27 giugno 2023

In una Campania da scoprire, apre il nuovo Museo per Vettor Pisani

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Giuseppe Morra racconta l’ultimo progetto della sua Fondazione: un museo permanente per Vettor Pisani – e laboratori e residenze per artisti – negli spazi di Palazzo Morone, a Caggiano, nel cuore del Parco del Cilento

Apocalypse now 2011 © c. Infantino

Nella cittadina di Caggiano, al centro del Vallo di Diano-Parco del Cilento, un Museo permanente per Vettor Pisani, laboratori teatrali del Living Theatre, scuole estive e residenze di artisti. Un grande progetto culturale per il sud di Giuseppe Morra e della sua Fondazione. L’evento inaugurale, il 30 giugno, 1 e 2 luglio, dedicato a Vettor Pisani, è l’incrocio di tre mostre personali realizzate dall’artista per la Fondazione Morra in un arco temporale di sette anni: “Nostalgia volo di ritorno” (2005, Ischia), “Carpe Diem” (2011, Roma, Galleria Riposati), e “Apocalypse now” (2011, Napoli). In merito, ospitiamo una conversazione tra Giuseppe Morra e Giovanna dalla Chiesa.

Caggiano

Già il breve tratto che conduce all’accesso di Palazzo Morone è intimo e nascosto, sembra plasmato come una scultura dalle mani dell’uomo. Giuseppe Morra mi guida all’interno attraverso dei gradini su cui sono disposte alcune pelli dell’opera Agnus Dei di Vettor Pisani, che annunciano così già l’intenzione di uno sconfinamento dell’interno verso l’esterno.

Giuseppe Morra, ritratto © Fondazione Morra

Stavamo parlando delle motivazioni che ti hanno condotto a dar vita a questa nuova esperienza in un piccolo centro quale Caggiano, oggi di poche anime, ma dalla storia nobile e antica, situato sopra il Vallo di Diano, su cui si affaccia, beneficiando di un magnifico e verde paesaggio, lontano dal rumore e dalla frenesia che caratterizza le grandi città.

«Questo progetto si è sviluppato nel corso del tempo. Sono andato per anni alla ricerca di uno spazio da dedicare a Vettor Pisani, con l’intenzione di uscire dai grandi centri. Non perché essi non rappresentino più niente per me – vedi Napoli a cui sono profondamente legato – ma perché c’è oggi un abuso del turismo di massa che allontana dalla verità dei luoghi nella loro necessità di gioire della propria esistenza, attraverso la natura e i sentimenti di chi li frequenta. Questo luogo esprime già, come io stia immaginando il mio futuro e anche il senso e le finalità verso cui, secondo me, l’uomo dovrebbe tendere. Vi si aggiunge tutto il lavoro che ho svolto a fianco degli artisti, e anche l’evoluzione personale, perché ho sempre avvertito il fascino della grandezza e dell’immenso. Nietzsche è il filosofo che mi ha dato la possibilità di concepire un altro concetto di spazio. Se l’uomo, anche soltanto in parte, riuscisse a intenderlo, avrebbe la capacità di non essere più soltanto nel mondo, ma nell’universo.

È qui che il lavoro di Vettor ha assunto per me un grande significato e un senso che sicuramente proviene anche dagli stretti rapporti di amicizia, di affetto, di stima e, nell’ultimo periodo, persino di una stretta convivenza. Non c’era neanche la necessità di parlare, spesso. Un artista trasmette anche col silenzio il suo pensiero, attraverso l’atteggiamento, il muoversi, il camminare e il concepire le cose in maniera naturale, diretta, senza mistificazioni o altre interpretazioni fuorvianti. Il pensiero dell’artista va nella direzione di realtà come il tempo, lo spazio, la filosofia e l’esistere e attraverso l’arte l’uomo ha la capacità di vivere e possedere queste realtà, non in senso materiale, tuttavia, ma in quello immateriale dello spirito e della bellezza.

In questo luogo, che è tra quelli che più mi hanno affascinato in tutta la mia esistenza, ho visto comparire questa possibilità.  Nella Vigna di San Martino, a Napoli, e anche in altre mie esperienze, la natura ha un carattere preponderante e anche qui vorrei portare avanti vari obiettivi. Oltre al cospicuo nucleo di opere di Vettor Pisani, che resteranno in forma permanente in questa sede, gli archivi del Living Theatre, donati da Judith Malina, potranno incrementare ulteriori prospettive. Grazie ai rapporti di condivisione con Garrick Beck, il figlio di Julian e Judith, dal 2024, infatti, Gary Brackett (Living Theatre Europe) organizzerà corsi e laboratori teatrali durante i mesi estivi, che animeranno le esperienze di tanti giovani. E proprio su di loro contiamo per portare avanti il progetto nella sua integralità, invitando docenti da tutto il mondo a tenere le loro lezioni, nonché laboratori, corsi e seminari di cinema e di musica.

