12 luglio 2023

La Venere degli Stracci brucia, ma non è detta l’ultima: considerazioni sull’arte pubblica

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Della monumentale Venere degli Stracci di Pistoletto, incendiata stamattina a Napoli, è rimasto solo uno scheletro. Che sia almeno l’occasione per riflettere sulle dinamiche dell’arte negli spazi pubblici

Venere pistoletto arte pubblica

Oggi, 12 luglio 2023, la Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto, riproposta in chiave monumentale a Napoli in Piazza Municipio, non esiste più. La città sta vivendo un pervasivo flusso di turisti mentre il caldo torrido di luglio rende difficile spostarsi, senza essere colti da un malore. La bianca Venere era lì, sulla distesa di pietra che caratterizza la piazza che affaccia sul mare. I raggi del sole la facevano brillare, la scaldavano; ma lei, abituata alla fresca ombra del museo, non se ne accorgeva, forse.

Doloso o meno, l’incendio della Venere, a soli 14 caldi giorni dalla sua inaugurazione, ci racconta tanto di questa operazione e delle dinamiche che inevitabilmente sono nei processi di arte pubblica, o forse dovremmo dire di arte nei luoghi pubblici. Social network, testate nazionali, locali e di settore gridano allo scandalo. Si parla di cuori spezzati e di teppismo, di inciviltà e classica dinamica napoletana.

Venere pistoletto arte pubblica

Di classico e tipico tutta l’operazione Venere che brucia al Municipio ha molto.

I funzionari, i politici e gli amministratori, i curatori e gli intellettuali, scandalizzati da questo evento, sono invitati ad andare a rileggere le pagine della curatrice coreana Miwon Kwon, che 20 anni fa nel suo libro Un Luogo dopo l’altro. Arte site-specific e identità localizzativa, descrive le dinamiche che hanno portato, negli Stati Uniti d’America, alla ridefinizione aperta di arte pubblica e site-specificity, spalancando porte inchiudibili sulle definizioni di identità, comunità e luogo in relazione alle arti contemporanee.

Kwon individua tre paradigmi dell’arte pubblica: arte nei luoghi pubblici, arte come spazi pubblici e arte nell’interesse pubblico.  Il primo modus operandi viene descritto dall’autrice come il posizionamento di sculture monumentali in luoghi aperti, la cui unica giustificazione a essere considerate pubbliche è nella dimensione aumentata e nel posizionamento all’esterno, in luoghi accessibili da tutti. Decorazioni per luoghi la cui identità era stata annientata dall’architettura: ostentazioni di potere.

Spesso incomprese o ignorate dai loro primari fruitori, tali sculture moderniste segnano la prima fase dalle commissioni d’arte pubblica statunitense negli anni ‘70. Il carattere interventista di queste operazioni le rende suscettibili di un’alta soglia di fallibilità. Kwon racconta di Tilted Arc dell’artista Richard Serra e della successiva distruzione dell’opera da parte della stessa amministrazione che l’aveva commissionata, anticipata da un’accesa contestazione e da un lungo processo; racconta anche di un’artista, John Ahearn, che negli stessi anni viene invitato a rappresentare la comunità di cui faceva parte, quella del Bronx, ma il cui lavoro non riesce a essere apprezzato dalla cittadinanza. Contestato dai suoi stessi vicini di casa, Ahearn dopo pochi giorni sceglie autonomamente di rimuovere le tre sculture in bronzo, monumenti alla normalità.

Tali pratiche impositive godono ancora oggi, in Italia, di applicazione. Numerosi sono i proclami delle amministrazioni pubbliche, in città come Napoli: riproduzioni monumentali di opere ormai storicizzate, tacciate di legame con il territorio, posizionate in piazze la cui funzione sociale è già stata annientata da distese di cemento, in cui la permanenza dei cittadini viene resa ostica dall’assenza d’ombra. Interventi la cui funzione si riduce alla messa in mostra del potere da parte di amministrazioni ed artisti già abbondantemente affermati. Operazioni che si scontrano con le esigenze di una cittadinanza inascoltata nelle sue necessità, generando malcontento e sconforto.

