27 gennaio 2024

Nasce a Roma l’Archivio Sergio Lombardo, che diventerà anche spazio aperto al pubblico nell’atelier dell’artista

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Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione di Sergio Lombardo con Fabio Iannello, fondatore della galleria 1/9unosunove di Roma. I due hanno fondato un nuovo modello imprenditoriale che punta a tutelare l’opera e ne parlano in questa doppia intervista

Sergio Lombardo e Fabio Ianniello davanti all'opera "50 Punti Extra" del 1966, Courtesy Galleria 1/9Unosunove, 2021.

Quando apre la sua galleria 1/9unosunove a Roma nel 2005, Fabio Ianniello è ancora sposato con la figlia di Mimmo Paladino, protagonista della Transavanguardia che avrebbe potuto condizionare scelte e obiettivi dell’allora giovane gallerista. Vent’anni dopo, incontriamo Fabio nello studio di Sergio Lombardo a Roma, protagonista di una tutt’altra realtà storica: parliamo della Scuola di Piazza del Popolo, precedente e opposta alla Transavanguardia. Oggi quarantenne e diviso fra Ginevra e Roma, il gallerista ci racconta in esclusiva il suo percorso e le sue ultime fatiche. Da poco associati, Fabio Ianniello e Sergio Lombardo lanciano un modello d’impresa artistica innovativa per conquistare il mercato e il sistema dell’arte. L’Archivio Sergio Lombardo, ora ufficialmente costituito, è la prima grande produzione della loro società battezzata Chaos Research che apre le danze con la mostra personale Sergio Lombardo 1960-1970, in arrivo al Mambo di Bologna.

Il 27 gennaio inaugura la prima personale di Sergio Lombardo in un museo italiano.

Fabio: «Portiamo al Mambo di Bologna i Super Componibili di Sergio e altre sue opere interattive fino alla Sfera con Sirena che non era stata presentata dagli anni ’70 a Parigi e che abbiamo restaurato per questa occasione. La sirena è quella originale, la CS136 della Sonora. La mostra si sviluppa sui due piani di Villa delle Rose di via Saragozza, rientra nel programma Art City durante la Fiera di Bologna. Saranno allestiti anche alcuni Monocromi e Gesti Tipici. Alla Fiera invece, portiamo tre Mappe di Heawood del 2000-2001. E il 3 febbraio nel programma dei Talk presentiamo un nuovo libro di Sergio, Scritti 1963-1999, appena pubblicato da Magonza e curato da Simone Zacchini».

Avete, tu e Sergio, da poco costituito l’Archivio Sergio Lombardo, per cui l’associazione Jartrakor, la rivista e il resto della produzione di Sergio sono stati accorpati in un’unica società, la Chaos Research Srl. L’Archivio verrà anche digitalizzato?

Fabio: «L’Archivio deve essere anche digitale. Sergio ci stava già lavorando».

Un domani potreste proporre in donazione l’Archivio all’università?

Fabio: «L’Archivio si occupa di catalogare e rendere disponibile il materiale e il lavoro di Sergio. Per ora l’obiettivo è di creare un fondo e realizzare il catalogo ragionato delle opere. Poi si potranno inserire man mano altre cose, pensare di coinvolgere anche le istituzioni».

Per ora non pensate di destinare il fondo di Sergio Lombardo a un museo?

Fabio: «Per ‘fondo’ intendiamo solo materiali d’archivio e di ricerca, non le opere. L’Archivio è e deve essere una struttura indipendente e in nessun modo suscettibile delle dinamiche e degli effetti di mercato. Non è incentrata su un patrimonio come la fondazione, invece. Quella potrebbe essere una idea per uno sviluppo successivo.

Sergio: «Cioè Post Mortem!»

Parliamone! Chi erediterà il patrimonio di Sergio?

Fabio: «Le opere di Sergio e cosa ne sarà dopo di lui sono argomenti che riguardano Sergio e la sua famiglia. Nell’Archivio sicuramente non ci sono cose trasferibili di livello patrimoniale. Sergio è il Presidente e ha nominato Giuliano suo figlio come vicepresidente».

Sarà quindi Giuliano Lombardo un domani a firmare le archiviazioni, per esempio? 

Fabio: «Se Giuliano assumerà la carica di Presidente un giorno ne saremo felici. Nel frattempo si costituirà un comitato scientifico che sarà di supporto e indirizzo per gli obiettivi dell’Archivio».

Sergio, il tuo gruppo è già ben costituito. Stai già pensando a chi potrebbe far parte del tuo comitato scientifico?