Sono molto grato al Comune di Caggiano per il suo sostegno a che ciò possa realizzarsi. Le opportunità sono tante: oltre a Palazzo Morone, ci sono Palazzo Bonito Oliva, Palazzo Abbamonte, il Castello normanno, ci troviamo su una via di transito obbligato verso il Sud, il vallo di Diano nel Parco del Cilento che fa parte del Patrimonio dell’UNESCO, al crocevia tra Basilicata, Lucania e Calabria, dove Lucani, Romani, Monaci Basiliani, Longobardi e Normanni hanno lasciato le tracce di antiche culture e dove, anche la ricchezza del suolo, ha creato magnifiche opportunità. Siamo a mezz’ora da Padula, a un’ora da Paestum, a 20 minuti da Buccino e a 10 minuti da Pertosa. Abbiamo, inoltre, i lasciti di Nitsch, Shimamoto, Luca Maria Patella, e di tanti altri artisti che hanno compreso come la Fondazione Morra avrebbe potuto diventare un moltiplicatore ideale per tramandare le loro esperienze».

Napoli Borderline 2005, Vettor Pisani, © Fondazione Morra

Ciò che mi pare significativo nell’ubicazione di Palazzo Morone, in relazione a Vettor Pisani, è che dalle sue finestre, sospese su questa magnifica vallata verde e mossa, si percepisca la continuità di natura e opera umana, proprio come nella Casa di Serre di Rapolano in provincia di Siena, che dal 1995 ha rappresentato il Centro della sua poetica, il suo Opus Magnum, ossia in senso misterico, la Grande Opera.

Un archetipo di cui, nella dislocazione di questi ambienti segreti, nascosti, da scoprire un poco per volta, si avverte la lezione,  quando Vettor intraprese la straordinaria avventura di Virginia Art Theatrum (Museo della Catastrofe) a Serre di Rapolano, sospeso su una cava di travertino, dove grazie al sostegno di Mario e Dora Pieroni, di Giuliana Setari, di Serafino Maiorano e Giovanni Pugliese, e di molti altri amici e collaboratori esterni o locali, si svolgevano importanti esperienze teatrali e musicali, letture di poesia, residenze di artisti, installazioni nel paesaggio in un perenne fervore performativo, che trasformava continuamente lo scenario dell’Opera, aperta sia all’intervento della natura, che a quello di una comunità che vi operava con finalità coerenti.

«Per me è stata proprio una magnifica coincidenza, arrivato qui mi sono sentito quasi guidato da Vettor verso queste soluzioni».

Gli artisti, come Vettor Pisani, vanno avvicinati con un atteggiamento di ascolto, e insieme di “raccoglimento”, una condizione che nei grandi musei, oggi, non si riesce più ad ottenere. Vettor era contrario, sia alle esposizioni antologiche che ai grandi spazi. Da visionario qual era, i grandi spazi, infatti, era capace di raccoglierli e di suggerirli, in forme mentali – da “terzo occhio” – in un insieme di lontananze, destinate a essere colte più attraverso l’intuizione e l’intelletto che attraverso l’apparato fisico dell’occhio.

In una delle ultime conversazioni con lui, tenne a spiegarmi che una delle cose più significative che riteneva di aver fatto, era quella di aver rimpicciolito la visione, nel momento in cui la tendenza generale – Land Art e Arte Povera – consisteva nell’ invadere con materie allo stato grezzo spazi sempre più enormi. Un’attitudine in cui avvertiva il pericolo di una dispersione e dissoluzione della coscienza di chi guarda. Anche nei disegni, il suo tema costante – i campi magnetici – si realizzava creando fulcri di energia con tocchi di colore e addensamenti di segni che anche su una superficie di piccole dimensioni erano in grado di suscitare lo spazio e catalizzare l’attenzione di chi guarda.

Questo mi pare avvenga anche negli ambienti di Palazzo Morone che nelle anfrattuosità nascoste, nelle torsioni che frantumano l’incontro con le opere, mettendole a fuoco anche meglio attraverso la sorpresa, moltiplica i punti di vista, rappresentando bene la sua visione.

«Già, era molto difficile, infatti, fare in modo che Vettor trovasse la soluzione ideale da cui “incontrare” e far “vedere” l’opera. Non appena il lavoro realizzato, rischiava di risvegliare nell’osservatore un senso di compiacimento, subito si affrettava a modificarlo con grande consapevolezza di quello che stava facendo e di dove voleva arrivare per farlo diventare un’altra cosa. Le opere infatti diventano belle solo se le interpreta la capacità conoscitiva di chi le legge.

E al novantanove per cento, l’uomo si accontenta degli occhi, né ha la capacità di interpretare il vero senso della reciprocità. E allora non usciamo dalla difficoltà, ti accorgi che anche il tuo pensare, spesso, può non essere condiviso dalla gente».

Azzurro pavone, 2005 © Fondazione Morra

Nella trasformazione delle opere che tu citavi, come nella sua volontà di intervenire, perché nulla fosse dato per scontato, interviene anche un altro presupposto, quello tutto italiano, decisamente antitetico a quello americano, senza per questo voler stabilire primati, ma attenendosi a dati puramente oggettivi.

