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Pratiche di ricamo per spartiti sovversivi: due artiste in dialogo da Unobis, a Padova
Arte contemporanea
L’arte tessile si inserisce, come l’edera nei muri, negli ambienti industriali di Unobis, uno spazio indipendente padovano nato nel 2020 nel quartiere Arcella. Il 24 ottobre 2025 è stata inaugurata la bipersonale di Carmen Buonanno e Marta Perroni, curata da Marta Ferrara, dal titolo Eppure è altro. La mostra è parte della rassegna Living Rooms: un format espositivo che, per questa edizione, si compone di tre brevi mostre bipersonali, con l’obiettivo di porre in dialogo la realtà padovana con esperienze artistiche nazionali e internazionali.
Tra anti-monumento ed eco-politica
Unobis è una realtà indipendente fondata da un gruppo di artisti padovani nel quartiere Arcella, sito nella zona periferica a nord della stazione ferroviaria, oggetto di un lungo processo di riqualificazione. Studio condiviso e spazio di ricerca, Unobis si pone il difficile obiettivo di provare a dare vita a progetti interni alla città di Padova, rispondendo a quella che era una mancanza vissuta all’interno della città.
Unobis ha sede in uno spazio fortemente connotato e industriale. È proprio il dialogo con lo spazio uno degli elementi che rende interessante la scelta curatoriale proposta. Entrambe le artiste si sono concentrate su un uso dell’arte tessile volutamente in dialogo con il luogo in cui sono esposte, sia tramite interventi ambientali, nel caso di Buonanno, che tramite opere che contrastano fortemente con il contesto preesistente, nel caso di Perroni.
Entrambe le artiste proposte in mostra hanno alle loro spalle esperienze di arte partecipativa e relazionale, con il tessile spesso parte integrante di queste operazioni. La mostra rappresenta quindi anche un’occasione per vedere Buonanno e Perroni affacciarsi, invece, a un dialogo a due, che è accomunato da simili istanze etiche e da un comune interesse verso il recupero del tessile in quanto pratica identitaria.

Il tessile richiama pratiche artigianali spesso al di fuori dei circuiti artistici istituzionali, storicamente pensati e praticati dal soggetto maschile. È proprio con l’arte tessile che comunità marginalizzate hanno proposto il loro racconto, in ottica decoloniale, queer e transfemminista. È questa doppia anima del tessile che si scontra con lo spazio industriale, dando vita a un dialogo fruttuoso.
La ricerca di Carmen Buonanno si è concentrata in questi anni sull’arte tessile in quanto strumento di azione politica e comunitaria. L’influenza degli studi sulla queerness e sulla disabilità ha portato l’artista a ricercare forme espressive in grado di raccontare l’esperienza di soggettività marginalizzate o al di fuori dei binarismi sociali. È la sua opera ad accogliere il fruitore tramite uno scenografico ricamo che, in un certo senso, sovverte la logica tradizionale del monumento, posto in memoria di chi domina il processo storico. Show the world your existence (2025) è invece, per via del ricamo, effimero e leggero ma non per questo meno impattante: si può leggere come un anti-arco di trionfo, posto non a memoria dei vincitori ma di tutti coloro che sono parte della microstoria.

Marta Perroni presenta, invece, il progetto Come ricercare erbe spontanee per rimedi invisibili – un inizio (2025). La serie di frammenti fotografici stampati su lino richiama sia il trascorso personale dell’artista nell’Alta Valtellina, sia a quella che Perroni definisce come una «Pratica artistica eco-politica». Le opere, di piccolo formato, colorano le pareti bianche di Unobis con estrema delicatezza, attraverso ingrandimenti di fotografie scattate da Perroni nel corso della sua ricerca sulle pratiche tessili del suo territorio d’origine. Ai frammenti fotografici si giustappone un grande ricamo su tela bianca che, per la sua leggerezza, sembra sospendere il proprio disegno botanico nella parete dello spazio espositivo, trasformandosi in una presenza para-fantasmatica e fortemente intima.
Uno degli elementi attraverso cui le invitate hanno lasciato il loro segno è non solo la dimensione espositiva. Presso Unobis vi è la libreria Franca – progettata da Tiziano Tiarca – che ha un focus particolare sui libri d’artista. La curatrice e le artiste hanno deciso di implementare, oltre alla mostra, la possibilità di consultare dei testi da loro proposti fino al termine della mostra. Si può intravedere in questa possibilità un’estensione stessa dell’esposizione, con i libri che diventano quindi parte integrante del dispositivo Living Rooms.
Le scelte proposte dalle due artiste preannunciano la dimensione più ampia delle loro ricerche. Carmen Buonanno, la cui pratica artistica si è concentrata sull’utilizzo dell’arte tessile come pratica di resistenza e di riappropriazione degli spazi in ottica queer e anti-abilista, ha scelto il libro Lo spazio non è neutro. Accessibilità, disabilità, abilismo di Ilaria Crippi (2024). Nel caso di Marta Perroni, invece, l’artista ha proposto vari testi, su cui spicca L’Italia vuota. Viaggio nelle aree interne di Francesco Tantillo (2023), ricollegandosi al carattere fortemente identitario della propria ricerca, legata alle sua infanzia valtellinese.
Living Rooms: un dispositivo multiforme per uno spazio collettivo
Attualmente sono dieci gli artisti – Elena Lucenti e Luca Buratti del duo prove colore, Martina Biolo, Greta Fabrizio e Riccardo Lodi del duo Enzo e Barbara, Matteo Trentin, Michael Trutta, Giulia Gaffo, Davide Pegoraro, Bianca Serafin – che abitano il numero uno/bis di via Ticino, da cui deriva il nome dello spazio. È proprio l’abitare un ambiente condiviso, il mediare le proprie posizioni e i propri spazi, uno degli elementi cardine della sua identità. C’è sia la coesistenza delle pratiche individuali che la loro condivisione, che porta quindi a una contaminazione volontaria e involontaria, al tempo stesso rinsaldando le posizioni più personali. Lo spazio, in un certo senso, per la sua capacità generatrice e per la sua identità industriale ben definita, si può quindi definire l’undicesimo componente di questa realtà.

