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Matteo Fato torna a Pescara con una mostra diffusa che trasforma la città in opera
Arte contemporanea
Dipinti ad olio, fotografie incorniciate in display realizzati in legno, con la stessa cura dei disegni e delle incisioni; casse e contenitori posati a terra insieme a monitor vecchi, tele appoggiate alle pareti come fossero oggetti; un ritratto di un uomo accovacciato e vestito di nero; sulla destra una grande opera che raffigura una tigre, poi uno sticker di una tigre – che è uno dei soggetti più ricorrenti nelle raffigurazioni di Matteo Fato – e, in fondo a questo nucleo di immagini, un video dove si intravede una scena ripresa sulla spiaggia di Pescara. Ci sono delle persone, forse degli amici, e poi un grande occhio che si muove.

Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
Questo insieme corale di opere, oggetti d’uso e immagini fisse e in movimento è racchiuso in una stanza inaccessibile e viene fruito solo dall’esterno. Per guardare l’immaginario che Fato ha collezionato in un luogo visibile dalla strada, si deve infatti posare lo sguardo sul vetro e spiare all’interno. L’artista sembra voler suggerire: “volete seguire il percorso? si inizia da qui”. Si parte dall’esterno per poi osservare i frammenti composti nel tempo dallo spioncino della porta. Con questa azione Fato cita De Dominicis che, nel 1975 presso la Galleria Lucrezia De Domizio a Pescara, aveva vietato l’ingresso al pubblico. La sua era una “Mostra riservata agli animali”. Fato dedica questo progetto ai pescatori, solo loro possono entrare. Per chi lavora sull’acqua c’è un rimando che, durante il giorno, si aggira per i mari intorno alla città. Si tratta di una vela realizzata dall’artista, che richiama un grande panno sporco di colore. Un tributo al mare, una citazione alla pittura, da cui tutto parte. E di citazioni nella mostra ce ne sono tantissime. Dalle letture dell’artista, da Flaiano a Leopardi, alle canzoni di Piero Ciampi, fino ai volti e alle riproduzioni – alla sua maniera – dei maestri del passato, da Monet a Giacometti.

Veduta dell’installazione, zerozerosullivellodelmare, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
Ho deciso di partire dalla Project room della Fondazione La Rocca per raccontare questo percorso diffuso in cui il pittore abruzzese si pone in discussione mostrando l’operato di tanti anni di lavoro in relazione a opere create appositamente per questa occasione. Un’azione che prende vita in una complessa e strutturata mostra diffusa curata da Simone Ciglia che, dopo anni di sodalizio lavorativo e di amicizia con l’artista, lo affianca nella distribuzione di ogni dettaglio pittorico, sonoro o grafico. I due professionisti hanno agito nel tessuto urbano di Pescara grazie all’appoggio e alla visione della Fondazione La Rocca che, pian piano, ha creato una rete all’interno di una città che di arte contemporanea, dagli anni Sessanta in poi, ne ha vista tanta.

Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara

Veduta dell’installazione, Museo dell’Ottocento, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
La Rocca, grazie alla mostra di Fato e al suo tributo a Pescara sotto i più svariati livelli di lettura e visioni, ha fatto scoprire luoghi speciali, per chi nella città ci vive e per chi vive da fuori. Al Museo dell’Ottocento, luogo straordinario che racchiude una collezione privata di opere che si possono trovare in luoghi istituzionali (da Tranquillo Cremona ad Altamura, da Telemaco Signorini a Théodore Rousseau, da Silvestro Lega a Giuseppe De Nittis fino a Rosa Bonheur), Fato dialoga direttamente con una personale selezione di opere, posando alle pareti i dipinti, disegni, fotografie e incisioni esposti ancora all’interno delle casse. Una cifra stilistica che spesso sceglie come dispositivo per le opere. La cassa, la cornice, le scritte a matita “fronte”, o “alto”, sono segni distintivi che accompagnano la sua figurazione. La pittura, il colore, le narrazioni contenute (siano paesaggi o persone) si estendono nel contesto in cui sono ospitate diventando extra pittura, spesso mostrando i trucchi del mestiere, le sue matrici, i suoi arnesi. La cassa in legno, che l’artista stesso elabora in maniera sintetizzata con un materiale chiaro, semplice, enfatizza la pittura a olio, la sua matericità e i suoi colori stridenti. Gli arancioni di Fato, come i suoi azzurri del mare pescarese e i neri delle opere più concettuali, rimangono in mente al fruitore, sono un’altra chiave di lettura che delinea la forza di quelle pennellate che l’artista, di anno in anno, rimarca sempre di più. Il pittore agisce con rigore attraverso un’autoconservazione: le sue tracce si estendono, si espandono, sedimentano e ritornano nei contesti da cui sono nate.

Veduta dell’installazione, Museo delle Genti d’Abruzzo, Pescara. Foto Michele Alberto Sereni. Courtesy dell’artista; Fondazione La Rocca, Pescara
A proseguire il percorso c’è Zerozerosullivellodelmare, dove l’artista ha dedicato un capitolo della mostra alle opere che subirono danni per un allagamento nel suo vecchio studio. E poi quel luogo straordinario che racchiude tutta la storia degli abruzzesi, il Museo delle Genti d’Abruzzo. Qui Fato mostra altri livelli di sé e della sua opera. Dall’inedito video in cui, in dialetto abruzzese, recita frasi come “l’uscita dello studio è la porta di ingresso”, a dipinti importanti realizzati negli anni, fino a feticci prelevati dal suo studio (la testa di tigre ricorre, insieme alla “mano del pittore”, regalata dall’amico Luca De Angelis). Nel video l’artista, accompagnato da una cantilena in sottofondo, si muove nello spazio circoscritto del suo studio durante il periodo del covid, con in mano una mazza da baseball e il volto coperto. Come Bruce Nauman misura lo spazio. Non può uscire. Fato aveva realizzato la prima personale a Pescara nel 2002, alla galleria di Cesare Manzo, il fondatore del mitico progetto Fuori Uso. Ventidue anni dopo il pittore estende le tracce del suo lavoro, tra interno ed esterno, terra e mare, paesaggio e umano.