19 gennaio 2025

Nel blu dipinto, o scolpito, di blu: un rimedio creativo al Blue Monday

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Nel 2005 lo psicologo Cliff Arnal ebbe un’idea: il terzo lunedì di gennaio, secondo lui, sarebbe il giorno più triste dell’anno. Così è nato il Blue Monday, una teoria che se pur non sia stata accettata unanimamente dalla comunità scientifica è diventata un fenomeno di culto. Noi, per affrontarlo, abbiamo pensato a una carrellata di opere… BLU!

Yves Klein

È vero, qualcuno potrebbe subito dire che «Il Blue Monday è una giornata come un’altra. La tristezza fa parte della vita, ma non dobbiamo lasciarla prendere il sopravvento», come ha fatto la produttrice statunitense Laura Dern. Qualcun altro invece potrebbe essere d’accordo con il medico Charles F. Glassman, secondo cui «Il Blue Monday è una teoria che può essere vista come una buona notizia: ogni giorno ha la possibilità di essere migliore di quanto non lo sia stato il giorno prima». Nel dubbio – voi, lettori, da che parte state? – vi proponiamo di immergervi nel blu dipinto di blu. 

Pablo Picasso, La vita (La vie), 1903. Museum of Art, Cleveland

«Cominciai a dipingere in blu quando riconobbi che Casagemas era morto», parola di Pablo Picasso. Casagemas, Carlos Casagemas, era un suo amico che si tolse la vita a Parigi il 17 febbraio 1901 (non era un lunedì, va detto!), quand’egli era in Spagna. Al suo ritorno, come ricorda anche la storica dell’arte Hélène Seckel, Picasso trascorse diversi mesi nello studio del defunto amico lavorando per settimane per preparare la mostra per la galleria Ambroise Vollard. La tavolozza, allora, era ancora abbagliante, e i soggetti ancora raggianti. Fu poi, nel corso dell’anno, quando Picasso sprofondò in una grave depressione che i toni del blu iniziarono a dominare i suoi dipinti (fino al 1904) dominati da un senso di forte malinconia – La Vita, originariamente La Vie, è uno dei quadri che più esprime questo dramma esistenziale – e popolati da poveri mendicanti, anziani, ciechi, donne e bambini malnutriti e uomini e donne disincantati. Certo, queste opere – che non furono subito accettate dalla critica, e che invece oggi sono tra le più ricercate – sembrano in effetti comprovare una certa affinità tra un certo senso di tristezza e desolazione e il colore blu, ma c’è anche qualcuno per cui «i colori all’epoca blu erano per me il culmine della libertà dell’arte di dipingere». 

Yves Klein, un Monocromo blu (IKB 98), 1957. Curtesy of Succession Yves Klein c/o ADAGP Paris
Yves Klein, La grande Anthropométrie bleue (ANT 105), 1960 ca. Crédits Guggenheim Bilbao Museoa. Copyright 2023 Artists Rights Society (ARS), New York/ADAGP, Paris

Così disse Yves Klein – secondo cui «i colori sono degli esseri viventi, degli individui molto evoluti che si integrano con noi e con tutto il mondo. I colori sono i veri abitanti dello spazio» – a Pierre Restany, che a sua volta affermò, lasciandolo a noi posteri, che per Klein «il blu rappresenta la rivelazione; è il supporto di rivelazioni non racchiudibili in formule, il veicolo di grandi emozioni, l’immagine captata del firmamento e della intimità del mondo, il ricordo di questa dimensione immateriale dell’universo». E sempre Restany ricordò che «Raimond Hains era solito dire che Yves viveva nel meraviglioso». Dai Monocromi alle Antropometrie – che realizzava chiedendo alle modelle di intingere il proprio corpo nel suo blu e poi di sdraiarsi su una tela distesa in modo da lasciare la propria impronta, la propria traccia di vitafino alle Sculture di spugna, anche queste realizzate immergendo la spugna nel colore, Klein concentrò la sua ricerca artistica nella creazione di un blu più blu del blu, che sviluppò insieme a dei chimici sospendendo il pigmento asciutto in una resina sintetica – questo processo fu registrato presso l’Institut national de la propriété industrielle, in Francia, il 19 maggio 1960 (anche in questo caso, non era un lunedì), con la denominazione International Klein Blue (IKB).

Yves Klein, nella mostra Giotto e il Novecento. Installation view, Mart, Rovereto. Ph. Mart
Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, 1445-1662. Museo civico di Sansepolcro
Mark Rothko, Green Blu Green on blue, 1968

Da un lato, dunque, un dramma esistenziale, dall’altro, la rivelazione, il firmamento, la meraviglia. Tra questi due estremi, la storia dell’arte – e non solo quella contemporanea, nelle rappresentazioni classiche infatti (la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca, per esempio) il manto della Madonna è in genere blu, un colore spesso derivato dai lapislazzuli, che venivano ridotti in polvere finissima per donare al cielo e al manto della Madre di Dio la perfezione di questo colore – ci offre tanti esempi.

