15 settembre 2021

L’occasione performativa: intervista ai Polisonum

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In occasione di "Mouvement", un eseguire performativo che attraversa e sfida il tempo, alla Kunst Halle di Sankt Gallen, abbiamo intervistato Filippo Lilli e Donato Loforese, alias Polisonum

Polisonum, A cinque voci (instalaltion view), a cura di Francesca Ceccherini, Una Boccata D'Arte, a cura di Fondazione ELpis, Galleria Continua e con la partecipazione di Threes Productions

Alla Kunst Halle Sankt Gallen, Polisonum presentano “Mouvement”, la performance curata da Francesca Ceccherini ed Eleonora Stassi per il terzo appuntamento live di Oto Sound Museum.
In un momento come il nostro, e di fronte a un progetto come Oto Sound Museum, è – in maniera del tutto evidente, sempre più intima e articolata la relazione tra la musica, ed estesamente il suono, e l’arte, in ogni suo medium.
Mouvement è un eseguire performativo che attraversa e sfida il tempo: Filippo Lilli e Donato Loforese hanno rielaborato il Minuetto k94 scritto ed eseguito da W. A. Mozart nel 1770 a Bologna durante il suo primo viaggio in Italia, caratterizzandolo con un processo di time-stretching, ovvero una dilatazione di 248 anni, il tempo che ci separa dal giorno della prima esecuzione al tempo presente. Si sono, dunque, affidati, al suo (dell’eseguire performativo) tratto essenziale: la capacità di condurre l’azione nel margine più o meno stretto, ma densamente ricco di possibilità, che si apre tra il preordinato, ovvero la partitura, e il contingente, ovvero l’occasione concreta della sua esecuzione.
L’occasione, spiegava Hans George Gadamer, vuol dire che “il significato di qualcosa è determinato nel suo contenuto dall’occasione a cui deve servire, in modo che in tale contenuto c’è di più di quanto vi sarebbe indipendentemente da tale occasione (…) Rimane decisivo il fatto che l’occasionalità così definita è contenuta nella stessa intenzione dell’opera e non le è solo imposta dall’interprete. (…) È l’opera stessa che, nell’evento dell’esecuzione, accade. La sua essenza stessa è di essere occasionale in modo che solo l’occasione dell’esecuzione la fa parlare e fa venire in luce ciò che in essa è contenuto”.

Polisonum, Mouvement (dettaglio), a cura di Francesca Ceccherini ed Eleonora Stassi

Filippo, Donato, cosa è per voi l’occasione?
Il suono nasce, attraversa un tempo e si estingue per non ritornare mai più udibile. Altri suoni, altri fenomeni di vibrazione potranno giungerci, la eco dello stesso suono addirittura, ma non il suono originario. Il suono è quindi occasionale. Accade. Il suono e l’occasione hanno dunque in comune questo paradigma, che tiene conto dell’unicità dell’evento e di conseguenza, immancabilmente, del tempo. Essere presenti, disposti e attenti nell’istante stesso in cui si presenta o ci cade d’innanzi l’occasione è un allenamento importante della nostra pratica artistica. Un’attenzione che dovrà riversarsi in ulteriori ambiti della vita artistica e non. E ancora spingendosi nell’ambito dell’ideazione, della realizzazione e dell’allestimento di un’ opera, è inevitabile pensare all’occasione. Per quale occasione si immagina e crea qualcosa? Questa domanda risponde e sostiene la domanda molto più fondante del perché si crea qualcosa. Infine il suono esiste se esistono le circostanze che lo rendono possibile, se esiste in quel momento qualcosa disposto ad oscillare al suo stesso moto.

Polisonum, Mouvement (Notazione), a cura di Francesca Ceccherini ed Eleonora Stassi

Partitura, eseguire, esecuzione sono termini trasposti dal lessico musicale al lessico artistico, soprattutto in ambito di performance. Come ci raccontate il rapporto visivo-sonoro di Mouvement in particolare e dalla vostra pratica in generale?
Mouvement nasce come una composizione invisibile, eredità di un evento lontano nel tempo, accaduto circa 248 anni fa. Ripercorrendo idealmente la traccia lasciata da questo evento, l’esecuzione di W.A. Mozart del Minuetto K94, nella Sala della Musica del Palazzo Pallavicini di Bologna, riemergono i suoni elementari del minuetto che ri-incontrandosi generano Mouvement. Questi suoni rielaborati al fine di estenderne la durata si sommano e si fondono gli uni negli altri generando un flusso sonoro permeato di una memoria che chiede al nostro udito di ascoltare lontano nel tempo. In Mouvement e nella nostra pratica in generale il segno grafico/visivo diventa determinante per comunicare e allo stesso tempo evocare nell’interprete o nel fruitore una determinata configurazione di suoni. Un micro universo di dati sonori tradotti su carta, che restituiscono la partitura utopica delle note dilatate, segni disseminati che sembrano richiamare una poesia visuale. La musica scritta assume quindi una propria autonomia in forma grafica che può influenzare quella della percezione uditiva.

