24 giugno 2008

arteatro_contaminazioni Masque Teatro Forlì, Ex Filanda

 
Nuova tappa di un’indagine filosofico-artistica. Figure contorte scivolano in uno spazio definito da colori e luci dichiaratamente pittorici. In un continuo dialogo con l’opera di Francis Bacon...

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La prima fase del progetto Zebra – lo spazio liscio, lo spazio striato, a cura di Masque Teatro, si è conclusa con la performance Head VI, liberamente ispirata al saggio di Gilles Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione.
Il progetto, ospitato all’interno della rassegna Un altro teatro di Forlì, è il primo ramo di ricerca triennale della compagnia; una ricerca volta a individuare interrelazioni fra saperi e pratiche artistiche, allo scopo di sottolinearne i punti di vista comuni, e ha previsto -oltre alla parte strettamente dedicata alla filosofia di Deleuze-, incontri e performance ispirate al lavoro del compositore e architetto Iannis Xenakis e dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick.
Entrando nella sede della compagnia, l’ex-filanda di via Orto del Fuoco a Forlì, lo spettatore è introdotto con una torcia nello spazio scenico. Due corpi immobili lo attendono, quello di Eleonora Sedioli e Catia Gatelli, inizialmente quasi invisibili nell’oscurità. L’immobilità è subito rotta dallo sguardo dello spettatore che vaga per sondare lo spazio alla ricerca di un punto d’appoggio, di qualcosa che sta per accadere. Invece di riconoscerlo, si trova nuovamente, suo malgrado, a girare in tondo, attratto e ingabbiato dal contorno circolare tracciato a terra. Un cerchio che ricorda quella sorta di pista da circo in cui Bacon è solito chiudere i suoi corpi, isolarli, allo scopo di “esorcizzare il carattere figurativo, illustrativo, narrativo, che la figura necessariamente avrebbe se non fosse isolata”.
È lo stesso procedimento usato da Masque: le figure che si susseguono in forma di trittico, accostate ma allo stesso tempo isolate nel contorno, si escludono l’un l’altra, entrando in relazione solo con la struttura spaziale e con l’oggetto/testimone (leggibile come elemento costante rispetto cui si può misurare la variazione), di volta in volta una carcassa di maiale sanguinante, una sedia, un’accetta, un getto d’acqua.
Masque Teatro - Head VI - 2008 - photo Lorenzo Bazzocchi
Non si deve dunque ricercare una logica del significato né applicare un rapporto narrativo tra i diversi momenti: come suggerisce Deleuze, si tratta solo di istantanee rubate da fatti, eventi, dove quello che doveva/deve accadere è forse già stato, o forse non ancora. Ciò che si percepisce durante tutta la performance è la persistenza e la reiterazione di uno sforzo, volto in una triplice direzione: sforzo del corpo su se stesso per uscire da sé e diventare figura; sforzo della struttura per interagire con la figura; sforzo della figura per annullarsi nella struttura.
È così che il corpo contorto e allungato diviene inizialmente carne senza ossa, in una sorta di personificazione dell’artaudiano corpo senza organi: a partire dalla testa di maiale macellata della prima figura, che riempiendo di sangue il soggetto-persona lo identifica con l’oggetto del suo agire, in un continuo divenire animale.
Da questo momento in poi, l’immagine-corpo alterna posizioni statiche a frenetiche danze su di sé, in cui “le ossa sono una specie di attrezzi ginnici (carcassa) di cui la carne si serve per le sue acrobazie”. Francis Bacon - Head VI - 1949 - olio su telaI corpi appaiono deformi e sorprendenti, al contempo accartocciati e stirati, nel tentativo di fuggirsi attraverso i propri orifizi (la bocca-urlo silenziosa che ricorda il dipinto Head VI, la fuoriuscita dai propri genitali in una sorta di auto-parto, i conati di vomito, l’ombra che fugge dal corpo per stagliarsi sullo sfondo) col fine di fondersi nella campitura circostante.
E, come nei quadri di Bacon, è attraverso il colore e la luce che questa fusione si può concretizzare. Dai colori vividi e uniformi che sospendono la figura nello spazio e negano la profondità della scena si passa a una luce bianca su fondo chiaro e a spazzolate di lucido nero con cui la mano, quasi come fosse al servizio di altre forze, cosparge il resto del corpo per con-fonderlo definitivamente con lo spazio circostante.
Ma la figura non deve scomparire del tutto, non deve lasciare che il diagramma del fondo proliferi occupando tutto lo spazio. Quale gesto più baconiano, allora, di un getto d’acqua, una doccia per ri-generare la figura, farla ri-emergere, rivelando la realtà materiale del corpo e portando, infine, la sensazione a chiarezza?

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sara baranzoni

arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo


dal 3 maggio al 2 giugno 2008
Zebra 2008 – lo spazio liscio, lo spazio striato
a cura di Masque
Ex-filanda
Via Orto del Fuoco, 3 – 47100 Forlì
Info: tel. +39 0543370506; masque@masque.it; www.masque.it

[exibart]

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