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Un’opera storica di Jannis Kounellis torna a risuonare in Ucraina
Arte contemporanea
di redazione
Negli spazi dell’antico edificio dell’Università nazionale – Accademia Mogila di Kiev sarà riallestita l’opera Untitled, 1997 di Jannis Kounellis, 28 anni dopo la prima realizzazione. Il progetto è curato dalla statunitense Marta Kuzma, già curatrice della versione originaria e oggi direttrice artistica di Faktura 10, programma della piattaforma culturale RIBBON International – che già ha presentato l’opera di Barbara Kruger per la ferrovia ucraina – in collaborazione con l’Archivio Kounellis di Roma. Visitabile dal 15 giugno all’1 settembre 2025, l’opera sarà scandita da 14 campane provenienti da vari territori dell’Ucraina e appartenenti a diverse confessioni religiose. Le campane sono sospese da terra e appese a travi d’acciaio oblique che attraversano la navata dell’edificio barocco.
Quando Kounellis concepì l’opera, alla fine degli anni Novanta, l’Ucraina era da poco entrata nella sua fase di indipendenza post-sovietica. Figura centrale dell’Arte Povera, Kounellis fu invitato a pensare a un intervento per lo spazio dell’allora Soros Center for Contemporary Art, fondato nel 1993 su impulso di George Soros e attivo fino ai primi anni 2000. La mostra curata da Kuzma, in collaborazione con Nicolò Asta e Giulio Alessandri, si intitolava Opera Formosa. L’artista italiano di origini greche tracciò un gesto dalla potenza radicale e dall’intima poesia, come nella sua cifra stilistica, sospendendo nel vuoto una serie di oggetti dall’aura archetipica, carichi di memorie e di tensioni. E impose una sola condizione: le campane dovevano essere reali, storiche e ucraine. Riallestita oggi, in un’Ucraina segnata dalla guerra, l’opera assume un nuovo peso simbolico.
Kounellis, cresciuto tra le macerie della Seconda Guerra Mondiale e della guerra civile greca, aveva compreso a fondo la grammatica della distruzione. Le sue installazioni, fatte di ferro, carbone, sacchi di juta e oggetti quotidiani, si propongono come potenti epifanie del trauma ma anche del lavoro comune e dell’identità collettiva.
«Pensateci: Kounellis non solo accettò l’invito, ma partecipò davvero, con convinzione. È qualcosa di straordinario», ricorda Marta Kuzma, in una intervista. «La meraviglia non era tanto che avesse visitato l’Ucraina, quanto il fatto che vi trascorse due settimane e vi realizzò un progetto autentico. Da artista profondamente consapevole, aveva bisogno di percepire la complessità di un luogo, di intuirne le radici culturali. E lo fece: nella sua installazione utilizzò vere campane storiche, provenienti da musei ucraini, rispettandone la specificità e il peso simbolico. Aveva una rara capacità di cogliere il quadro d’insieme, di comprendere il contesto con uno sguardo ampio e intuitivo. Ma possedeva anche un istinto infallibile: se avesse colto una nota falsa, se qualcosa gli fosse parso costruito o inautentico, avrebbe lasciato il Paese il giorno dopo. Non lo fece. E questo, a mio avviso, dice tutto».
Nella riproposizione del 2025, il progetto si arricchisce anche di una nuova trasparenza. Nel 1997 la provenienza delle campane fu il risultato di ricerche complesse e condotte quasi clandestinamente. Il progetto fu portato a termine solo grazie alle indagini di uno storico dell’architettura della regione occidentale dell’Ucraina. Oggi, invece, la collaborazione è aperta e dichiarata. Il Museo delle Campane di Lutsk ha prestato 14 esemplari, datati dal 1688 al 1925, di origine sia ortodossa che cattolica e provenienti da varie regioni dell’Ucraina. Inoltre, alcune campane sono state generosamente prestate dalla Cattedrale di Santa Sofia di Kiev. E, come richiesto dall’artista nel 1997, sono anche stati realizzati i batacchi per tutte le campane, non perché dovranno essere attivate ma per evocare la potenzialità sospesa della loro risonanza.