quello che ho fatto finora è alimentato da una sensibilità critica istintiva. Quello che mi preme di più nelle azioni è nutrire e risvegliare la curiosità nelle persone, perché l’individuo curioso è imprevedibile e difficile da controllare, mette alla prova i limiti delle cose e li spinge un po’ più in là senza neppure provarci, ma semplicemente esistendo. È di persone così che vorrei fosse pieno il mondo».

Leisure, Niccolò Moronato, Macellum, Pozzuoli, 2022. Courtesy of the artist, Art Days napoli campania

Nel gioco del minigolf si incontrano degli ostacoli, fa parte del gioco, ma che significato gli hai dato tu e quali ostacoli vorresti che venissero percepiti attraverso il tuo lavoro?

«L’ostacolo aguzza l’ingegno. Mi piacerebbe in futuro lavorare su giochi frustranti, quasi esasperanti. In questo caso, gli ostacoli erano realizzati usando pietre di scarto provenienti dal perimetro della zona archeologica ed è stato bello usarli perché le persone hanno avuto un contatto diretto con la pietra che è alla base di tutto il sito».

Come è stato vincere un bando per “artisti che privilegino linguaggi visivi emergenti” e realizzare questa installazione al Macellum alias Tempio di Serapide? Perché questo minigolf è immaginifico?  

«È stato un precedente che onestamente non pensavo possibile fino all’ultimo, per tutto quel che puoi immaginare di sovrintendenze etc. Spero mi dia la possibilità di continuare a usare la simbologia e l'”inganno” ludico del golf in altri spazi per continuare il discorso che siamo riusciti a iniziare per bene con le persone domenica scorsa.

Sento di aver avuto finalmente modo di far vivere un’esperienza reale e ludica delle cose di cui spesso parlo ma su cui trovo raramente dialogo perché un po’ “nascoste” (economia dell’attenzione, ruolo sociale del divertimento e dell’estetica del divertimento, igienizzazione e sacralizzazione degli spazi, utilizzo di strutture tipiche della pubblicità per sovvertire quegli stessi sistemi di pensiero).

Alle persone è piaciuto molto riflettere su queste cose semplicemente chiacchierando e hanno tirato fuori spontaneamente aneddoti e fatti riguardanti la zona che le hanno colpite e di cui trovavano un senso alla luce del lavoro, partendo sempre dal fatto che si sono divertite molto (infatti spesso il discorso iniziava con qualcuno che mi diceva: “mi sono divertito un sacco” ed io: “bene!…è quello un po’ il problema…”)».

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