20 ottobre 2020

Non perdere il filo delle emozioni: Enzo Mari e Carla Accardi

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Alfabeti e progetto: due mostre a Milano per entrare nell'universo dei segni di Carla Accardi e Enzo Mari, e per comprendere le loro eredità fondamentali in un'epoca che non ri-conosciamo

Enzo Mari, Falce e martello, 1972 - 1973, Serigrafia su carta, 69,8 x 59,4 cm, Courtesy Galleria Milano e l’artista

In questi giorni ho visto due mostre, Carla Accardi “Contesti” (Museo del Novecento, catalogo Electa) e Enzo Mari “Falce e Martello” (Galleria Milano, catalogo Humboldt Books), che non hanno collegamento, ma riscattano il tempo spezzato dal Covid.
Ho sempre letto nei segni di Carla Accardi una “scrittura pre alfabetica”. Oggi capisco che sono le emozioni che scorrono l’una sull’altra, come nella vita. In, A strisce -1963, il suo rimbalzante alfabeto, tra linee di “lettere” e fasce rosso, rosa, verdi e blu, compone una scansione narrante indecifrabile, ma leggibile.
Se dovessi descrivere l’effetto di un’emozione, questo quadro lo rappresenta benissimo. Perché le emozioni permettono di tenere in equilibrio i concetti e la forma, senza dividerli dal pensiero. Nelle “strisce“ di Accardi “vedo” la memoria mentre si deposita, ed è magnifico immaginarla tra i suoi colori.
E qui veniamo all’oggi: tutto scivola sugli schermi del computer, del telefono, la regola è vedere, vedere, vedere. C’era già prima del Covid ma, ora, di più.

Carla Accardi suo studio di Roma, 1974 circa, foto M. Grazia Chinese

Nell’alfabeto di Carla Accardi leggo il consiglio di tornare indietro, tornare ai segni che dall’arte trasferiamo al panorama quotidiano, continuando a guardare il corpo fisico dell’arte, invece della sua fotografia.
Succede anche con le persone, però con loro la voce rimane, ma alle opere non si può telefonare. Però, si può comunque Smarrire il suono della voce, come Accardi titolava la mostra a Castelbasso, nel 2012 (catalogo Maretti Editore). Questo è il rischio che ricordano tutte le sue opere. Come l’ha affrontato? Lavorando “sul potere di stimolo del colore”, per cui il segno degli anni cinquanta” con le plastiche è diventato anonimo: le mie fasi sono sempre state basate sul cambio di materiali”, dichiara a Laura Cherubini (catalogo Maretti). È bello pensare di “smarrire il suono della voce” perché toglie impositività, ma allarma.

Carla Accardi, Rotoli in sicofoil dipinto 1965-69, Galleria Salvatore Ala, N.Y 1989

Accardi reagisce privilegiando la trasparenza, in modo da assecondare l’immaterialità della voce e la sua presenza multiforme. Come, dalle sue Finestre o dalle nostre di casa, quando teniamo insieme colori e suoni. Il punto di svolta è la luce e i colori diventano fluorescenti.
È difficile essere trasparenti e perfino negativi. Carla Accardi anticipa un tema che oggi ci travolge. Nel rosa della tenda, che inizialmente pensava rosso, nei bianchi che interrompono l’opacità della plastica, nei grigi che la sottolineano, vedo la possibile elaborazione del tempo che stiamo vivendo. I suoi sicofoil sono metafora dello schermo di computer e telefoni? Per me sono il richiamo a un dialogo diretto, che non è mai risolutivo perché si muove insieme a quelli di tutti e tutte: qui sta l’invenzione di Accardi.
Aveva reso anonimo il suo segno, non per renderlo indistinto, ma perché partecipasse all’alfabeto emotivo di tutte e tutti. La ricorrente invasione delle immagini virtuali e la distanza imposta dal Covid possono trovare un equilibrio? L’arte può agire? Non smarrire il filo delle emozioni è una cura possibile.

Enzo Mari, Falce e martello, vista della mostra alla Galleria Milano

Con Enzo Mari siamo in un altro universo, emotivamente c’è uno scacco. Tutto ritorna indietro. Ci riconosciamo? Sì. È una specie di straripamento calmo, dal’73 ad oggi. Il tempo passato è lungo, ma appare ancora più lungo perché è cambiato il mondo, non solo il nostro. La prima cosa che viene in mente è la rivoluzione, quella francese e quella marxista che hanno creato il mondo occidentale da cui veniamo. Ora siamo entrati in quella globale e il Covid ha imposto le regole, come se volesse interrompere l’alternanza virus /evoluzione. Sono regole che non conosciamo, ma che dobbiamo affrontare. Come?
La falce e il martello di Mari fa venire la malinconia della ribellione, del progresso distribuito alle masse? Sì e no. C’è l’energia di un futuro per cui combattere, ma anche la rigidità degli ideali. C’è l’inizio di battaglie che hanno cambiato la società italiana, il divorzio, l’aborto, lo statuto dei lavoratori. Un inizio che è tale e quale perché è stata ripetuta in modo filologico, perfetto la mostra di Mari con la quale Carla Pellegrini, il 9 aprile 1973, ha inaugurato la “Galleria Milano”, tuttora viva sotto la guida del figlio Nicola. Ed è anche un modo empatico di ricordare Carla e dire senza veli come eravamo.
La critica è conoscenza emotiva e non solo razionale. Queste falci e martelli, che Mari ha inventato guardando una croce nei cieli di Giotto ad Assisi, sono un colpo al cuore e una grandiosa maestria. Le ha moltiplicate e variate in tantissime situazioni, alla ricerca del simbolo perfetto? Per me corrispondono all’utopia che ognuno e ognuna disegni il proprio simbolo anche dentro lo stesso orizzonte.

Enzo Mari, Falce e martello, particolare della mostra alla Galleria Milano

Nel ’70 inizia il femminismo con Carla Lonzi e il gruppo di “Rivolta Femminile” e, a Milano, il “Demau” con Daniela Pellegrini, Lia Cigarini e altre. Nel ’73, nella manifestazione di massa dell’inaugurazione, l’eroismo patriarcale, era ancora bene in sella. Ma rientrare in quel tempo non è inattuale, nel senso che la rivoluzione non avviene solo nelle riunioni, ma anche nelle cucine di casa; allora chiedersi, oggi, qual è per lui e per lei la strada per rivivere criticamente l’esperienza, è uno dei modi per affrontare il tempo spezzato del Covid.
Dopo la peste del Trecento, Boccaccio ha scritto il “Decameron”. E noi, uomini e donne che romanzi scriveremo? Mari è alla Triennale con tutta la sua opera, e fa piacere che poco lontano ci sia “Falce e martello”: è un modo semplice per discutere di quanto la coerenza sia sempre un progetto? Può darsi. E “progetto” è stata una parola molto cara a Mari.

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