06 marzo 2024

Storia della poltrona da cui nascono le idee, raccontata dal suo autore

di

L'artista Andrea BIanconi ha ideato Sit Down to Have an Idea, opera diventata poi una performance collettiva ambientata in disparate parti del mondo. In questa intervista racconta il suo approccio al mondo delle idee (e non solo)

Andrea Bianconi, spedizione Cima Carega , Piccole Dolomiti, 2020

All’inizio l’idea era,
poi è cambiata,
poi era l’idea,
poi è cambiata,
sto cambiando troppe idee,
e troppe idee stanno cambiando,
alla fine l’idea giusta
era la prima,
la prima idea non si cambia mai.

Così si presenta Andrea Bianconi, classe 1974, uno degli artisti italiani che può vantare una significativa attestazione all’estero. Vive e lavora tra Vicenza e gli Stati Uniti. Attento ai temi legati al sociale quanto alla sostenibilità ambientale, è stato il primo artista italiano invitato a Davos, in Svizzera, durante la 48° edizione del World Economic Forum per presentare ai capi di Stato di tutto il mondo la sua performance Voice to the Nature. Ha preso parte a mostre in Italia e nel mondo come al MSK di Ghent, a Palazzo Reale di Milano, alla Biennale di Mosca, al Film Society Lincoln Center di New York e al Museu do Meio Ambiente a Rio de Janeiro. Proprio dall’assenza di idee nasce Sit Down to Have an Idea. Un’installazione performativa che si propone come luogo di riflessione, in fuga dai ritmi frenetici della società contemporanea presentata per la prima volta alla terza edizione della fiera Roma Arte in Nuvola.

Andrea Bianconi, spedizione Cima Carega , Piccole Dolomiti, 2020

Il progetto Sit Down To Have An Idea nasce come tua esigenza personale. Ci spieghi come e quando ti è venuta l’idea?

Nel 2016 ero nel mio studio alla ricerca di un’idea. Girovagavo e guardavo le cose presenti: oggetti, parole, segni. Sono un accumulatore seriale di oggetti. In un angolo c’era una poltrona, la solita poltrona, quella di velluto verde donatami da mia nonna. Poltrona “compagna di viaggio” avendo vissuto in tutti i miei studi. D’improvviso iniziai a guardarla e a contemplarla. Istintivamente presi un colore bianco e scrissi sulla seduta “Sit Down To Have An Idea”. Nacque così la “poltrona delle idee”. Da subito diventò amica e complice, diventò magica. Funzionava! Gli anni passavano e la “poltrona delle idee” diventava parte integrante del mio processo creativo e le persone che venivano a trovarmi in studio volevano sedersi nella speranza di trovare un’idea. Un incontro sognatore del 2019 mi illuminò e iniziai ad immaginare la poltrona ovunque. E alla prima occasione colsi l’occasione. Era gennaio 2020, subito prima della pandemia, e durante Arte Fiera, in collaborazione con Casa Testori, invasi Bologna con 24 poltrone come le ore del giorno e le posizionai in 24 luoghi diversi, da Piazza Maggiore al Teatro Duse, dalla stazione all’ospedale, da un panetteria a una scuola… Una poltrona per tutti è un’idea per tutti. Chiunque poteva sedersi nella speranza e capacità di avere un’idea. La poltrona in quell’occasione è stata e lo è tutt’ora un gesto d’amore verso e per l’uomo. Successivamente le 24 poltrone contaminarono le stanze segrete del Teatro Duse di Bologna, dove realizzai  la performance “Monologo di un’idea” in cui indagavo il rapporto tra uomo e idea.

Le idee travalicano ogni barriera e generano speranze.

