10 dicembre 2019

De Chirico e i Surrealisti. Storia di un amore e della sua fine

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Dopo essere stato uno dei riferimenti dei Surrealisti, Giorgio de Chirico diventò il nemico dei suoi giovani colleghi. Vi raccontiamo perché

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Max Ernst, Le rendez-vous des amis, 1922

Nel 1922 Max Ernst dipinge Au rendez-vous des amis, oggi al Museum Ludwig di Colonia. Uno dei ritratti di gruppo più celebri della storia, in cui i surrealisti, a due anni dalla nascita ufficiale del movimento, già si propongono come gruppo, segno di una già solida coscienza collettiva. Oltre ad Ernst vi compaiono tra gli altri Jean Arp, Paul Eluard, Andrè Breton, Louis Aragon. Davanti ad uno scenario montuoso, severo, giottesco nei piani netti che definiscono le bianche cime, tra i volti dei surrealisti storici, compaiono anche quelli di Raffaello e di Dostoevskij così come la storia li ha tramandati. Ernst e Jean Paulhan siedono sulle ginocchia di quest’ultimo, quasi fosse un padre putativo. Numi tutelari per i componenti del nascente movimento che tra i loro diretti antecedenti riconoscono anche un vivente, anzi un loro coetaneo: Giorgio De Chirico. Il pittore infatti compare nel dipinto di Ernst in forma di erma classicheggiante, immagine poetica e profetica insieme, giacché a quella data, mentre i surrealisti ne esaltavano la pittura metafisica, il pittore italiano già meditava una virata classicheggiante, o meglio un “ritorno al mestiere”, studiando Giotto e Piero della Francesca.

 

L’importanza di Giorgio de Chirico

A ben guardare pochi sono gli artisti del XX secolo per importanza paragonabili a Giorgio de Chirico. Osservata con sguardo unitario la sua parabola artistica appare il paradigma dell’avanguardia tanto quanto dell’esatto contrario. Egli si è avviato al “ritorno all’ordine” quando ancora imperversavano le avanguardie ma è anche stato anche colui che per primo ha dato forma al sogno, all’inconscio, aprendo la strada alle molteplici sperimentazioni surrealiste. De Chirico, infatti, è riconosciuto dai surrealisti un geniale anticipatore della loro poetica, basata proprio sull’accostamento insolito di oggetti quotidiani in contesti non conformi, per le sue raffigurazioni di interni claustrofobici colmi di oggetti incongruenti, se non stravaganti. Un ruolo di primo piano che lo stesso Breton, teorizzatore del Surrealismo, riconosce a De Chirico anche a molti anni di distanza. Nel 1940 egli scrive: «Tutta la mitologia moderna ancora in formazione ha le sue fonti nelle due opere quasi indiscernibili nello spirito, di Alberto Savinio e di suo fratello Giorgio de Chirico, opere che raggiunsero il loro punto più alto alla vigilia della guerra del 1914».

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Giorgio de Chirico, Il sogno di Tobia, 1917

De Chirico e i Surrealisti

Il biennio che intercorre tra il dipinto di Ernst e la fondazione del Surrealismo è caratterizzato da rapporti sempre più stretti fra De Chirico e i surrealisti parigini. Il 21 marzo 1922 la galleria Paul Guillaume inaugura un’importante personale del pittore italiano. Nella presentazione Breton scrive parole lusinghiere: «Credo che una vera mitologia moderna sia in formazione. É a Giorgio de Chirico che spetta di fissarne in maniera imperitura il ricordo. Dio ha fatto l’uomo a sua immagine, l’uomo ha fatto la statua e il manichino». I rapporti con il gruppo diventarono ancora più stretti nel novembre del 1924, quando l’artista torna a Parigi per la presentazione del balletto “La giara” – tratto da una novella di Luigi Pirandello e messo in scena al Thèatre des Champs-Elysèes – per il quale aveva disegnato la scenografia e i costumi. È in quella occasione che partecipa alla fondazione del Movimento Surrealista senza però mai farne parte attivamente. Sul primo numero dell’organo ufficiale del neonato movimento, la rivista “La Révolution Surréaliste”, uscito nel dicembre 1924, compare un suo scritto, Rêve, e alcuni suoi disegni; sulla copertina di quello stesso numero è ritratto nella foto di Man Ray con Breton, Eluard, Aragon e gli altri surrealisti. Significativamente, dietro Breton, appeso alla parete, si scorge Il sogno di Tobia, opera dechirichiana tra le più ammirate dai surrealisti.

