-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Trasformerò le mie lacrime in disegni: la guerra vista dalle artiste ucraine
Arte contemporanea
Come parlare di atrocità e violenze difficili da comprendere e immaginare per un essere umano? Questa domanda sorge inevitabilmente in tempi di disordini sociali e soprattutto di guerre. Sebbene lo storico popolare Yuval Noah Harari affermi che nel XXI secolo la guerra è diventata ridondante e inefficiente, la Russia non solo ha lanciato una guerra, ma la rende estremamente crudele e atroce.
Recentemente, stavo parlando con un amico, Pavlo Makov, l’artista che ha rappresentato l’Ucraina alla 59ma Biennale di Venezia. Mi ha confessato che anche Guernica di Picasso, che per lui è sempre stata una delle più forti affermazioni artistiche, svanisce e sembra essere quasi una parodia per coloro che hanno un’esperienza di prima mano della guerra. Quindi, l’artista è paralizzato e non è più in grado di fare arte, almeno per adesso. Al contrario, alcune artiste ucraine hanno trovato un modo per incanalare le loro paure, la disperazione, il dolore, la rabbia e la speranza, nelle loro opere realizzate mentre la lotta in Ucraina continua.
Alevtina Kakhidze, che è rimasta nella periferia di Kyiv con i suoi tre enormi cani, che le impediscono l’evacuazione, e altri animali domestici affidatile dai vicini in partenza, disegna quasi ogni giorno. Tra gli artisti ucraini più noti a livello internazionale è conosciuta soprattutto per il suo progetto Strawberry Andreevna, alias della madre dell’artista. La mamma viveva nel territorio occupato dai separatisti a nord-est di Donetsk ed è morta al posto di blocco che doveva regolarmente attraversare per entrare nel territorio controllato dall’Ucraina per ricevere la pensione. La sua vita così come la sua morte, rappresentata in una serie di disegni e in una lapide minimalista, è diventata una manifestazione universale di migliaia di storie simili non raccontate di persone comuni che, in misura maggiore, soffrono le conseguenze della guerra.
Nel 2014, l’anno dell’annessione della Crimea e dell’occupazione del Donbas, Alevtina ha partecipato a Manifesta 10 a San Pietroburgo sulla base della convinzione che l’arte possa essere una forte controparte della politica e definire una narrativa alternativa. Tuttavia, ora la guerra ha reso impossibile qualsiasi cooperazione con i professionisti dell’arte russi. Il perché diventa chiaro dal suo recente disegno realizzato come reazione immediata agli orribili crimini e atrocità delle truppe russe nella città liberata di Bucha. L’artista si ritrae davanti alla tragedia. La sua figura è piccola e piegata dal dolore e dalla sofferenza, in mano tiene un pezzo del suo corpo. Davanti a lei c’è un buco grande, disordinato e sanguinante. Tra Alevtina e l’evento è indicata la distanza: 17 minuti in auto.
Un’altra residente a Kyiv, Vlada Ralko, nel suo disegno combina l’aquila bicipite russa con i missili che colpiscono un nascituro ucraino. Impossibile non pensare al terribile episodio recente in cui l’ospedale di maternità di Mariupol è stato bombardato dai russi. In questa associazione simbolica, un governo autocratico diventa arma e uccide letteralmente. In un’altra immagine, l’artista raffigura falce e martello che simboleggiano il desiderio della Russia di restaurare l’URSS. La figura di un animale/carro armato che lo sorregge con i genitali intenzionalmente ingranditi è un riferimento ai crimini di genere delle truppe russe e un simbolo del fallocentrismo che alimenta ogni guerra.
Nel 2014, Ralko aveva già creato un diario della Rivoluzione della Dignità disegnando quasi ogni giorno ciò che vedeva con i suoi occhi o online. Nei primi giorni dell’invasione rimase in silenzio ma, ben presto, riacquistò la capacità di disegnare e quindi iniziò a pubblicare su Facebook riflettendo sulla narrativa dell’imperialismo russo e sulla sua spietatezza nei confronti dei civili e della cultura ucraini.
Quando si parla di guerra, Kinder Album di Lviv non solo disegna gli eventi recenti, come i bombardamenti di città pacifiche o l’evacuazione alla stazione ferroviaria della sua città natale, ma mette in evidenza il ruolo della donna in questi eventi. Degna di nota la sua raffigurazione di un corpo di donna come metafora del concetto di casa. Questa metafora risuona con la tradizionale figura ucraina della pagana Berehynia e della cristiana Oranta, “colei che prega”, la Grande Dea-Madre che protegge la casa. Kinder Album vuole dirci che il corpo di una donna è il più vulnerabile: è lei che si prende cura degli altri, anziani e bambini, si sacrifica e diventa spesso vittima di crimini militari. È lei che seppellisce suo marito e i suoi figli e, nonostante questo, deve continuare a vivere.
Kateryna Lisovenko nel 2021 ha realizzato una serie di disegni su larga scala in spazi pubblici in tutta l’Ucraina raffigurando le persone LGBTQ+ come bellissime creature mitiche che abitano il suo mondo onirico: il titolo del progetto è “Monumental Propaganda of My Dream World”. In tempo di guerra, le figure spesso nude e asessuate rappresentano la resistenza e la forza delle donne e dei bambini, non solo purtroppo nel mondo ideale dei sogni dell’artista ma nella realtà del campo di battaglia. Lisovenko, madre di due figli, si concentra sul ruolo di donna, che nonostante sia in primo luogo un baluardo di difesa per i suoi figli, può anche esprimere esplicitamente la sua posizione e combattere accanto agli uomini.
In questa breve riflessione ho scelto volutamente di concentrarmi solo su artiste donne, in quanto credo rivelino un’esperienza della guerra meno militarista ma più corporale ed emotiva. Non si tratta di eroismo sul campo di battaglia ma del ruolo invisibile seppur fondamentale che le donne svolgono in tempo di guerra. C’è meno razionalizzazione, forse meno rabbia, e potremmo spingerci a dire che quello delle donne è uno sguardo più privato, uno “sguardo femminile” rispetto a quello maschile. Forse le donne sono in grado di trovare un vocabolario più appropriato per elaborare ciò che accade a loro e ai loro connazionali? Non ne sono sicura, forse l’arte ha bisogno di distanza critica e di cuore freddo. Sicuramente però riescono a trovare la giusta chiave, attraverso l’arte, per parlare ad alta voce della loro vita in tempo di guerra.