03 febbraio 2022

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La mostra “Donne nell’arte da Tiziano a Boldini”, a Palazzo Martinengo di Brescia, riapre per tutti i curiosi che vogliono capire l’evoluzione del gusto e dello stile nel corso del tempo, attraverso la raffigurazione della figura femminile

Ettore Tito, Con la rosa tra le labbra. Collezione privata

Le donne nell’arte o l’arte nelle donne ? Questo è la domanda irrisolta che ci poniamo passeggiando nelle ampie sale di Palazzo Martinengo a Brescia, dove sfilano 90 dipinti dal XVI al XIX secolo che ripercorrono quattro secoli di storia dell’arte da Tiziano a Boldini e Klimt, che documentano come la figura femminile, da bambina, adolescente, ragazza, madre a nonna; è un tema dominante dell’arte di ieri e di oggi.
La mostra “Donne nell’arte da Tiziano a Boldini” a cura di Davide Dotti, organizzata dall’Associazione Amici di Palazzo Martinengo, col patrocinio della Provincia di Brescia, del Comune di Brescia e della Fondazione Provincia Eventi, in partnership con Fondazione Marcegalia onlus, le imprenditrici di Confindustria Brescia, sostiene la Ricerca sui tumori femminili di Fondazione AIRC, costretta a chiudere l’anno scorso a causa della pandemia, ha riaperto i battenti (fino al 12 giugno) per tutti i curiosi che vogliono capire l’evoluzione del gusto e dello stile nel corso del tempo attraverso la raffigurazione della figura femminile. L’esposizione suddivisa in otto sezioni tematiche, sante ed eroine bibliche, mitologia in rosa e storia antica, ritratti di donne, natura morta al femminile, maternità, lavoro, vita quotidiana, nudo e sensualità, facilita senza banalizzare il pubblico non esperto ad intraprendere un viaggio dentro l’evoluzione sociale della donna.
Diversi ruoli, scenari, età e contenti, ma non muta il ruolo simbolico della donna come icona di fecondità , maternità, procreazione e di sensualità, cambiano nel corso del tempo anche stili e le tecniche di rappresentazione, ma lei, l’incantevole e affascinante musa degli artisti di ieri e di oggi, tra fiumi di emozioni , è e sarà portatrice di bellezza, grazia e dinamismo sociale quando la si dipinge mentre lavora nei campi o nelle manifatture o mentre legge, pensa o seduce chi la guarda.

Giuseppe De Nittis, Nudo di schiena, 1879-1880, collezione privata, courtesy Galleria Berman

L’obiettivo centrale dell’esposizione bresciana è di evidenziare il ruolo sociale della donna, perno non solo della famiglia patriarcale ma anche nel mondo del lavoro, alla conquista della sua emancipazione economica attraverso il lavoro come forza motrice di rinnovamento nella modernità. Dunque, non solo cipria, tulle, velluti, seta e merletti, cappellini, guanti, fiori, sorrisi maliziosi e abiti da sogno, ma tra plissé e drappeggi e curiosità varie, emergono anche sottese riflessioni sulla disparità tra uomo e donna, il lavoro femminile, l’emarginazione sociale e più in generale sulla condizione della donna nella cultura occidentale grazie a opere inedite di artisti di provincia.
L’unicità della mostra non è nel tema in sé, ma nella scelta del curatore di opere di collezionisti privati, anche inedite che escono dai salotti e si mostrano al pubblico, alcune per la prima volta in Italia e incantano per eleganza e qualità formale, cromatica e compositiva i cultori della bellezza di tutte le età senza dimenticare il contributo delle donne pittrici, quali Elisabetta Sirani, una virtuosa del seicento bolognese figlia del pittore Giovanni Sirani, le nature morte di Fede Galizia, Orsola Maddalena Caccia, Giovanna Garzoni , Anna Stanchi, Margherita Caffi, Elisabetta Marchioni , Francesca Volò, detta Vicenzina, Elena Recco e la sorprendente Amazia Guerrillot Inganni con due magnifici dipinti del 1860 a pendant dall’insolito ampio formato e dalla sublime qualità esecutiva.

Donne nell’arte da Tiziano a Boldini, Palazzo Martinengo, Brescia

Il percorso espositivo alla scoperta dell’essenza femminile nella sua complessità dentro e fuori interni domestici, incomincia con Santa Maria Maddalena penitente (1558-1563), un olio su tela di Tiziano, firmato per esteso, esposto per la prima volta in Italia, in cui spicca il vasetto porta unguenti in cristallo traslucido che ricorda le manifatture di Murano. La peccatrice redenta è un tema classico nell’arte religiosa durante la Controriforma, che prega per il perdono dei propri peccati con occhi pieni di lacrime, ribaltati estaticamente verso il cielo, diventa un mezzo di comunicazione dell’importanza della penitenza; uno dei sacramenti rifiutati da Lutero ma promossi dalla Chiesa cattolica. Su tutte non si dimentica la sezione Nature morte al femminile, dimostrando che questo genere popolare, anticipato dalla celebre Canestra di Caravaggio, dipinto a Roma tra il 1598-1599, favorì l’emancipazione delle donne nell’ambito della professione pittorica, allora per lo più appannaggio quasi esclusivo degli uomini. In questa rassegna di Still life incantevoli, mancano Barbara Longhi, Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, ma la qualità delle opere esposte dipinte da artiste ancora poco conosciute al grande pubblico, è tale da appagare anche gli sguardi più esigenti.

