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Dalla parte del drago #34: Non piove sul bagnato
Arte contemporanea
Non c’è alcun dubbio che la battaglia di Waterloo sia stata combattuta in un certo giorno, ma l’Amleto sarà poi meglio del Re Lear? Nessuno può dirlo, secondo Virginia Woolf. Ma i critici dovranno pur guadagnarsi un’autorità giudicante, sulla base delle loro conoscenze e delle loro scelte. Ammesso che ci sia la voglia di farle. Virginia sosteneva che leggere fosse un’operazione più lunga e complicata che guardare, ma noi non ce la sentiamo di assentire e ci limitiamo a constatare i molti modi di vedere. Prendiamo spunto: cosa osserverà così intenta la coppia borghese che sta nella parte destra di quella tela che Gustave Caillebotte intitolò Rue de Paris, temps de pluie? Che procede verso l’osservatore, elegante, con lo sguardo catturato da qualcosa altrove, e che sembra scontrarsi a breve con il pittore? Lei con il cappellino à la page e il velo, lui con la tuba e il papillon, che regge un ombrello scuro. Ma facciamo un passo indietro: Gustave Caillebotte è stato un pittore francese. Inizierebbe così Wikipedia, per inquadrare la faccenda. Ma fu anche avvocato, abile canottiere, ingegnere navale, orticoltore, filatelico, appassionato di giardinaggio e di De Nittis, sostenitore dell’impressionismo e autore di varie memorabili opere, tra cui questa in particolare. Raffigura Parigi in un giorno di pioggia ma l’inquadratura è divisa in due dal lampione. Nella parte sinistra si vedono la città e i suoi abitanti, muoversi tra la strada, solitari. Nella parte destra la coppia prima descritta. Il titolo ci dice che i protagonisti della tela sono Parigi e la pioggia, insieme alla malinconia che in generale il dipinto suscita.
E proprio la pioggia, così rara in quest’estate, andrebbe rivista almeno nelle opere. Pioggia, vapore e velocità di Turner, ad esempio, con quel titolo degno del nostro futurismo, sembra un inno al romanticismo e all’audacia di chi si sforza nel cercare un soggetto in dissolvenza. C’è in prospettiva un treno poco definito che a prima vista sembra un collo di bottiglia e che verso lo spettatore avanza. E c’è quella tela tutta intorno ricoperta di pennellate liquide e brusche, che ricordano la pioggia e il vapore che essa produce. Gialli, neri e qualche blu, sono le tinte che creano il tutto e che speriamo riescano a darci un’idea di fresco. E mentre il treno avanza, spostiamoci noi per vedere un’altra pioggia.
È quella di Monet che regge da sola il quadro, lascia appena intravedere due casupole e ci fa immaginare la sensazione di campagna, con la donna che riempie il secchio alla fonte e l’asino che raglia. Ma l’effetto è quello dell’acqua a scrosci sul parabrezza durante una tempesta, e non si riesce a vedere e conviene fermarsi a riflettere. Quello converrebbe farlo sempre, anche se fa così caldo che par di esser nel deserto.
E allora a salvarci potrebbe intervenire una litografia di De Chirico: ci sono due alberi verdi, un paesaggio sabbioso, un nuvola nera da cui pare scendere pioggia come una fontana. E’ un’opera strana e metafisica, ma la morale è la medesima: quando fa caldo, bagnatevi spesso e cercate di stare al fresco. E pensate alla pioggia che nel 1889 si scagliò su Saint-Rémy-de-Provence e che impressionò a tal punto il paziente Vincent Van Gogh che la osservò dalla finestra dell’ospedale Saint-Paul e decise di immortalarla. Così a far da scudo all’immagine di quelle note terre, a quei campi verdi rinvigoriti dall’acqua, si frappongono infinite linee verticali e oblique, che scalfiscono come dei graffi e regalano sensazioni forti.
Una pioggia simile aveva colto anni prima Hiroshige sul ponte Shin-Ōhashi e sappiamo che Vincent la vide tramite una stampa giapponese e ne rimase così impressionato da riproporla l’anno successivo per una vista d’Anvers. Ma tra i viola e i gialli di quel nuovo paesaggio la pioggia si coglie un po’ meno, o forse le tinte calde ci riportano al clima attuale, e preferiamo soprassedere. Del resto si sa bene: serend’inverno e pioggia d’estate, non durano tre giornate.
Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle.
IG: dallapartedel_drago