Con quali strumenti, comuni e caratterizzanti di ognuna, arte e musica sanno attraversare e sfidare il nostro tempo?
Dopo la “quarta dimensione” di Lucio Fontana l’arte giunge definitivamente ad interfacciarsi con il tempo, da allora nelle arti plastiche e figurative gli elementi spaziali e i loro spostamenti diventano indicativi dello scorrere del tempo e rimandano ad esperienze temporali che non hanno più ne inizio ne fine. Oggi più che mai siamo inevitabilmente condizionati ed interessati ad interpretare questo rapido scorrere del tempo che porta con se il susseguirsi di una sequenza di movimenti e trasformazioni, su corpi, oggetti e paesaggi. Nella nostra pratica la cognizione artistica e musicale consapevole avviene quando viene sollecitata la memoria. L’azione del ricordare è strettamente legata alla coscienza che colleziona le informazioni che apprendiamo nel tempo e le tiene in relazione in modo che tutto il percepito entri a far parte di un unico insieme cognitivo. La capacità del linguaggio artistico, come di quello musicale, di attraversare il tempo risiede quindi nell’incontro simbiotico fra il flusso temporale ed il flusso cognitivo del fruitore. Igor Strawinskji sosteneva che l’arte musicale sia l’unica forma espressiva a richiedere perentoriamente la “vigilanza della memoria.”

Polisonum, A cinque voci (performance), a cura di Francesca Ceccherini, Una Boccata D’Arte, a cura di Fondazione Elpis, Galleria Continua e con la partecipazione di Threes Productions

Un’altra vostra opera, A cinque voci, è dedicata al borgo di Gesualdo in occasione del progetto Una Boccata d’Arte. Il tempo di A cinque voci è un tempo comune, il tempo di Mouvement è un tempo collettivo. Vogliamo provare a raccontare entrambi questi lavori come se fossero il vertice di un prisma, del tutto immaginario, costituito da tre assi – arte-musica, idea-azione, individualità-collaborazione – che formano una matrice di tre relazioni fondamentali?
A cinque voci è una composizione per coro, che nasce dall’analisi armonica dell’opera madrigalistica del compositore italiano del ‘600 Carlo Gesualdo Da Venosa, nella quale la relazione con la dimensione temporale assume grande importanza. Da questa relazione nascono la possibilità narrativa e la peculiarità performativa dell’opera. Ad ognuno dei cinque esecutori chiediamo di tenere ciascuna nota emessa fino al completo esaurimento del fiato. Il risultato è una esecuzione che oscilla continuamente nel flusso temporale, poiché tiene conto dalla resistenza del singolo corpo in quel preciso momento. Questa tecnica, necessaria ai fini espressivi e interpretativi della lirica, sintetizzata nell’unico verso Ahi disperata vita, influenza il tempo comune dell’azione performativa. L’esecutore singolo non può dunque servirsi del resto del coro per trovare un orientamento armonico poiché le durate delle emissioni sonore sono sempre variabili e dipendenti da fattori fisiologici. Il risultato è una continua e inevitabile sovrapposizione di suoni, tra i più aspri tra quelli presenti nelle armonie gesualdiane, in cui ogni dissonanza è parte fondante di quel canto.
In Mouvement il tempo ha una qualità diversa ed è definibile come collettivo perché è nella somma del tempo individuale di ciascuno degli esecutori che si definisce una dimensione temporale comune dell’ascolto. Scompare il tempo esterno per lasciare spazio al tempo del singolo, sempre interno e variabile. L’utopica dilatazione dei suoni nel processo compositivo apre alla dimensione della memoria che ci chiede di ascoltare la eco diafana del suono originario. In queste due opere la musica e, più estesamente il suono, si fa strumento narrativo, evocativo, poetico. L’occasione performativa gli conferisce vita, genesi e vibrazione ed è la somma e relazione delle individualità dei singoli che unisce l’opera ed il fruitore in uno spazio sonoro collettivo.

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