A marzo 2020 arrivò il lockdown e l’unica forma di libertà era l’immaginazione. Un giorno parlando con un amico gli raccontai di un sogno fatto ad occhi aperti… Il desiderio, al primo spiraglio di luce, di portare la poltrona sulla cima di una montagna, come ricerca di qualcosa di negato. Scelsi Cima Carega, la vetta più alta delle Piccole Dolomiti, a 2.259 mt.di altitudine. Nacque così Spedizione Cima Carega (5 giugno 2020), dove coinvolsi la Durona Team, un gruppo di runner della mia zona che a turni di 15 minuti si caricavano sulle spalle la poltrona portandola fino alla cima. Un passaggio di testimone durato oltre 3 ore di cammino. Conquistammo Cima Carega e posizionammo la poltrona delle idee in vetta come rinascita, la riconquista di una libertà nella natura incontaminata. Capii che il messaggio della poltrona era universale e poteva raggiungere tutti. Iniziai così ad immaginare la poltrona in vari luoghi e poco dopo la portai a Tropea di fronte al mare infinto, a Colletta di Castelbianco, tra i borghi più belli d’Italia, posizionandola sotto a un pino, in seguito a Chiampo, sotto un campanile, a Vicenza con una processione nella lanterna di un Torrione Medievale (sede della Fondazione Coppola), a Lodi sulle rive dell’Adda, a Savona trasportata a bordo di un peschereccio di nome Leda dal mare alla Fortezza del Priamar e su Ponte Vecchio a Firenze. A Roma, per la prima volta a novembre 2023, la poltrona ha visto trovare il suo habitat nella Nuvola di Fuksas, in ambito del tutto inedito come una fiera di arte contemporanea. Nei quattro giorni di manifestazione il pubblico ha potuto sperimentare la seduta e partecipare al processo creativo di un’idea!

Dopo aver toccato varie piazze italiane, teatri e paesaggi, quali sono le prossime tappe per Sit Down To Have An Idea? In che modo vorresti far “viaggiare” la poltrona nel mondo?

La poltrona delle idee ha ascoltato e ascolta la propria natura. Ricordo una foto premonitrice che mi scattò un amico nel 2011 in cui tenevo con grande forza e fatica la stessa poltrona verde (senza scritte) sollevata da terra in braccio come fosse un bambino. La stessa poltrona che poi diventò “poltrona delle idee” e che mi suggerì di essere trasportata nei vari luoghi. Penso sia un viaggio senza fine, come senza fine sono le nostre idee. Il viaggio è parte fondamentale e vitale della performance, inteso sia come viaggio fisico ma anche come viaggio mentale con noi stessi una volta che ci sediamo. La poltrona ascolta mondi, tempi e spazi. Accoglie vite, desideri, sofferenze e destini. Non voglio forzare il suo percorso, quando mi dirà dove vuole andare io l’ascolterò. È un’opera aperta e in continua evoluzione.

Sit Down To Have An Idea  ha incontrato anche una delle star della musica italiana, Laura Pausini. Come è venuta a conoscenza di questa tua opera e come si è relazionata con essa?

Era un martedì mattina e alle 9.30 ho ricevuto una telefonata: “Sono Laura Pausini, non ci conosciamo…” Mi aveva trovato sul web, si era innamorata della poltrona. Laura l’ha voluta in studio di registrazione ed ha capito con grande sensibilità l’anima e l’essenza vera dell’idea. Stava raggiungendo i 30 anni dalla vittoria di Sanremo e si è fatta fotografare sulla poltrona dicendo: “mi sto facendo venire nuove idee”. Ogni tanto fa dei video in studio e vedo la poltrona rosa vicino al microfono. L’arte che supera l’arte.

Invisible dance, exhibition. Barbara Davis Gallery

Mi hai parlato anche di altri personaggi noti nel mondo musicale che avrebbero voluto “adottare” Sit Down To Have An Idea ma tu hai preferito non spettacolarizzare il progetto. Ci parli di qualche aneddoto?

Sì è vero, ma preferisco non parlarne, alcune strade si incontrano, altre no.

Nelle tue performance è sempre coinvolto il pubblico, in che modo lo rendi parte attiva?

Il pubblico è parte fondamentale. Nel caso della poltrona vive quando le persone si siedono. L’anno scorso la poltrona è diventata monumento in bronzo ad Arzignano, la mia città natale. La parola monumento contiene la parola momento, quindi il monumento-poltrona vive grazie a tutti i momenti in cui le persone si siedono. Le persone sono fondamentali, vitali ed essenziali. In tutte le performance voglio rendere gli altri non solo parte attiva ma protagonisti dell’opera. L’altro diventa più importante di me affinchè la performance funzioni. Per esempio nel caso di The Chinese Umbrella Hat Project (2010), l’azione ha visto giovani cinesi partecipanti girare per il centro di Shanghai vestiti con sete tradizionali e ombrellini in testa cercando l’interazione con la gente. Era la mia domanda sul loro modo e rapporto di vivere la tradizione cinese. Nella performance Babele (2015), in Piazza San Francesco in pieno centro ad Arezzo, ho riunito diciotto rifugiati che portavano in spalla uno stereo, ognuno trasmetteva una canzone diversa. I brani si fondevano in un’unica melodia e i rifugiati danzavano nel segno dell’unione coinvolgendo le persone intorno.