Ma proprio nel momento in cui i legami andavano stringendosi iniziano a configurarsi visioni divergenti che presto si rivelano inconciliabili. Infatti, mentre per i surrealisti De Chirico è “il Metafisico”, cristallizzandone l’immagine alla produzione dell’anteguerra, il pittore ha ormai superato la fase metafisica e si avvia ad una radicale revisione della sua arte in chiave antichizzante prima e neobarocca poi.

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Giorgio de Chirico, Combattimento di gladiatori, 1928

La rottura con i Surrealisti. De Chirico pittore classico

L’amichevole collaborazione e la comunanza d’intenti con i surrealisti francesi bruscamente s’interrompono a causa dell’inversione di marcia del collega italiano che avvia la stagione dei Gladiatori, una personalissima interpretazione del ritorno alla classicità. I rapporti con Breton e compagni si deteriorano progressivamente, tanto che molti anni più tardi, nella sua autobiografia, De Chirico descrive così i suoi antichi estimatori: «Poco dopo esser giunto a Parigi trovai una forte opposizione da parte di quel gruppo di degenerati, di teppistoidi, di figli di papà, di sfaccendati, di onanisti e di abulici che pomposamente si erano autobattezzati “surrealisti”. Questo gruppo di individui poco raccomandabili era capeggiato da un sedicente poeta che rispondeva al nome di André Breton ed il quale aveva un aiutante di campo un altro pseudo-poeta di nome Paul Eluard, che era un giovanottone scialbo e banale, con il naso storto e una faccia tra di onanista e di cretino mistico». I nuovi motivi che De Chirico introduce nei suoi quadri, soggetti antichi, cavalli su spiagge disseminate di rovine, mobili nella valle, archeologi dal cui addome fuoriescono ruderi e tempietti classici, sono condannati senza appello dai surrealisti. Breton lo apostrofa “insultatore della sua giovinezza”, il poeta Louis Aragon giudica le sue tele recenti “quadri da rimbambito”.

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Man Ray, Il gruppo surrealista, 1924

Una così radicale opposizione nasceva certamente da un profondo dissidio estetico. I surrealisti non potevano tollerare un pittore che aveva iniziato a fregiarsi del titolo “pictor classicus” e ad interessarsi al “mestiere” sviluppando un pensiero decisamente antiavanguardista. Così, quando nel maggio del 1925 De Chirico allestisce una mostra a Parigi, nella galleria “L’Effort Moderne” di Léonce Rosenberg, i surrealisti non possono accettare un così radicale cambiamento. Lo dichiarano morto nel 1918 e conducono un vero e proprio ostruzionismo verso la recente produzione di “colui che era stato salutato come profeta del Moderno” e che in seguito era “diventato nemico giurato del modernismo”. Nel 1926 la rottura divenne totale. Sulla rivista “La Révolution Surréaliste” venne pubblicata l’immagine sfregiata del dipinto Oreste ed Elettra.

Da quel momento il divorzio tra il pittore italiano e il gruppo surrealista divine irreversibile: tutta l’opera dell’artista successiva alla Metafisica viene respinta da Breton e il mutamento di stile bollato come tradimento. Tutto questo non senza una nota di rammarico come si legge nelle parole scritte da Breton nel 1952: «Mi spiace di non aver potuto conoscere, prima che cominciasse ad agire da vandalo sulle sue stesse terre, il prodigioso De Chirico degli anni 1913-14».

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