L’intervento non mediato e immediato, è capace di produrre incomprensione, smarrimento e violenza.

La Venere, realizzata per la prima volta nel 1967, viene allestita in forma monumentale (7 metri d’altezza per 7,5 metri alla base) a Piazza Municipio: uno spazio trasformato, con gli ultimi lavori di ammodernamento, in un luogo respingente in assenza di aiuole e zone verdi.

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Possiamo e dobbiamo raccontare di un folto gruppo di cittadini che rivede, nel grosso cumulo di abiti, le immagini traumatizzanti dell’emergenza rifiuti, che ha visto Napoli raggiungere, in tempi recenti, le cronache di mezzo mondo per la mala gestione della spazzatura in città, paralizzando lo spazio vitale dei cittadini: un fenomeno che dilania ancora la periferia partenopea.

Si scriveva sui giornali, la settimana scorsa, di istituire una speciale vigilanza, per proteggere la scultura da atti vandalici, mentre non si faceva, in nessun caso, menzione dell’avversione scatenatasi sui social network. Una tempesta che contesta l’evidente parallelo con la monnezza che negli stadi viene utilizzata dalle tifoserie per prendere in giro i napoletani.

Ora la Venere brucia ed è bruciata tutta.

Trarre delle conclusioni su questa storia, prima che venga accertata l’origine del rogo, potrebbe sembrare affrettato. Ma vale la pena soffermarsi sulla contestazione silenziosa che è avvenuta in queste settimane in una città porosa che tende a stratificare ed assorbire, ma in questo caso ha violentemente rigettato. Conclusioni che non possono e non devono essere la ricostruzione di questo simbolo, o meglio diremmo feticcio, così come annunciata dal sindaco Gaetano Manfredi. Un illogico atto di sordità.

Con un giovane gruppo di colleghi che lavorano sui temi dello spazio urbano in Campania, ragionavamo in questi giorni sulla modalità giusta di riportare il nostro punto di vista. Non abbiamo avuto il tempo materiale e metaforico per riuscire a farlo prima, presi dalle attività da portare avanti nelle difficoltà quotidiane. Ma ora che lo sguardo è puntato qui, ci teniamo a raccontare altro rispetto alla banale e retorica storia della nostra inciviltà.

Si portano avanti attività virtuose di rigenerazione attraverso le arti contemporanee, trasformando progetti nati dal basso in presidi di cura e confronto. Ci si riunisce e si lavora insieme, nell’ascolto reciproco, per rispondere alle esigenze dei pubblici a cui ci si riferisce, degli artisti con cui si lavora, tentando di integrare le necessità degli uni e degli altri per creare armonie inedite, per una città accogliente, per fare un’arte nell’interesse pubblico. E crediamo che per fare e parlare di una Napoli Contemporanea tutto ciò non possa e non vada ignorato.

Riportiamo qui un estratto del report Culture and democracy: the evidence, commissionato dalla Commissione Europea nel 2023.

«Le attività culturali e artistiche possono consentire una riflessione creativa sui problemi e alimentare un’immaginazione politica più ampia. Gli artisti possono aiutare la società a esaminare se stessa presentando ed esplorando prospettive sociali, problemi e verità diverse. Gli artisti e le attività creative possono contribuire a sfidare la saggezza convenzionale, a introdurre modi diversi di pensare e a contestare narrazioni privilegiate, autorità o potere attraverso diversi mezzi creativi. Possono evocare la riflessione e consentire ai cittadini di confrontarsi con questioni e preoccupazioni che altrimenti potrebbero rimanere nascoste (…)».

Questo testo è il frutto delle riflessioni portate avanti con i colleghi di Collettivo Zero, Quartiere Latino condominio-museo d’arte contemporanea a km 0 e Opificio Puca, alcuni tra i progetti che si occupano di arte nell’interesse pubblico in Campania. 

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