Chair, mixed media. Barbara Davis Gallery 119x86x91cm, 2024

Quanto è importante per te l’atto performativo nella tua pratica artistica?

La performance mi permette di interagire e relazionarmi con l’altro, l’altro modo, l’altro luogo, l’altro spazio, l’altro io, l’altra cultura, l’altra persona. Quindi l’altro è fondamentale. Il performer cattura il momento, cerca di controllarlo e poi l’attimo fugge e quel momento si trasforma in altro. La performance ha delle similitudini anche quando disegno e citando Italo Calvino il disegno ti permette di: “cercare le tracce di qualcosa che potrebbe anche non esserci”. La performance è come un viaggio in cui mi pongo delle domande. La destinazione potrebbe riassumersi per esempio nel progetto Fantastic Planet (2016- Barbara Davis Gallery – Houston TX) dove ero coperto di veli neri e ripetevo ossessivamente la stessa frase – Fantastic Planet – come se mi stessi chiedendo se questo pianeta esistesse oppure no, disegnando frecce e direzioni.

Le tue azioni sono pensate generalmente per rovesciare il punto di vista sul mondo. Quali sono le performance che ti hanno coinvolto maggiormente in questo senso?

Cerco sempre l’inaspettato, qualcosa che mi apra nuovi punti di vista. Nella performance Trap for the Minds nel 2011 in America ero di fronte ad uno specchio dove indossavo 18 maschere, l’una sovrapposta all’altra, come a voler evidenziare la molteplicità identitaria che abita in noi. In Traffic Light (2013) a Mosca davanti al Cremlino, 9 volontari vestiti da sciamani con una gabbia in testa (a cui erano attaccati 3 piatti da batteria di colore rosso, giallo e verde) suonavano seguendo il variare dei colori del semaforo ad indicare l’entrata e l’uscita dalla Piazza Rossa. In Voice to the Nature nel 2018 in occasione del 48° World Economic Forum a Davos mi sono ritrovato immobile e paralizzato, circondato da 200 sveglie che suonavano contemporaneamente  in segno di denuncia dell’ecocidio in atto per richiamare i leader del mondo all’urgenza di agire “ora e non dopo” per il benessere del pianeta. In Come Costruire una direzione (2019) al Carcere di San Vittore a Milano misi in scena un rito liberatorio, un inno alla libertà con alcune detenute che fanno parte del CETEC Dentro/Fuori San Vittore. Era la prima volta che un performance d’arte entrasse nel carcere.

Babele, performance, 2015, Arezzo

Sei un acuto disegnatore e ogni tua azione è accompagnata da disegni e sketch preparatori, rigorosamente in bianco e nero. Quanto è importante per te il segno?

Il segno è fondamentale, le freccia è un segno, le parole sono segni, a me piace giocare con le parole. Le parole hanno una direzione, come il linguaggio, come l’ascolto. La parola disegno contiene il segno e disegno in inglese è drawing che contiene la parola wing, ovvero ali, ovvero libertà. Quando penso ad una performance subito la disegno, questo mi fa capire la spontaneità e la naturalezza del pensiero, dell’idea. Cerco la sintesi nel disegno. Amo e odio allo stesso tempo il bianco e nero e i due opposti mi rendono chiaro il pensiero. So che con il bianco e nero non devo togliere colore.

Hai da poco concluso la tua 15esima mostra oltreoceano dal titolo Invisible Dance alla Barbara Davis Gallery a Houston in Texas (USA). Il progetto racconta di una danza interiore con te stesso dove hai utilizzato un velo come strumento per analizzare il proprio io. Ce la racconti?

L’idea della mostra è nata nel momento in cui mi sono posto delle domande. Cosa esiste tra l’anima e il corpo? Dove si allineano il razionale e l’irrazionale? Quando la finzione diventa realtà? Quando abbiamo un’idea e vogliamo renderla concreta c’è un momento in cui immaginiamo qualcosa danzando in mille direzioni dentro di noi. Invisibile Dance è questa danza invisibile con noi stessi. Il velo è simbolo di verità nascosta che danza con la fisicità. Cos’è che non riusciamo a vedere completamente? Cosa non riusciamo a comprendere appieno? È quella cosa che stiamo inseguendo, come le mie frecce inquiete. E’ una storia d’amore con il mio mondo.