Se nel resto dell’anno Unobis è principalmente lo studio dei suoi artisti, durante Living Rooms, uno dei vari format proposti nella più ampia programmazione annuale, i suoi spazi si aprono alle contaminazioni esterne, trasformandosi in una cassa di risonanza padovana per ciò che succede nelle altre realtà artistiche. Lo stesso nome, Living Rooms, anticipa quella voglia di condivisione al centro della genesi del progetto, che non intende porsi semplicemente come serie di mostre ma come occasione di incontro fra artisti e curatori di diverse realtà, assumendo la dimensione di un format mutevole ed ibrido, un dispositivo multiforme.
L’edizione dello scorso anno aveva previsto la proposta di tre mostre collettive a partire dalla selezione di opere già edite e curate dagli artisti di Unobis. Quest’anno, invece, si è sentita la necessità di porsi in dialogo con la figura curatoriale, selezionando tre curatori che, a loro volta, hanno proposto delle mostre bipersonali, con lavori realizzati appositamente per Unobis. La prima mostra, Un’altra notte in bianco si è tenuta il 3 e 4 ottobre, con gli artisti Jacopo Naccarato e Nicola Ghirardelli curati da Edoardo Durante. La seconda, invece, Noi camminiamo sopra l’inferno, guardando i fiori, è stata curata da Francesca Disconzi, con le artiste Lidia Bianchi e Miriam Montani Magrelli, il 17 e il 18 ottobre.

Nel caso di Eppure è altro, ci troviamo di fronte a un dialogo fra due realtà artistiche geograficamente distanti quali Padova e Napoli, dove lavorano sia la curatrice che le artiste esposte. Le opere esposte sono state parzialmente realizzate in loco, in quella che si è trasformata a tutti gli effetti in una residenza delle due artiste a Padova.
Opere effimere e ritorno al gesto artigianale
C’è un elogio del molto piccolo e del molto grande nelle scelte di Ferrara, nell’accostare i piccoli lavori di Perroni all’anti-monumento di Buonanno. È un contrasto quasi di valori musicali, fra tante note crome e una nota lunga. È della stessa leggerezza della musica che, dopotutto, sono composte le opere in mostra, perché pur essendoci un gioco di dimensioni, il tutto resta nell’effimero e nell’aere. La prevalenza del tessile, la delicatezza del ricamo e dell’uncinetto, il carattere intimista delle operazioni artistiche riescono a mantenere sospesa l’atmosfera in cui il fruitore è chiamato a raccogliersi.

Il ritorno alle pratiche manuali e artigianali, giustapponibile a un bisogno di comunità che diventa tanto più urgente in una contemporaneità priva di punti di riferimento, assume quindi un significato fortemente identitario, volto a riaffermare la possibilità di poter essere soggetti al di là delle dicotomie prefissate dal sistema capitalistico e dalla concezione teologica della Storia. La contestazione al monumento – destinata a essere eterno ed immutabile, trasformato invece da Buonanno in un elogio all’effimero – e la rivendicazione del tessile operata da entrambe le artiste permettono di inquadrare questa mostra nel più ampio sentire collettivo di ritorno a un’arte materica, che ripropone il “fare” accanto al “concetto”.

È quindi un ritorno alla valorizzazione del gesto, da iscriversi però non come atto singolo e individuale ma come eredi consapevoli di processi collettivi e identitari che, pur non essendo direttamente legati alla produzione delle opere in mostra, iscrivono le pratiche di Buonanno e Perroni in una conversazione più ampia sul tessile come pratica di resistenza.


