Sergio:  «Vero, con la Rivista di Psicologia dell’Arte ho già un bell’ambiente in cui pescare. Il comitato scientifico implica anche che le persone siano in quel momento funzionali. Per esempio servirebbe qualcuno che lavora o insegna in Cina. A lungo ha collaborato alla Rivista, Vladimir Petrov, attivo in Russia, ma purtroppo scomparso da poco. E mi manca una persona attiva in America».

Vorresti che il comitato del tuo Archivio fosse internazionale?

Sergio: «Il comitato deve avere un nucleo europeo e delle dinamiche internazionali».

Intanto lo studio, l’Archivio, è qui a via dei Pianellari dove risiede Sergio, ed è finalmente costituito in maniera ufficiale. La mostra di Bologna è il primo progetto in collaborazione ufficiale con l’Archivio Sergio Lombardo.

Fabio: «Si, Sergio ha disegnato due loghi, entrambi ispirati ai suoi lavori più o meno recenti. E siamo proprio in questi giorni sbarcati sui social».

Fabio, sei l’amministratore della vostra nuova società Chaos Research. In che consiste esattamente la tua mansione?

Fabio: «Principalmente strategica e burocratica. Curo i rapporti con le istituzioni e con i privati, con gli operatori del settore, e poi stiamo creando un piccolo team di lavoro per la conservazione delle opere e la gestione delle nuove produzioni».

Se ho capito bene, Chaos funge praticamente da casa di produzione dell’Archivio. 

Fabio: «Sì questo è il concetto, Chaos è la parte commerciale e amministrativa, e l’Archivio crea e cura i contenuti».

Sergio Lombardo e Fabio Ianniello davanti all’opera “50 Punti Extra” del 1966, Courtesy Galleria 1/9Unosunove, 2021.

In questa transizione, che funzione ha adesso la tua galleria a via degli Specchi, 1/9unosunove?

Fabio: «Diciamo che questo sistema ha livellato tutto e attivato un meccanismo dinamico. Ci apriamo a nuove collaborazioni, 1/9unosunove non punta ad essere l’unica galleria che rappresenta Sergio».

Sergio: «Non ho mai voluto essere rappresentato da una galleria. Gli artisti che lavorano a contratto per una galleria sono operai, e quindi si dequalificano dall’avanguardia. Dopo un’ultima mostra nel febbraio 1965, mi sono staccato dalla galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis che comunque era d’avanguardia e che per prima si è dissociata dagli artisti artigiani. Uscendo da lì, nasco quindi come studioso d’avanguardia, semmai collegato ai Futuristi, proprio quando l’Italia diventa succube del mercato americano e le gallerie diventano uno strumento politico».

A Bologna farete qualche anticipazione sul lancio del nuovo sito e sul programma di attività dell’Archivio?

Fabio: «Alla presentazione del libro faremo qualche anticipazione, ma pensiamo ad una strategia più ampia. Prossimamente faremo una comunicazione specifica, anche quando avremo pronte le procedure di archiviazione delle opere nelle collezioni dei musei e dei privati. Ci sarà la possibilità di entrare in contatto con Sergio e di visitare lo studio».

L’obiettivo è anche di rendere l’archivio uno spazio vivo, come tanti anni fa con l’associazione Jartrakor?

Fabio: «Stiamo valutando l’idea di ripristinare l’atelier di Sergio e farne uno spazio di rappresentanza per accogliere il pubblico».

Sergio: «Appena avremo la possibilità di restaurarlo, diventerà uno spazio tra galleria e salotto per incontri, caffè».

Il famoso caffè turco di Sergio, di fatto un vero e proprio salotto che fai già da anni qui a casa in maniera informale, finalmente sarà una cosa pubblica. Consuetudine che vi ha permesso di incontrarvi qui dieci anni fa.

Fabio: «Sì, qui conosco Sergio nel 2012 quando, dopo un periodo rivolto all’estero, entro nella fase in cui mi sensibilizzo all’arte italiana».

Fabio, il tuo background avrebbe potuto portarti a non conoscere mai Sergio Lombardo. Nasci a Caserta e poi incontri la figlia di Mimmo Paladino con cui apri la galleria 1/9unosunove a Roma nel lontano 2005.

Fabio: «Nasco a Caserta 48 anni fa, non ho un background artistico, sono un perito elettronico ma ho lavorato fin da ragazzo nel cinema e nel teatro, dalla fotografia alla scenografia. Quando nasce il mio primo figlio, ci spostiamo a Roma dove parte la sfida di aprire un’attività e provare a lavorare con artisti storicizzati. Ho visitato tanti studi. Ma ero restio a prendere artisti già affermati. Cercavo arte emergente».

