09 ottobre 2019

A Milano, “Internazionale Corazon”. Danzare per rigenerare la città

di

Da via Padova alla Bolivia e ritorno: l'arte diventa rigenerazione urbana a Milano, con Internazionale Corazon di Francesca Marconi e il supporto di Fondazione Cariplo

Internazionale corazon, courtesy dell'artista

«Più di due anni fa Elena Dragonetti e Carlo Venegoni stavano realizzando una mappatura sugli spazi pubblici utilizzati per ballare o allenarsi e mi hanno coinvolta per progettare insieme un intervento artistico in questo ambito. Uno dei gruppi mappati nella ricerca era quello dei sambos de corazon, giovani ballerini sudamericani; li ho conosciuti ad una festa durata 12 ore nell’ex cinema porno di via Padova dove presentavano insieme ad altri gruppi le loro danze: fu una folgorazione».

Questo è l’incipit di Internazionale Corazon, un progetto di rigenerazione urbana che parte da Milano, da quella famosa via Padova diventata prima celebre come luogo di problematiche e degrado anche sociale, strada abbandonata dalle istituzioni ma densa di “frequentazioni” che oggi, invece, conosce un rinascimento “dal basso”, anche grazie all’arte. Francesca Marconi – che in via Padova vive e lavora – ci racconta il progetto insieme a Noemi Satta, responsabile del programma culturale di Fondazione Cariplo, Lacittàintorno.

«Gruppi di ragazze/i provenienti da più parti dell’America Latina o nati in Italia, spesso non riconosciuti come cittadini italiani, danzavano all’unisono con un’energia potente, indossando dei costumi fantastici, di un altro mondo appunto. Nella città si apriva uno spazio spaesante, un paesaggio nuovo, arricchito di straordinari linguaggi e riti. Ho sempre lavorato con la modalità del laboratorio partecipato e avevo già collaborato con il liceo artistico Caravaggio, gli studenti ed i Sambos erano coetanei ed è stato naturale cominciare da lì il nuovo progetto. A scuola abbiamo lavorato per 6 mesi, il lavoro più grosso insieme alle performance è stato quello di re-immaginare un abito nuovo, che potesse contenere le caratteristiche del quartiere, aprire una tradizione (quella dei sambos e della danza caporales) e meticciarla, farla diventare di tutta una cittadinanza. Con gli studenti abbiamo realizzato molti bozzetti ed un primo studio di due abiti, indossati per delle performance in quartiere. Il progetto era terminato, ma il mio amore per la Bolivia e l’urgenza di completare questo processo mi ha portato a La Paz, dove questa danza ha avuto origine. Nel quartiere di Alta Tacagua, a 4300m d’altezza, nella sartoria e casa di Claudia e Josè Luiz, ricamatori di abiti tradizionali, sono stati realizzati due abiti tradizionali (gender free) per via Padova. A Cochabamba all’interno di una residenza al Centro de Arte Martadero ho collaborato con performer locali che hanno per la prima volta indossato e danzato con gli abiti. Al mio ritorno con il supporto della “La città intorno” e la produzione dell’associazione Cure (Carlo Venegoni) abbiamo prestato i nuovi abiti a cittadini danzatori di via Padova per farli performare.

Da questo lavoro è nato un video ed un’ installazione che presenterò in mostra allo spazio OnOff di via Padova e in luoghi contigui, la stamperia di Paolo Nava (via Russo 28) e alla rivendita di legna (via Padova 75). Per il futuro di questo progetto vorrei che l’abito diventasse realmente un patrimonio collettivo, come un libro in biblioteca. A Novembre proseguiremo con nuovi incontri tra i bambini di una scuola elementare del quartiere e i sambos de corazon, nuovi collegamenti che si aprono ci sono già e in via Padova è facile compiere fare giro del mondo!», ci ha raccontato Marconi.

Stavolta, rispetto alle tue pratiche che utilizzano l’abito come “soggetto”, sembra che sia la danza il trait d’union tra il territorio e i suoi abitanti. Ritieni che il ballo possa essere veicolo di unione tra persone dalla differente provenienza e appartenenza (come abbiamo visto anche al Padiglione Brasiliano dell’ultima biennale di Venezia)?