Green, Blue, Green on blue o Blue over Red o Blue on Blue sono alcune opere di Mark Rothko, uno dei massimi rappresentanti del movimento Color Field, che testimoniano un forte impatto emotivo e la capacità di evocare un senso di contemplazione nello spettatore. La semplicità della composizione di Blue, Green, Blue per esempio, oggi conservata nella collezione del Museum of Fine Arts di Houston e l’utilizzo di soli tre colori, blu, verde e azzurro, ne fanno un’immagine forte e suggestiva. Come forte e suggestivo era l’impatto al cospetto di Alien Culture di Pamela Rosenkranz. Il progetto site-specific che realizzò qualche anno fa in occasione della sua mostra personale alla GAMeC di Bergamo rimandava alla storia spirituale dell’edificio che ospita il museo, un ex convento di cui l’artista ha ripreso le finestre ad arco, con repliche che irradiavano un forte blu RGB. I LED luminosi che brillano nelle sette Alien Blue Windows producevano un’esperienza spaziale di grandissimo impatto visivo, che evoca un oceano primordiale e cieli simbolici preminenti in molta iconografia religiosa. Non è da meno 

Pamela Rosenkranz, Alien Culture. Installation view, GAMeC, Bergamo, 2017. Courtesy GAMeC
James Turrell, Tycho Blue, dettaglio, 1969. Installation view, Mart, Rovereto, 2023

E non sono certo da meno le Infinity Mirror Rooms di Yayoi Kusama e l’installazione immersiva Tycho Blue, una stanza di puro e luminoso blu che si solidifica in una potenzialità luminosa che avvolge chiunque la percepisca – realizzata a partire dai progetti dell’artista del 1969 e mai più riallestita fino a due anni fa, in occasione della mostra Giotto e il Novecento al Mart di Rovereto – di James Turrell: «Non mi ha mai interessato dipingere la luce, ma utilizzarla come strumento percettivo. Credo che la luce sia una sostanza forte e potente, ma la sua potenza l’ho trasformata in un’esperienza». Anche Roman Opałka dipinse un’opera di colore blu: un poco noto Sans Titre del 1958, ovvero di una fase che risale risale all’arte di “Opałka prima di OPAŁKA” (come ebbe a indicare l’artista con una battuta socratica), sintomatico di una certa tensione verso l’infinito che nel giro di qualche anno avrebbe preso forma nella summa opera OPAŁKA 1965/1 – ∞. E Anish Kapoor, ebbene si, che già dopo le prime sculture pittoriche degli anni ’80, cospargeva forme tridimensionali di pigmenti gialli, rossi, blu o bianchi facendo vibrare le superfici fino a far perdere la coscienza della forma degli oggetti stessi. Il suo amore per il blu fu chiaro a Venezia: era il 1990 e per rappresentare l’Inghilterra alla Biennale citò Yves Klein e il suo blu creando una forma apparentemente bidimensionale (che si rivelava poi concava), come una grotta in polvere blu di Prussia, colore esoterico presente in tutte le religioni per indicare il trascendente, l’infinito, lo spirituale.

Anish Kapoor, installation view, 44^ Biennale di Venezia, 1990. Digital image courtesy Anish Kapoor 2016. Ph. Graziano Arici
Anish Kapoor, installation view della mostra “Anish Kapoor”, durante la 59^ Biennale di Venezia. Gallerie dell’Accademia. A sinistra Senza titolo, 1992, a destra: Il vuoto, 1989. Ph. Michel Zabe. Copyright Anish Kapoor. Tutti I diritti riservati DACS, 2021
Lucio Fontana, Concetto Spaziale, Attese – sul retro l. fontana “Concetto Spaziale” ATTESE era una bella notte di luna, 1967

Di artisti che hanno usato o usano il blu ce ne sono tanti, tanti altri. Da Lucio Fontana,  Ellsworth Kelly (Blue Red, per esempio, nella collezione del Solomon R. Guggenheim Foundation), a Giulia Andreani, che utilizza un colore tendente al blu (di cui Goethe nella sua Teoria dei colori ne parlava rintracciandone la manifestazione durante i suoi esperimenti al crepuscolo, all’alba o al tramonto), fino a Giuseppe Stampone – che si serve dell’iconica penna Bic blu nella sua produzione, tanto che la stessa Bic gli dedicato il colore Blu Stampone) che ha tra l’altro reso omaggio, in blu, alla Vedova Blu di Pino Pascali che, sempre in tono, ha realizzato anche 32 metri quadrati di mare circa nel 1967: un’estesa distesa blu di 30 vasche di alluminio zincato e acqua colorata all’anilina, ed è un’estesa distesa blu.

Nel blu, dipinto e scolpito, di blu finisce qui, con un’ultima opera, che gli appassionati di cinema conosceranno: Blue, l’ultimo film diretto da Derek Jarman nel 1993, quando la malattia lo costrinse a vedere le immagini, materia del suo fare artistico, solo nei toni del blu. Il film è un unico fotogramma di colore blu, che fa da sfondo alla traccia sonora, composta da Simon Fisher Turner, e alla voce di Jarman che racconta la propria vita e la propria filosofia artistica, narrando di sé come di “laboratorio ambulante”. 

(ps. arriverà anche il giorno più felice dell’anno, non temete. Secondo uno studio dello stesso Cliff Arnall è il 18 giugno! Ci credete?)

Pino Pascali, Vedova blu. Installation view, Fondazione Prada, Milano, 2024. Ph. Roberto Marossi. Courtesy Fondazione Prada
Giuseppe Stampone, Vedova blu. Omaggio a Pino Pascali
Derek Jarman, Blue, 1993

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