Sergio: «Fabio era un talent scout. Anche Plinio De Martiis all’inizio faceva questo, poi si è sposato con Ninì Pirandello che non poteva più fare la ballerina per un problema al ginocchio e quindi aprono la galleria La Tartaruga con Giorgio Franchetti».

Oggi Plinio sei tu, Fabio.

Fabio: «Ringrazio per l’accostamento ma mi sembra un po’ azzardato. Viviamo in un momento storico, culturale e di mercato totalmente diverso da quello degli anni di Plinio. Forse ci accomunano gli sforzi iniziali e le difficoltà di avviare una galleria di ricerca e non di solo mercato. I miei primi anni di galleria sono stati durissimi».

Hai fatto qualche investimento in perdita all’inizio?

Fabio: «Sì, però allo stesso tempo mi sono mantenuto lontano dai rischi di questo mestiere. Poi una sera, da un collezionista, scopro un quadro stocastico di Sergio. Due anni dopo, nel 2014, organizzo una collettiva Eyes, Mind, Brain in galleria con tre Mappe Stocastiche di Sergio. La prima personale sui Monocromi arriva nel 2016. I Gesti Tipici invece entrano solo nel 2020 in galleria».

Ottima mossa quella di aver esposto i lavori recenti di Sergio prima di quelli storici. Cosa hai imparato di questo mestiere attraverso il rapporto con lui?

Fabio: «È un lavoro in cui metti gli altri davanti a te stesso. Non mi sono mai posto dicendo “io gestisco Sergio Lombardo”. Con Sergio è un lavoro di lunga durata, c’è tanto da fare. A lui mancava una struttura per far emergere il suo grande potenziale».

Un potenziale tutto da capitalizzare: tu e Sergio siete ora un raro connubio esposto alle incognite del mercato.

Fabio: «Infatti il mercato di oggi è per certi aspetti nauseante, oltre al fatto che il collezionismo italiano è faticoso a differenza di quello internazionale, più agile e più rispettoso del ruolo delle gallerie. Oggi pochi acquistano per costruire una collezione, la maggior parte compra per rivendere o agisce per intermediare nelle transazioni».

Sergio: «È stato decostruito il sistema dell’arte, senza aver costruito niente in alternativa. Come dice Derrida, oggi abitiamo ai bordi dell’essere, del logos».

Un po’ come ai bordi di un buco nero, quello che gli astrofisici chiamano una singolarità temporale o l’orizzonte degli eventi. Un paradosso per un artista che ha teorizzato e coniato l’Eventualismo per creare opere che generano emozioni imprevedibili.

Sergio: «Un paradosso disperante, senza alternativa e con una socialità ipocrita e finta».

E con il vostro format di società artistica-imprenditoriale pensate di garantire la sopravvivenza anche ad altri artisti.

Fabio: «Con me, Sergio fa una scommessa esattamente come quando gioca in borsa: investendo tutto. Bisognerebbe applicare questo modello con altri artisti. Penso a Mochetti».

O Di Stefano, che hai esposto l’anno scorso.

Fabio: «Sì, Giovanni Di Stefano è un artista nato proprio a Jartrakor, che ha un grande potenziale di ricerca e produzione. La nostra formula è di creare una struttura a trincea intorno all’artista che gli permetta di crearsi una sicurezza senza respingere trattative né vincolarsi».

Intanto dovete collaudare questo format e riuscire a fare un primo colpo commerciale.

Sergio: «Dobbiamo battere il mercato internazionale. Se un quadro di Basquiat, che in teoria oggi è esteticamente superato, vende a 5 milioni, allora un mio quadro deve vendere a 500 milioni. Non importa se a fare questo colpo non sarò io ma la mia società dopo la mia morte. Perseguo questo scopo non per diventare ricco, ma per diventare leader di un nuovo paradigma».

Fabio: «A me fanno piacere le gratificazioni del mercato, ma mi piacerebbero anche quelle dei riferimenti istituzionali; critici e curatori conoscono il potenziale e il valore della ricerca di Sergio, ma non hanno ancora il coraggio di istituzionalizzarlo come meriterebbe».

Sergio: «C’è anche il fatto che il mercato dominante è un mercato consolidato che non puoi certo lasciare in magazzino. È come se con l’arrivo delle macchine elettriche dovessimo subito buttare tutte le macchine a benzina. La transizione è lunga, la stessa logica vale per l’arte. Non so se vivrò abbastanza a lungo per vivere questa trasformazione».

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