24 febbraio 2022

Iris Nesher, Materia/Matter – Nomas Foundation

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In una contaminazione tra medium, Iris Nesher guarda dentro il “gran pozzo oscuro dell’interiorità” di cui scrisse Natalia Ginzburg e fotografa scrittrici, poetesse, attrici, musiciste, coreografe

Broken Vessels, 2021, Porcellana di Limoges

“L’arte è arte quando riesce a farsi carico della vita” ha detto Raffaella Frascarelli, curatrice di Materia/Matter, la prima mostra di Iris Nesher in Italia. Realizzata in collaborazione con Nomas Foundation, la rassegna dell’artista, che vive e lavora a Tel Aviv, è visibile a Roma fino al 30 aprile 2022.
Dopo esposizioni a New York, Israele, Mosca, Parigi, Polonia e Messico, Iris Nesher fa ingresso nella Città eterna con un messaggio eterno: la donna è madre e materia, dalla comune radice méh2tēr; donna è colei che genera e che sa rigenerarsi per virtù partogenetica, come le antiche dee dei riti ancestrali. In una contaminazione tra medium, I’artista guarda dentro il “gran pozzo oscuro dell’interiorità” di cui scrisse Natalia Ginzburg e fotografa scrittrici, poetesse, attrici, musiciste, coreografe. Misteriose muse dell’arte e guardiane dei delicati equilibri della vita quotidiana.

Iris Nesher accanto all’opera Broken Vessels, 2021 Porcellana di Limoges

La sensibilità cinematografica degli scatti restituisce ritratti femminei ieratici, la cui parola scritta assume forza nel silenzio. Le testimonianze di ciascuna donna, in didascalia, narrano dell’infero e supero compito di essere o non essere madre. Sono eroine, sia che abbraccino i propri figli, sia che stringano in mano un rosario, assorte in preghiera.
L’ambasciatore di Israele in Italia Dror Eydar, presente all’inaugurazione, ha confessato di provare: “un senso di mysterium tremendum rispetto al rapporto tra materno e materia. Una materia che è in frantumi, con cuciture che non nascondono la connessione tra le ferite. Nasciamo attraverso una fenditura, renderemo la nostra anima con una spaccatura; nel mentre cerchiamo di tessere qualcosa”. Come testimonia il lavoro femminile collettivo, in porcellana e filo di lino, ci sono squarci che non si ricuciono, si entra in uno stadio nuovo: “una veste strappata può ancora coprirci e una brocca, con le sue crepe, certamente può contenere le nostre lacrime e l’acqua per dissetarci” ha sottolineato l’ambasciatore, mettendo in luce il legame tra la parola ebraica ‘crisi’, il nostro ‘travaglio’, e la nascita. L’atto primigenio della donna è un atto d’amore che dialoga però con l’insondabile. Quando c’è un parto non nasce soltanto un bambino, anche una madre.

Cena di famiglia, 2021 Porcellana di Limoges, legno, ferro, filo di lino

Evocando le opere di Maria Lai, il lavoro di Iris Nesher con altre donne, indica la volontà di disfarsi del dolore cucendo un ricordo. In Cena di famiglia (2021), tavola con piatti in frantumi, i rammendi grondano sanguigni fino al pavimento e sanno di sofferenze, di lacerazione, ma anche di reciprocità, di legame. Broken Vessels (2021), invece, spoglio di lacci vermigli, è un complesso di ceramiche lattee, candide, burrose, dunque materne. Forme cave, sacche uterine, vasi rotti, gusci d’uovo, forse anche mammelle.
Ogni donna ha un suo modo recondito di dialogare anche con la morte. Cardine di “Materia/Matter” è il video Out of Time che parla della scomparsa di Ari, figlio di Iris Nesher. Una serie di istantanee lo ritraggono mentre dorme o finge di dormire in musei e luoghi sacri. Le foto appaiono e scompaiono al ritmo del battito cardiaco. I temi di realtà/finzione, presenza/assenza, dialogo inerme con le opere d’arte, sono introdotti dall’immagine docile di Ari, angelico fanciullo, che ci raggiunge da un’altrove.
Nelle ultime due foto compare l’artista dopo il lutto. Sullo sfondo i versi dell’Amleto di Shakespeare “Time is out of joint”, impressi sulla scalinata della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
Ari rinasce nell’istante in cui Iris apre gli occhi, valicando il dolore della perdita. I due tornano a vivere insieme attraverso l’arte. Gli occhi aperti, malgrado tutto, dicono dell’incredibile straziante forza di chi resta: un’artista, una donna, una madre.

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