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Other Identity #169, altre forme di identità culturali e pubbliche: Clarissa Falco
Arte contemporanea
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana intervistiamo Clarissa Falco.

Other Identity: Clarissa Falco
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Credo che la rappresentazione della propria arte sia frutto di una costante ricerca, la mia è l’espressione di temi che mi hanno sempre affascinata: corpi, tecnologie e fiction speculativa. La letteratura, il cinema e il mondo dei fumetti cyber-punk, della fantascienza e dell’horror perpetuano il meglio del rapporto corpo-macchina sottolineando la prontezza con cui i generi culturali definiti minori sanno registrare i cambiamenti sociali e dei comportamenti. In pratica sono generi che presentano elementi sia utopici che distopici e mi permettono di riconsiderare l’inestricabile interconnessione tra corporeo e tecnologico.
Dialogare con la scienza e chiedersi come essa affronta la materia corporea è ciò che muove il mio interesse verso l’elemento macchinico. Ci tengo a sottolineare che nella mia pratica artistica, quando mi riferisco alle macchine, non intendo solo il loro aspetto strutturale, ma anche il campo discorsivo, scientifico e politico della tecnologia nel suo senso più ampio, quello che in termini più generici definirei l’Altro inorganico (termine che prendo in prestito da Rosi Braidotti)».

Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Sono una persona che non ama categorizzarsi in nessun contesto o forma, per questo motivo nei miei lavori emerge una volontà di ibridazione. Trovo che quest’ultima sia il sintomo di un nuovo fenomeno che predilige il deviante o il mutante rispetto alle versioni più convenzionali dell’essere vivente e che ci fornisce appropriate rappresentazioni culturali dei cambiamenti e delle trasformazioni che caratterizzano il nostro contemporaneo. Attraverso la pratica performativa e scultorea cerco di uscire dall’immaginario putrefatto del vecchio, dove la bellezza del corpo anomalo non era stata concepita».

Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Non ho mai riflettuto su questo aspetto, è una domanda interessante. Penso che conti molto dal momento che alla base della mia ricerca c’è una forte componente transfemminista. Non mi è mai capitato di dichiararlo apertamente in un’intervista, ma sono convinta che l’intento di ampliare e trasformare i codici che regolano le costruzioni sociali in cui siamo incatenati emerga in modo esplicito nel mio lavoro in quanto tento di portare a galla come le tecnologie possono essere usate per imbrigliare o liberare il corpo e quali produzioni di soggettività si possono generare».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«La rappresentazione come espressione degli aspetti della realtà oggettiva o di entità e concetti astratti ha un valore che muta da progetto a progetto. In generale ho spesso utilizzato delle rappresentazioni già esistenti o stereotipi per esprimere, in maniera ironica, un concetto.
Penso a G3ND3R WARS, una serie di scatti realizzati con la fotografa Maria Vittoria Maione; in questo caso è evidente come ci siamo servite della figura del “padre per eccellenza” della cultura main stream per avviare una critica sul sistema patriarcale.
Penso anche a come il rosa ha da sempre accompagnato i miei lavori, soprattutto quelli scultorei e installativi. Anche in questo caso la volontà era quella di utilizzare uno stereotipo (quello che associa tale colore alla figura femminile) per raccontarne un altro, ovvero quello che associa la macchina all’universo maschile. Il risultato è stato un agglomerato di macchine sterili, improduttive, morte e rosa; a me questa cosa fa sempre sorridere».

ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Questa domanda è molto spaventosa per me. Quando mi presento a persone che non conosco e che mi chiedono cosa faccio nella vita rispondo che sono una cameriera (è vero, non mento). Le amiche mi rimproverano sempre dicendomi “devi dire che sei un’artista” ma ho difficoltà a dare questa risposta. Credo che tutti, in modi differenti, siamo artisti nel momento in cui ci riferiamo al campo della creatività. Credo che la differenza sostanziale sia, come ho anticipato nella prima risposta, nella ricerca e nell’approfondimento delle tematiche che ci interessano».

Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Come per la terza domanda che mi hai posto ti rispondo che non ci ho mai riflettuto consapevolmente. Quello che mi appartiene e mi identifica, in termini di identità culturale e pubblica, è ciò che mi sprona a lavorare su tematiche legate al transfemminismo, con un’estetica che strizza l’occhio all’immaginario cyberpunk, sci-fi e horror. Mi rendo conto di avere la possibilità di esprimermi da una posizione privilegiata (sono una donna bianca nata nella parte “fortunata” del globo) e per questo motivo vorrei essere più attiva socialmente. Quindi ribalto la tua domanda in un invito a migliorarmi piuttosto che in un’idea in essere».

Biografia
Clarissa Falco è un’artista visiva e performativa attualmente con base a Milano. L’artista concentra il suo lavoro sul corpo e sul suo status sociale ponendolo in un constante dialogo con elementi e movimenti meccanici. Clarissa Falco propone di cercare nuove visioni e figurazioni del corpo, del genere, della performatività del genere e dei suoi attributi simbolici, utilizzando la performance come completante dell’indagine scultorea e, in particolare, del meccanismo del motore come metafora formale.