Vettor lavorava sull’archetipo, qualcosa di molto diverso dal prototipo, per questo non esisteva per lui, come nei migliori dei nostri artisti, un’arte seriale. Ogni opera è diversa dall’altra, pur ispirandosi o provenendo dalla stessa matrice, perché in ogni attimo il nostro immaginario, che è mobile, si trasforma. Ci sono dei ritorni, come nei riflessi di uno specchio, ma anche questi provengono direttamente da un’area archetipica che suggerisce continue analogie, ma mai identità. L’isola d’Ischia o quella di Capri sono state riproposte da Vettor mille volte, ma ogni volta sotto un’angolatura diversa. Non si tratta di moduli freddi che possano venir replicati, ma al contrario di qualcosa che nell’uso e nella visione di chi si trova in loro presenza si può trasformare.

Sicché il luogo che tu hai trovato e dopo averlo trovato, anche scelto e ri-inventato, facendogli assumere quei connotati che sono inerenti all’universo di Vettor e non soltanto al luogo in sé, evoca come accennavo prima, sempre per via archetipica, la Casa filosofica di Serre di Rapolano, che sono lieta di poterti già dire, sarà riaperta in autunno, dopo la mostra che anche la Fondazione Pascali a Polignano a Mare dedicherà a Vettor.

In questo modo, con Palazzo Morone e con l’Archivio per la Certificazione dell’opera autografa di Vettor Pisani che stiamo per riavviare, ma insieme anche ad altre realtà che conservino la memoria di Vettor, come un tempo avveniva fra centri spirituali, con diverse identità e autonomie, si potrà finalmente creare una magnifica rete per la circolazione delle idee, dove l’apertura verso le esperienze della poesia, della musica, del teatro, della filosofia, della psicologia, della scienza e del mondo occulto saranno, come sognava Vettor, certamente di casa.

«Sono convinto che a parte noi che gli siamo stati tanto vicini e che l’abbiamo amato, frequentato e conosciuto profondamente, il mondo potrà accorgersi della sua unicità, nonostante la sua complessità, attraverso i lavori che ha fatto. Vettor è stato uno dei pochi artisti che non si è dato alla “moda del fare arte”, o alla condizione di fare denaro attraverso di essa. E lo rivela una delle sue ultime frasi, vergata a Roma sui muri della Galleria Limen di Massimo Riposati: “Sono un artista povero e famoso”. Era cosciente dell’una cosa e dell’altra, non sentiva la necessità di arricchirsi, gli interessava creare, mantenendo la sua prerogativa di artista al più alto grado e fuori da qualsiasi condizionamento. Credo che Vettor Pisani sia stato uno degli artisti più grandi, che abbiamo avuto l’opportunità di vivere e di conoscere».

Piccolo scorrevole Vergine Sospesa una bambola oscillante di Bellmer di Bataille, Vettor Pisani, © Fondazione Morra

La Pietra Filosofale alla cui “trasparenza” dovremmo tutti aspirare non è, qualcosa di materiale, ma il frutto di un processo di spoliazione da tutti gli orpelli, “umani troppo umani”, che offuscano con la loro presenza il raggiungimento della conoscenza di sé e dell’altro da sé, che coincide con il raggiungimento della Sapienza, della Divinità (o Sommo Bene), ovvero della Trasparenza della materia stessa, che non fa più velo alla nostra capacità di intendere l’intreccio sostanziale fra macrocosmo e microcosmo, fra noi e quell’universo, che tanto ci somiglia nella sua molteplicità.

A Serre, oltre alla cava, come qui la movimentata vallata sottostante, tutt’intorno c’è la natura, dunque oltre alla trasformazione data dal lavoro dell’uomo, è presente anche quella che opera la natura. Ed è ciò che avviene anche nei disegni di Vettor che hanno le stesse caratteristiche del paesaggio che circonda l’Androgino della Gioconda: un orizzonte metamorfico, sempre in trasformazione.

Per questo il disegno del paese di Caggiano che da lontano definisce un orizzonte sospeso sulla costa della montagna mi è sembrato straordinario.

«Sì, è vero, io spero che sarà dato a Vettor quello che lui voleva per il suo lavoro, e che era sempre subordinato alla sua concezione estetica, tesa a raggiungere un grande significato. Non a caso anche i suoi disegni su Wittgenstein, sulla struttura del luogo, non erano fine a sé stessi, o il puro raggiungimento di una forma di bellezza, ma opere aperte a diverse possibilità e necessità occorrenti. Ed è qui che dobbiamo abituarci a pensare che l’uomo può crescere nella sua necessità di addivenire a un significato ultimo.

Come umanità, siamo ormai abbastanza vecchi per permetterci il lusso di aspettare ancora a capire cosa fare oggi. La realtà fuori dal mondo ormai è vicinissima. All’uomo toccherà decidere a proposito di due differenti situazioni: andar via dal mondo o vivere nel mondo. Non si può salvare l’uomo senza salvare la natura, non può esistere che una reciprocità, dove l’una cosa salvi l’altra e viceversa».

Vettor Pisani, Apocalypse now, Palazzo Ruffo di Bagnara, Napoli, 2011 foto P. Di Domenico © Fondazione Morra

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