25 maggio 2023

Trent’anni di Doris Salcedo. L’artista colombiana in mostra alla Fondation Beyeler

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Per la prima volta in un museo Svizzero, il lavoro dell’artista colombiana è ospitato in una grande mostra alla Fondation Beyeler con le opere più impressionanti e suggestive realizzate a partire dal 1989

Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza

Un’esposizione su 1300 metri quadrati, per un centinaio totale di opere singole provenienti da 8 serie inaugurata lo scorso 21 maggio e visitabile fino al 17 settembre. Alla Fondation Beyeler di Riehen, a pochi chilometri da Basilea, il lavoro di Doris Salcedo riempie e sfida le sale del museo di arte contemporanea svizzero progettato da Renzo Piano. Grazie a una serie di prestiti, la mostra offre una panoramica molto completa su oltre vent’anni di carriera –  a partire dall’opera Untitled, realizzata tra il 1989 e il 2014 –, per denunciare, ricordare e riflettere sulle conseguenze dei conflitti violenti che accomunano ogni parte del mondo, sulla perdita, il dolore individuale e il lutto collettivo e sulla necessità del loro superamento sociale. Salcedo racconta così non solo le catastrofi del Paese in cui è nata e cresciuta, la Colombia, ad esempio i massacri del 1988 nel nord del Paese, spunto per la sua opera Untitled (1989-93), sculture in cui pile di camicie bianche trafitte, che alludono ai lavoratori, vengono trafitte da aste di acciaio; Salcedo dedica un lavoro, Plegaria Muda (2008-2010), anche anche alle vittime e agli aggressori della criminalità di Los Angeles, rappresentati insieme come tavoli appoggiati l’uno sull’altro e legati come i loro destini, accomunati dalla stessa situazione socioeconomica. E ancora, protagonisti sono i migranti annegati nelle acque del Mar Mediterraneo o dell’Oceano Atlantico nel tentativo di raggiungere l’Europa, i cui nomi vengono ricordati nell’incredibile Palimpsest (2013-2017), installazione di 400 metri quadrati in cui attraverso un fine sistema idraulico i nomi delle vittime, ricercati per cinque anni dall’artista, affiorano e scompaiono dal terreno color sabbia.

 

Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza

“Credo sia orribile e ingiusto che permettiamo a questi massacri di andare avanti senza un contrassegno,” spiega l’artista, per cui non basta un gesto momentaneo per ricordare e commemorare, non è sufficiente una raccolta di persone, oggetti, simboli, candele  temponaree. “Credo che il gesto dovrebbe essere più forte e che lo scopo dell’arte sia segnalare, ricordare alla società quegli elementi che la società preferirebbe non ricordare, o che preferirebbe in parte nascondere”. Per Salcedo esistono diversi tipi di violenza, da quella più manifesta che si conclude in un massacro a quella perpetrata nelle discriminazioni e portando qualcuno a provare vergogna e arrossire, ai sistemi escludenti, ad esempio delle grandi case farmaceutiche, che non rendono i loro prodotti accessibili a tutti coloro che ne avrebbero bisogno per sopravvivere. Episodi come questi “ accadono in tutto il mondo, e sono tutti connessi. Siamo tutti coinvolti,” ha spiegato all’inaugurazione della mostra. Nelle sue opere l’artista raccoglie così la memoria di esperienze estremamente difficili per le persone, che è convinta che tutti dovremmo conoscere, perché accomunano gli esseri umani, come tutti siamo in grado di provare emozioni e sensazioni come il dolore e l’empatia. “La memoria è tutto nel mio lavoro: gli eventi che le mie opere affrontano sono nel passato, e quello che ci resta è il vuoto di una memoria che stiamo già perdendo.” Quella dell’artista è una lotta contro l’oblio, che è potentissimo, perché la vita stessa con i suoi ritmi ci impone sempre di andare avanti, ma sono i ricordi a definire per Salcedo il mostro presente e il nostro futuro, e bisogna dunque mantenerli.

Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza

Come racconta Salcedo, il suo metodo è molto diverso da quello dell’artista solitario che parte da una visione e la porta avanti nel suo studio. Per elaborare l’opera ha bisogno di conoscere da vicino l’esperienza delle vittime di una violenza: le incontra, cammina e vive nei loro luoghi, cerca di coglierne tutti i dettagli e le relazioni umane e familiari. “Una volta che ho raccolto tutte queste informazioni, allora mi sento legittimata a fare il mio lavoro, includendo nelle opere oggetti e materiali che provengono da quella storia personale”. Come nel caso dei mobili in legno intrappolati da colate di cemento cemento della serie Untitled del 1989, provenienti dalle abitazioni delle vittime della guerra civile in Colombia. Dopo aver consumato letture, poesie, film, Salcedo inizia in solitudine a disegnare alcune bozze e ad avvicinarsi all’opera: a quel punto cominciano le lunghissime ricerche non solo dal punto di vista del risultato visivo, ma sopratutto sui materiali, che vengono prima visualizzati dall’artista in una maniera che definisce quasi irrazionale, e poi avvicinati, testati, elaborati da un punto di vista scientifico e tecnico. In questo passaggio si avvale di un team di lavoro allargato di designer industriali, tecnici, architetti a cui trasmette le implicazioni politiche del suo messaggio e che dopo un lungo processo, che può durare anche anni, la accompagnano alla realizzazione dell’opera, in un risultato che, sottolinea Salcedo, è davvero collettivo. Uno degli esempi più lampanti è l’opera A Flor de Piel II (2013-14), sudario leggerissimo composto di centinaia di petali di rosa cuciti tra loro e mantenuti “tra la vita e la morte” grazie a una tecnica particolare su cui è stata portata avanti una lunghissima ricerca per mantenerli morbidi e flessibili e colorarli affinché ricordassero una pelle ferita e offesa, come quella dell’infermiera colombiana torturata di cui raccontano la storia. “Avevo bisogno del materiale più soffice e delicato possibile. E l’elemento più fragile e vulnerabile che ho trovato è stato il petalo di rosa”. Come racconta il curatore della mostra, Sam Keller, Salcedo ha utilizzato un meccanismo di sospensione che le ha permesso durante gli allestimenti di mantenere una posizione sopraelevata dispetto al pavimento e di realizzare a mano, una per una, le pieghe del sudario, con la precisione e la minuzia massime che la contraddistinguono. Ogni opera va osservata da vicino, per stupirsi dei più piccoli dettagli.

Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza
Doris Salcedo @ Fondation Beyeler, 2023 © Alessandra Lanza

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