Francesca Marconi: «La danza in questa nuova fase del progetto è fondamentale, se l’abito è diventato di tutti e ci accomuna, la danza ne rappresenta le differenze, è quella la sua potenza. Cittadini-danzatori di ogni identità, genere e provenienza instaurano una relazione nella dimensione fisica, in uno scambio e disseminazione di saperi attraverso movimento e performatività. La danza con i nuovi abiti tradizionali di via Padova diventa simbolicamente una performance di cittadinanza, che rivendica le sue singolari energie fisiche e culturali e le contamina in uno spazio reale e comune di festa. Rispetto al bellissimo lavoro Swinguerra che hai citato, sento vicinanza, i danzatori, con i loro corpi esposti, vivi e politici sono al centro delle questioni culturali e politiche contemporanee, legate ai temi dell’identità, dei diritti di cittadinanza e alle forme di autorappresentazione».

Lavori nel contesto di via Padova, a Milano. Esiste un’arte delle periferie? Se sì, quale e a cosa può servire?

FM: «In via Padova ci vivo e nei miei quasi vent’anni di lavoro sono sempre stata interessata ad indagare gli spazi umani e geografici di confine. Non so se esista un’arte delle periferie, ma esiste l’arte nelle periferie. Credo che questi paesaggi di mezzo, siano le sponde dove si possa vedere meglio al futuro; è lì che si realizzano dinamiche e pratiche di trasformazione, sono crocevia, avamposto e avanguardia. Possono essere luoghi dove è possibile decolonizzare lo sguardo, dove è possibile immaginare un futuro dove l’approccio non sia solo esclusivo o inclusivo ma sincretico nei suoi segni e visioni. È questo spazio di mezzo, il luogo a cui voglio appartenere e dove voglio prendere posizione».

Ma che cosa significa progettare arte e interventi culturali, all’interno delle periferie? Quali sono le necessità da tenere in considerazione?

Noemi Satta: «Uno dei ruoli principali del fare cultura, intesa nel senso più ampio possibile, per Lacittàintorno, il programma dedicato alla rigenerazione urbana di Fondazione Cariplo, è quello di costruire occasioni di empowerment e di arricchimento per persone che normalmente rimangono fuori dalla fruizione culturale. Al fine di attivare un’inversione di rotta, e in vista della nascita dei Punti di comunità, uno dei principali dispositivi del programma, fin dall’inizio Lacittàintorno, sceglie di avviare e di accompagnare i processi di capacitazione del territorio, con l’azione intitolata Sottocasa (https://lacittaintorno.fondazionecariplo.it/sottocasa/), un calendario di appuntamenti culturali rivolti a pubblici diversificati, e realizzati in collaborazione con un grande numero di attori. Si tratta di una forte iniezione di cultura e creatività: concerti jazz, performance di light art, maratone di lettura, laboratori di disegno animato, festival teatrali, redazioni aperte, laboratorio di video documentazione, musica in tutte le sue forme e generi, trekking urbani, serie di seminari specialistici, performance di danza, etc (per maggiori informazioni si veda al calendario eventi di Lacittàintorno). Spesso si tratta percorsi di arte partecipativa e relazionale che coinvolgono alla pari artisti e comunità di cittadini in un processo di co-creazione. Lacittàintorno, con Sottocasa, sceglie di considerare il bisogno dei cittadini di avere e anche di crearsi una propria “dieta” culturale ricca e varia” supportando il fatto che sia anche localizzata nelle aree periferiche della città, questo per allargare la mappa e mutare la percezione interna ed esterna di alcune porzioni di città. Sottocasa, pertanto, è lo strumento con cui si intende favorire, nei quartieri di Lacittàintorno, l’emersione di progettualità piccole e grandi, promosse da soggetti cittadini e locali, con le reti territoriali, e che agiscano con il forte intento di ingaggiare nuovi pubblici, nuovi gruppi sociali, nuovi soggetti di interesse nel territorio, promuovendo nuove forme di protagonismo culturale».

 

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