Donne nell’arte da Tiziano a Boldini, Brescia, Palazzo Martinengo

Nella sezione della “Maternità”, tema classico dal Medioevo fino alle soglie del XX secolo, che ebbe una grande diffusione soprattutto nell’ambito della pittura sacra, la famiglia si laicizza nella versione polare, nella cosiddetta “pittura di genere”, come si vede nell’olio su tela Gioie infantili (1890-1895) di Gaetano Chierici, sensibile indagatore iperrealista del mondo contadino, carico di intima e domestica poesia insita nella banalità del quotidiano, che nei dettagli rimanda alla pittura fiamminga e olandese seicentesca. E in questo squarcio d’interni delle case contadine tra cani, gatti, pulcini, galline e bambini si celebra la famiglia di un epoca rurale in cui uomo e animali vivevano in armonia. L’iconografia femminile culmina nel XIX secolo, come lo si vede nella sezione “Vita Quotidiana”, dove si rappresentano episodi di vita vissuta, passando dalle fatiche della povertà alle gioie della vita familiare, fino all’immersione “vaporosa” nell’eleganza e moda borghese della Belle Epoque. Il manifesto della mostra è Un colpo di vento (circa 1902) di Gaetano Bellei dalla tecnica impeccabile nel ritrarre l’abito di chiffon color lilla; piace il dipinto La danza (1890-1900) di Francesco Vinea, un tema frivolo, leggiadro e accattivante dai colori pastello, che rappresenta due fanciulle dall’innocente freschezza che danzano divertite in un paesaggio collinare toscano, dopo aver raccolto i fiori. E in questa immagine stucchevole c’è la promessa di emancipazione della donna che “danzando” tra le difficoltà della vita, lotte e sacrifici, trova nel Novecento la propria libertà di scegliere, il diritto di voto, di studiare e di essere non solo madre, moglie o amante.

Giacomo Ceruti, detto Pitocchetto, Madre con i figli, collezione privata

Nella sezione dedicata al “Lavoro”, tema che percorre la pittura italiana dell’Ottocento, periodo che va dall’unità d’Italia al Novecento, l’epoca in cui cambia la condizione sociale delle donne, incanta il dipinto Scavi di Pompei (1870) di Filippo Palizzi, che immortala una delle giovani lavoratrici impiegate come forza lavoro negli scavi archeologici, allora pagate meno degli uomini, in piedi, immobile; posata a terra la gerla in vimini, vuota, utilizzata per trasportare i cocci, assorta dalla bellezza delle pareti affrescate appena riscoperte, appartenenti a una domus romana, mentre le altre continuano a lavorare nel cantiere degli scavi. I movimenti femministi sono ancora lontani, ma in questa giovane donna ritratta maestosa come una vestale nel Tempio, che rompe la catena del lavoro forzato, ammagliata dagli affreschi, cova la rivendicazione di libertà, che le donne, insieme e faticosamente conquistano nel Novecento, e sono ancora in cammino per ottenere pari diritti civili non ancora pienamente riconosciuti nella cultura Occidentale e Orientale. Qui tra fruttivendole, pastorelle, lavoratrici nei campi, lavandaie, le Ragazze che lavorano al tombolo (1730 circa) di Giacomo Ceruti, detto Pittocchietto, in cui si distingue una bambina in pedi che legge, mentre le altre lavorano, e La pittrice (1873) di Girolamo Induno, dallo sguardo malinconico, un’altra piccola opera attira lo sguardo come il miele le mosche. Si tratta del dipinto Ballerina della Scala (1909) di Angelo Morbelli, capace di coniugare la ricerca del vero con il bello, eleganza formale e denuncia sociale, noto indagatore del mondo degli umili o emarginati, soggetto che seppure ispirato alle danseuses di Degas, questa bambina ritratta sola e di spalle, con chignon e tutù di tulle bianco -rosato , in posa, con mano graziosamente appoggiata sul fianco, mentre scruta lo sfondo scuro; un “muro” dai toni freddi , forse medita sull’incognita del suo futuro, ma sembra pronta a compiere il salto nel vuoto.

Angelo Morbelli, Balleria a La Scala. Collezione privata

Il viaggio nell’iconografia del femminile nell’arte si chiude con la sezione “Nudo e sensualità”, e dal 1863 con la scandalosa scena Le dejuner sur l’herbe di Edouard Manet esposte al Salon des Refuses, considerata oltraggiosa perché mostra una vera donna nuda, non santa ne dea o moglie, osservata da uomini vestiti in abiti borghesi contemporanei, posta in una radura. Con L’Olympia dello stesso autore, la donna da madre diventa seduttrice senza morale, fiera icona di erotismo , consapevole del potere erotico del suo corpo; è la femme fatale la protagonista irriverente del Novecento pronta a infrangere le ipocrisie perbeniste borghesi e a sedurre per conservare la propria libertà. In questa sala sono raccolte una parata di ammagliatrici che attraverso il nudo mai volgare, nei dettagli dipinti da diversi pittori, tra gli altri dal celebre ritrattista Giovanni Boldini con il conturbante Nudo sdraiato con calze nere (1885 circa), si colgono sfumature dell’universo femminile, in cui si infrangono come onde gli sguardi degli spettatori sulla sua indefinibile bellezza anche nelle imperfezioni. In questa mostra non era necessario esporre uno studio di Coppia di amanti in piedi di Gustav Klimt, esposto per la prima volta e proveniente da una collezione tedesca, disegnato dal protagonista dell’avanguardia viennese, un prezioso bozzetto che anticipa le soluzioni stilistiche del Bacio (1907/1908), che ritrae una coppia di amanti nudi come simbolo della verità e completezza dell’Amore tra uomo e donna, perché a Palazzo Martinengo ci si innamora di altri capolavori da scoprire e ricordare, e molti dipinti sembrano “abbracciare” i nostri sguardi come promessa di armonia e ritrovata gioia di vivere le mostre come esperienza estetica e di conoscenza.

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