11 dicembre 2021

Sophie Ko, Il resto della terra – Galleria De’ Foscherari

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La mostra si compone di lavori che si differenziano per tipologia di materiali e supporti utilizzati, pur accomunandosi per il senso di ricerca di Sophie Ko: il rapporto tra il reale e l’Assoluto

Sophie Ko, Il resto della Terra, 2021, veduta della mostra
“Come se fossimo parlati dalla cenere. Come se fossimo scritti dalla terra. Come se avessimo promesso qualcosa a qualcuno che dobbiamo incontrare. Chi guarda fuori scorge dentro il chiarore del sole e il rezzo della terra”. È una delle composizioni dei Versi di cenere del poeta Domenico Brancale, che accompagnano la mostra dal titolo “Il resto della terra”, dell’artista Sophie Ko, in corso fino al 7 febbraio 2022 presso la Galleria de’ Foscherari di Bologna. I versi tratteggiano in maniera impalpabile, delicata, ma allo stesso tempo profonda e incisiva l’essenza delle opere dell’artista georgiana, in mostra presso la galleria bolognese per la seconda volta dopo “Terra” del 2016. Il percorso espositivo si compone di lavori che si differenziano per tipologia di materiali e supporti utilizzati, pur accomunandosi per il senso di ricerca che caratterizza Sophie Ko, ovvero il rapporto tra il reale e l’immagine dell’Assoluto.
Sophie Ko, il resto della terra, 2021, Metaxy, particolare
Dal testo critico redatto per la mostra da Federico Ferrari, filosofo, critico d’arte e vicedirettore dell’Accademia di Belle Arti di Brera, con cui l’artista ha intessuto una collaborazione decennale, emerge l’analisi effettuata in modo introspettivo ed erudito in merito a questo rapporto, proprio attraverso la citazione di Herny Corbin, il quale “giunge ad individuare la necessità di un mondo intermedio tra quello materiale e quello della pura trascendenza. Un mondo intermedio, cioè, nel quale si aprirebbe la possibilità di una forma di conoscenza che non sia né solo affidata ai sensi né solo all’astrazione intellettuale. Il mondo intermedio sarebbe, dunque, «un mondo soprasensibile, che non è né il mondo empirico dei sensi né il mondo astratto dell’intelletto»…..Il mondo immaginale o mondo intermedio è il luogo dell’arte”. Ed è proprio dal mondo intermedio, abitato da saggi e poeti, che si riesce a trascendere dal reale, dalla terra, seppur punto di partenza e volgere lo sguardo verso la trascendenza, l’Assoluto. L’arte di Sophie Ko non può prescindere da quella occidentale, sulla quale si fondano le sue strutture espressive, quale ad esempio la finestra, citata anche da Leon Battista Alberti nel suo De Pictura: “Principio, dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto”, come ricorda Federico Ferrari.
Sophie Ko, La furia delle immagini, 2020
Le tre finestre presenti in mostra sono caratterizzate dalla presenza di materiali disparati, posti all’interno della struttura stessa, tra cui foglie, erba, carta, terra, resti di immagini, che emergono dalle ceneri, come il particolare dell’abbraccio tra Elisabetta e Maria nella Visitazione del Pontormo, nell’opera La furia delle immagini. La terra, pur sgretolandosi, diviene al tempo stesso finestra, trampolino di lancio verso la trascendenza, verso l’infinito, permanendo la caducità della materia, dell’immagine, di cui restano solo i frammenti e cenere prodotti da combustioni, sulla scia di quelle di Claudio Parmiggiani. La ricerca di Sophie Ko, si rivolge a civiltà dimenticate, a resti di mondi scomparsi, realizzando, in tal modo, un’arte intrisa di riflessione, di ricerca di quell’immagine del metafisico così difficile da afferrare, proponendo un modello diverso da quello dell’arte contemporanea, caratterizzata dalla presenza dell’immagine e dell’immagine dell’oggetto rappresentato.
Il tempo scorre, la terra si sgretola, le ceneri sottoposte alla forza di gravità si dirigono verso il basso, scandendo il tempo come in una clessidra. Geografie temporali, come orologi a polvere, dove la cenere, come la vita, scorre e prende forma sotto l’azione del tempo. Le ceneri impreziosite dall’oro, come nei pannelli componenti l’opera Metaxy, rimandano alla classicità, rafforzando quel legame con l’antico; in greco l’avverbio μεταξύ indica ciò che si trova nell’intervallo, nel mezzo: terra, sabbia arricchiti da una cascata d’oro ricordano antiche icone bizantine, le cui immagini non sono più riconoscibili.
D’obbligo l’ulteriore citazione del testo di Federico Ferrari, che riassume la poetica dell’artista e il suo modo di operare nel campo dell’arte, caratterizzando, così, un suo proprio spazio definito, in cui coesistono fenomenologico e trascendenza, materia e assoluto: “Detto in altri termini, Sophie Ko si definisce e si comprende all’interno della lenta e progressiva dissoluzione dell’immagine dell’Assoluto, della sua impossibilità di rappresentazione, proprio attraverso il processo storico di riduzione del mondo ad immagine. Quando l’immagine diventa il linguaggio stesso del reale, allora per rappresentare, per dare immagine di ciò che immagine non è, occorre ritornare agli elementi primari, alla dimensione di apertura della materia pittorica, ai gesti primordiali: il fuoco, la luce, l’oro che brilla di luce propria. In fondo, Ko è agli antipodi del secolo, guarda quello che nessuno vede. Cerca l’immagine dell’invisibile”.
Ad accompagnare il percorso espositivo sarà il catalogo della mostra contenente il testo di Federico Ferrari e i versi di Domenico Brancale, in uscita a metà dicembre.

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