19 dicembre 2019

Lo Smithsonian ha scoperto quattro opere nascoste di Yayoi Kusama

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Durante una ricerca negli archivi dello Smithsonian Museum di Washington, sono saltate fuori quattro opere di Yayoi Kusama dimenticate da tutti

Lo Smithsonian American Art Museum di Washington, DC non ha opere di Yayoi Kusama in collezione. O, almeno, così credeva. E invece ne ha ben quattro, solo che ancora non lo sapeva o, probabilmente, l’aveva dimenticato. Incredibile ma vero, considerando soprattutto quanto Yayoi Kusama sia diventata l’artista più amata degli Stati Uniti, dopo i successi clamorosi delle sue mostre a spasso per New York e il grande pallone gonfiabile per la Macy Parade della Festa del Ringraziamento.

Le quattro opere di Yayoi Kusama? Scoperte per caso

Si tratta di quattro dipinti di piccole dimensioni, dimenticate negli archivi dello Smithsonian ma che, senza dubbio, attireranno migliaia di visitatori, desiderosi di vedere – e magari di farsi fotografare – in compagnia delle opere di Yayoi Kusama. Per dire, l’Hirshhorn Museum, che fa sempre parte della grande istituzione dello Smithsonian, ha visto crescere il numero degli abbonati del 6.5%, dopo aver organizzato una mostra dedicata all’artista giapponese più instagrammata al mondo.

L’archivista Anna Rimel si è imbattuta nei quattro pezzi di Yayoi Kusama, un acquarello, un inchiostro, un pastello e una tempera, mentre effettuava alcune ricerche tra gli archivi del Joseph Cornell Study Centre dello Smithsonian. Le opere erano nascoste tra lettere ed efemera. «Ho ricevuto una e-mail che diceva “Devi venire a vedere questa cosa, subito”», ha spiegato Melissa Ho, curatore della sezione d’arte del XX secolo del museo di Washington.

Una storia romantica e dimenticata

La storia risale al 22 agosto 1964, quando Joseph Cornell, artista vicino alla corrente del Surrealismo e tra i pionieri dell’assemblage e del found footage, aiutò una allora giovane Kusama, acquistando le quattro opere appena scoperte, come riportato sulla ricevuta che le accompagnava. Le pagò 200 dollari, una cifra che oggi corrisponderebbe a circa 1660 dollari. Oggi le opere di Kusama sono valutate centinaia di migliaia di dollari.

Le opere risalgono però ad ancora prima, tra il 1953 e il 1954, quando l’artista aveva appena 25 anni. Si tratta di dipinti in cui dominano le tonalità umbratili, con filamenti e macchie di pigmento che ricordano paesaggi cosmici oppure segni ancestrali. Un po’ più cupo rispetto ai coloratissimi dot che siamo abituati a vedere negli ultimi anni.

Quando Kusama arrivò a New York per la prima volta, nel 1958, non navigava certo in acque facili. Non aveva molti agganci, solo una grande ambizione e un portfolio di circa 2mila opere. Conosceva però Georgia O’Keeffe e Kenneth Callahan e, grazie a loro, riuscì a organizzare la sua prima mostra a Seattle. La strada era segnata, negli anni ’60 e ’70 Kusama diventò una delle figure più affascinanti nel variegato panorama artistico di New York, grazie ai suoi happening e alle sue performance, durante le quali dipingeva i corpi con i pois che poi sarebbero diventati leggendari.

Quattro anni dopo il suo arrivo conobbe Cornell, che era già noto per le sue “scatole”, le shadow boxes. Cornell aveva 26 anni più di Kusama ma il loro rapporto fu intenso – anche se non sentimentale – e i due trascorsero insieme molto tempo, in una casa del Queens, fino alla morte di Cornell, avvenuta nel 1972.

Gli archivi di Cornell, che era solito collezionare ogni genere di oggetti per realizzare le sue opere, furono acquistati per volere di Walter Hopps, curatore allo Smithsonian American Art Museum negli anni ’70. Hopps ebbe modo di visitare il lascito di Cornell e spinse l’allora direttore del museo a farsi carico dell’acquisto. Ma delle opere di Kusama – e di questa storia – si perse subito traccia. Fino a oggi.

Yayoi Kusama, Forlorn Spot , 1953. Courtesy Smithsonian American Art Museum.
Yayoi Kusama, Fire, 1954. Courtesy Smithsonian American Art Museum
Yayoi Kusama, Deep Grief, 1954. Courtesy Smithsonian American Art Museum
Yayoi Kusama, Autumn, 1953. Courtesy Smithsonian American Art Museum

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