Andrea Bianconi, Come costruire una direzione_2019_San Vittore performance ph. Enrico Amici

Hai un rapporto ormai decennale con la tua galleria americana  e secondo te quale dovrebbe essere il ruolo degli artisti italiani all’estero.

Con Barbara Davis (la mia gallerista) sono 15 anni che parliamo al telefono quasi ogni giorno, ovvero quasi 5.000 giorni che ci sentiamo e ci confrontiamo quotidianamente. A volte solo per pochi secondi, altre per ore. Il rapporto è totale. Il ruolo degli artisti italiani all’estero è sempre essere se stessi.

C’è un evento della tua vita che ha segnato la tua vocazione o maturazione artistica?

Ce ne sono stati moltissimi e ce ne sono  ancora, è un continuo scoprirsi …Come l’incontro con Giovanni Frangi, il trasferimento a New York, le continue telefonate giornaliere con Barbara Davis, l’incontro con Antonio Coppola, le frequentazioni e collaborazioni con Casa Testori, l’avere gabbie aperte appese in ogni studio, la performance in Piazza Rossa a Mosca per la Biennale, la scoperta della freccia come simbolo e significato, la performance al carcere di San Vittore dove ho capito il sentimento di libertà e di come l’arte sia legata alla vita e viceversa, la performance di fronte ai Capi di Stato a Davos dove ho maturato la consapevolezza di me, ma anche il rapporto stesso con un oggetto come la poltrona o con il disegno che farò tra poco, è una continua ricerca e maturazione. Sono all’interno del mio viaggio.

Dopo la pandemia come è cambiato il tuo modo di fare arte?

Ho vissuto la pandemia costruendomi vie di fuga trovandole nell’immaginazione. È stata la mia forza e la mia arma. Anche perché l’immaginazione contiene la parola azione, quindi immaginavo azioni e ridimensionavo l’altro. Non penso sia cambiato il modo ma solo ridimensionato. Durante il lockdown ho scoperto un nuovo legame con mia figlia. Insieme abbiamo costruito ogni giorno un viaggio diverso in luoghi inaspettati, dal mondo delle nuvole alla nascita della pioggia. Abbiamo realizzato grandi disegni e collage sulle pareti del mio studio. Abbiamo costruito un razzo per andare nello spazio e pensato a tutto ciò che ci dava un gran senso di libertà, pur restando chiusi in casa. Quindi non ho perso l’idea di viaggio, l’ho solo ridimensionata.

Manuale per esercitare la propria stupidità, Skira, 2022
Manuale per esercitare la propria stupidità, Skira, 2022

Quale sarà la sfida del sistema dell’arte del prossimo decennio secondo te?

La sfida secondo me è mantenere l’autenticità di chi siamo, non perdendoci e non dimenticandoci della nostra essenza.

“Guardare la punta del proprio naso insistentemente”, “Supplicare una porta di aprirsi”, Fermare un orologio con il pensiero,… sono solo alcune delle frasi che accompagnano i tuoi disegni nel Manuale per esercitare la propria stupidità (Skira 2022). Una sorta di calendario da tavolo con consigli giornalieri da tenere sempre a portata di mano nato per stimolare quella parte di intelligenza che sempre più tendiamo ad non utilizzare. Un ritorno all’infanzia. Ce lo racconti?

Il Manuale per esercitare la propria Stupidità è un libro performativo a cura di Luca Fiore. Realizzato per me stesso ma rivolto a tutti. Il mio consiglio è di praticare giornalmente per almeno 10 minuti uno dei 49 esercizi scritti e disegnati per esercitare la propria stupidità. Stupidità intesa come infinita risorsa. Non dobbiamo continuamente dare un senso a tutto, ma possiamo vedere o capire che anche le cose senza senso forse un senso lo hanno. Supplicare una porta di aprirsi… quante volte lo chiediamo a noi stessi? Dirsi “ciao ciao” continuamente di fronte ad uno specchio, forse è un tentativo per conoscersi meglio. Salire su una sedia e gridare “non ho niente da dire!”, potrebbe essere un’espressione per vivere la vita con più leggerezza. È un libro che parla di libertà e di come dovremmo essere sempre noi stessi. Esercitandoci, forse, non faremmo le cose davvero stupide…

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui