05 luglio 2025

Wangechi Mutu: la Galleria Borghese di Roma per la prima volta a confronto con un’artista contemporanea

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Poesia e scultura si incontrano nella mostra di Wangechi Mutu, che trasforma la Galleria Borghese di Roma in un luogo di metamorfosi e riflessione universale

Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera, Installation view with Suspended Playtime courtesy Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Fino al 14 settembre 2025, la Galleria Borghese ospita Poemi della terra nera, la prima personale presso un’istituzione italiana per l’artista keniota e americana Wangechi Mutu. A cura di Cloé Perrone, il progetto è concepito come un intervento site-specific che, sulla scia dell’appena conclusa mostra sul poeta barocco Giovan Battista Marino, tenta di creare un filo che avvolga poesia e arte fra le sale del museo. Per la Galleria, è la prima mostra di un’artista – donna – vivente. Già il titolo, da solo, evoca la fortissima duplicità di un progetto che intreccia poesia e materia, facendosi specchio della pratica multidisciplinare dell’artista e, allo stesso tempo, trasformando il museo in un luogo non più solo di memoria, ma di immaginazione, trasformazione, riscrittura continua.

Poemi della terra nera
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Prayers and Older sisters © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Mutu conquista fisicamente lo spazio con una forza che è dirompente ma mai disturbante. Le sue opere – sospese, frammentate, ibride – abitano le sale della Galleria in un’altalenante tensione tra peso e leggerezza, fluide e al contempo spigolose. Lo spazio tridimensionale è utilizzato nella sua pienezza, e lo spazio aereo diviene quinta parete di un’esposizione che finisce per avvolgere anche il visitatore.

Poemi della terra nera
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Gli spazi della Galleria Borghese, tripudio di un’espressione tutta seicentesca, correvano il rischio di non dialogare con scioltezza con dei pezzi contemporanei non tanto per il distacco di stile in sé, quanto piuttosto per la peculiare “pienezza” di questo spazio museale in particolare. Al contrario di ciò che avverrebbe in un white cube, gli spazi museali della Galleria presentano un horror vacui che, in perfetta sintonia con il suo contenuto, riesce a fondere cornice e opera in una compattezza di immagine che rende potenzialmente ostico l’inserimento di un elemento “estraneo”, soprattutto se “invadente”. Le opere di Wangechi Mutu, invadenti, lo sono eccome. Si impadroniscono già dalla prima sala di un posto privilegiato che – come del resto tutta la mostra – riesce perfettamente a inserirsi nello spazio. Ogni opera ha una sua esatta ragion d’essere non solo nella sua compiutezza ma, spesso, acquista una sfumatura di significato se posta in relazione con ciò che la circonda, generando un dialogo costante fra quel contenitore apparentemente impenetrabile che è la Galleria Borghese e delle opere che si inseriscono con forza in esso grazie ad un filo curatoriale concepito con estrema cura.

Poemi della terra nera
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

I soggetti di Mutu attingono all’immaginario dei miti dell’Africa orientale, ma anche alle cosmologie globali, dando vita a forme ibride e a contenitori di memorie ancestrali e al contempo personalissime e intime. Il risultato è una serie di opere in bronzo che rappresenta esseri in parte umani, in parte animali, in parte spiriti, che fungono da guardiani o apparizioni. I suoi protagonisti «richiamano rituali perduti e tradizioni orali, ma al tempo stesso inventano nuovi modi di abitare il mondo». Anche la scelta dei materiali si inserisce in modo estremamente coerente: bronzo, legno, piume, terra, carta, acqua e cera si contrappongono drasticamente alla ricchezza del marmo, dello stucco e delle superfici dorate della Galleria Borghese. «La terra è insieme metafora e sostanza – un terreno da cui emergono forme, si stratificano storie e i significati sfuggono a definizioni stabili», e quella stessa terra dà vita ai materiali protagonisti dell’esposizione, sottolineando una poetica di trasformazione e di divenire, tipica di questi elementi, e che anticipa uno dei temi centrali nel programma espositivo del museo nel 2026: le metamorfosi. Le divinità metamorfiche dell’artista dialogano a distanza con le trasformazioni ovidiane che popolano la collezione seicentesca, instaurando un confronto tra mitologie diverse ma accomunate dalla medesima urgenza trasformativa.

Poemi della terra nera
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Assoluto punto di forza dell’esposizione è rappresentato dalla pannellistica, che accompagna il visitatore guidandolo con riflessioni puntuali, mai banali e a tratti fortemente poetiche, come solo una mostra che tenta di tradurre in poesia l’arte poteva generare. La scrittura dei poemi di Mutu aleggia nell’aria e si legge e non legge, insinuandosi fra le cornici delle sale, le volte, negli interstizi dei gruppi scultorei e negli intarsi delle cornici. Il risultato è un poema che parla di una terra nera, con una fortissima personalità, ma riesce ad usare una lingua che è universale.

Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Wangechi Mutu rielabora in chiave personale l’afrofuturismo e sfida la gerarchia dello spazio museale stimolando il visitatore a vivere le sale con un approccio diverso, riscrivendo le forme idealizzate e aggiungendo una sacralità mistica e primigenia allo spazio, artisticamente pagana. Al centro del percorso non risiede solo ciò che esposto e matericamente visibile, ma anche ciò che è stato rimosso e messo a tacere, generando la persistenza di una memoria e di una nostalgia che accompagnano durante la visita cucendosi addosso come fossero proprie. Il museo non vuole più essere archivio immobile ma organismo vivo e in continuo movimento: «niente è stabile, tutto si muove. Le sue opere sono soglie: non spiegano, espandono. Inseriti come presenze fantasmatiche, questi interventi non mirano a illustrare o narrare, ma a interrompere, interrogare, insinuandosi delicatamente nell’ordine visivo del museo. Propongono contrappunti poetici a racconti e canoni visivi consolidati».

Poemi della terra nera
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera. Installation view with Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

La mostra prosegue all’American Academy in Rome, dove è esposta Shavasana I. Si tratta di una figura in bronzo distesa, ricoperta da una stuoia intrecciata di paglia, il cui titolo richiama la posizione yoga dello shavasana (la posizione del cadavere) e si ispira a un fatto di cronaca realmente accaduto. L’opera è collocata nell’atrio dell’Accademia in mezzo a iscrizioni funerarie di epoca romana, generando un potente richiamo simbolico ai temi della morte, dell’abbandono e della dignità del vivere.

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